30.12.17

ROAD TO JAPAN: Akito Fukumori (福森 晃斗)

Buongiorno a tutti e benvenuti all'ultimo numero di "Road To Japan" per il 2017, nonché all'ultimo pezzo di #ggtb per quest'anno solare. La rubrica che vuole farvi scoprire i più interessanti giocatori nipponici vi porta oggi a Sapporo, dove il Consadole ha guadagnato una meritata e solida riconferma in J1: merito (anche) di Akito Fukuomori.

SCHEDA
Nome e cognome: Akito Fukumori (福森 晃斗)
Data di nascita: 16 dicembre 1992 (età: 25 anni)
Altezza: 1.81 m
Ruolo: Centrale difensivo, terzino sinistro
Club: Consadole Sapporo (2015-?)



STORIA
Nato a Fujisawa (una delle città della prefettura di Kanagawa che costeggiano l'oceano), Akito Fukumori è cresciuto in quella municipalità, frequentando la Tokogakuen High School. Nel 2010 s mette in luce delle performance eccellenti a livello scolastico, di fatto trovando un sacco di offerte da club della J. League. Niente università, si va direttamente al professionismo.
La scelta ricade sul Kawasaki Frontale, club non troppo lontano da casa e ben inserito nella prima divisione giapponese. Il problema è che Fukumori - essendo un ragazzo ancora minorenne e da inserire nel professionismo - non trova troppo spazio, né sotto Naoki Soma, né con Yahiro Kazama: è una riserva a tutti gli effetti.
In quattro anni al Kawasaki, mette insieme appena 22 presenze, segnando una rete in J1 League contro lo Shimizu S-Pulse. Tuttavia, una serie di giocatori nella difesa a quattro - Komiyama, Noborizato, Tanaka, Taniguchi - sono davanti nelle gerarchie al Kawasaki. Così Fukumori decide di provare un'altra esperienza, anche in seconda divisione.
La scelta ricade su Sapporo, dove il Consadole non riesce a risalire in J1 e ha bisogno di rinforzi difensivi. Il tecnico croato Ivica Barbarić non esita a schierarlo, ma viene esonerato a luglio 2015: il suo sostituto è Shuhei Yomoda, all'epoca uno degli assistenti nello staff tecnico. In realtà, Yomoda rappresenterà un trampolino di lancio per il difensore.
Sempre titolare con il nuovo allenatore, Fukumori cresce a vista d'occhio nel 2016. Sviluppa un fondamentale all'epoca nascosto, quello del calcio piazzato: pur giocando da centrale sinistro nel 3-4-2-1/3-5-2/3-4-1-2 del Consadole, il numero 24 rossonero passa dai quattro gol e quattro assist dell'anno precedente ai tre gol e 11 assist nel 2016.
Non solo, perché Fukumori è uno dei pezzi fondamentali per la vittoria della J2 e il conseguente ritorno in prima divisione dopo cinque anni. Il difensore si conferma anche in J1 - quattro reti e cinque assist -, ma soprattutto supera il test del gap tra J2 e J1. Il Consadole si salva e lui ha deciso di rimanere, nonostante gli Urawa Reds si fossero fatti sotto per il suo cartellino.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Ciò che stupisce di più è la duttilità di Fukumori, seppur questa dote vada circoscritta. Ai tempi del Kawasaki Frontale, il ragazzo non trovava il giusto posto in campo, schiacciato tra la pletora di giocatori che lo precedevano nelle gerarchie, la giovane età e un modulo - il 4-4-2 - che non lo faceva rendere al meglio.
Passato al Consadole Sapporo, ha trovato un nuovo modo di giocare - la difesa a tre - e si è inserito perfettamente. Yomoda si è divertito a provarlo ovunque: seppur il suo ruolo principale sia sempre stato quello di centrale di sinistra nella difesa a tre, Fukumori ha giocato da mediano, da libero di difesa e da esterno su entrambe le fasce (soprattutto a sinistra).
A quest'evoluzione, va abbinata la dote incredibile sui calci piazzati (il suo idolo da piccolo era Roberto Carlos), con un piede mancino capace sia di segnare che di fornire assist. La manifestazione è arrivata quest'anno in una gara sul campo dell'Omiya Ardija, dove Fukumori ha trascinato la squadra dallo 0-2 al 2-2 con due punizioni magistrali.
Cosa c'è da migliorare? Due cose di sicuro. La prima riguarda il lato fisico, dato che Fukumori sembra piuttosto leggero. La seconda è una sfumatura tattica: il ragazzo è un giocatore di sistema? Riuscirebbe a ripetere questo rendimento fuori dalla difesa a tre o avrebbe le stesse difficoltà viste al Kawasaki?

STATISTICHE
2011 - Kawasaki Frontale: 3 presenze, 0 reti
2012 - Kawasaki Frontale: 3 presenze, 0 reti
2013 - Kawasaki Frontale: 10 presenze, 0 reti
2014 - Kawasaki Frontale: 6 presenze, 1 rete
2015 -  Consadole Sapporo*: 41 presenze, 4 reti
2016 - → Consadole Sapporo*: 40 presenze, 3 reti
2017 - Consadole Sapporo: 37 presenze, 4 reti
* = in J2 League

NAZIONALE
Un peccato che l'EAFF E-1 Championship sia volato via senza la sua convocazione. A sinistra Kurumaya era una scelta sicura, ma si sperava ci potesse esser spazio anche per lui. La nazionale credo rimanga un sogno per Fukumori, che speriamo di vedere ricompensato almeno con una presenza nella sua carriera.

LA SQUADRA PER LUI
La prossima stagione sarà cruciale per Fukumori: ha giocato alla grande in J1 e con l'arrivo di Mihailo Petrović al Consadole le cose (probabilmente) non cambieranno. Si dovrebbe rimanere sulla difesa a tre e Fukumori avrà la possibilità di confermarsi: se ciò avvenisse, le porte per l'Europa potrebbero aprirsi per lui.

20.12.17

CHASING HISTORY: 5 momenti che hanno segnato il 2017

La conclusione del 2017 si sta avvicinando e allora è giusto riguardare alcuni momenti di quest'annata così ricca di eventi, sorprese e fermi immagini da ricordare. Dopo aver sperimentato questo format già nel 2016, #ChasingHistory is here!

Golden moment: ciao, Confederations Cup
Come detto anche in un articolo di giugno scorso, la Confederations Cup del 2017 potrebbe esser stata l'ultima. La Fifa e le mire egocentriche dell'Uefa - forse insoddisfatta dall'importanza massima che già riveste nello scenario mondiale - potrebbe optare per la cancellazione della competizione per far spazio a torneo-marchettone da 24 club che sarebbe il nuovo Mondiale per club. Auguri.

L'ultima finale? Se così fosse, l'ha vinta la Germania 1-0 contro il Cile.

A man to remember: Raymond Kopa
Quest'anno se n'è andato Raymond Kopa, uno degli ultimi protagonisti ancora in vita di quel Real Madrid che dominò la Coppa Campioni degli anni '50. Francese di origini polacche, Kopa ha giocato solo tre anni in Spagna, ma ha lasciato un discreto segno nella capitale iberica: sarebbe stato destinato alle miniere di carbone (dove ha anche perso un dito), ma il calcio l'ha riscattato.
Paradossalmente, nonostante abbia vinto due titoli in Liga e tre Coppe dei Campioni a Madrid, le squadre della sua vita sono state altre. Da una parte l'Angers, nel quale ha iniziato a giocare e che gli ha dedicato lo stadio; dall'altra il Reims, per cui ha giocato ben 13 anni e dove ha vinto quattro campionati francesi. Pallone d'Oro del 1958, sarà ricordato a dovere.



La partita dell'anno: Olanda-Danimarca 4-2
L'Europeo femminile è passato sotto silenzio, nonostante l'Italia ci fosse e il torneo abbia segnato qualche novità importante. C'è stato l'esordio alla fase finale di ben cinque nazionali, ma soprattutto è caduta la Germania, che ha trionfato nel torneo continentale dal 1995 al 2013, vincendo sei edizioni e anche i Mondiali del 2003 e del 2007.
E mentre l'Italia usciva in un girone con Germania, Svezia e Russia, le quattro semifinaliste vedevano in corsa per il titolo tutte nazionali mai vincitrici del torneo. Alla fine la sorpresa Danimarca si è dovuta inchinare in finale all'Olanda padrone di casa: 4-2 in favore delle Oranje, con Lieke Mertens sugli scudi (MVP, miglior giocatrice per l'Uefa e per la Fifa).



5. La favola europea dell'Östersunds FK
Nato il 31 ottobre 1996 (qualche giorno dopo che Arsene Wenger - prossimo avversario in Europa League con l'Arsenal - si era insediato alla guida dei Gunners), la storia dell'Östersunds è una follia. Il club è stato pensato dopo la fusione di diverse realtà locali (ben cinque dal '96 al 2000), in una città che viene denominata "Winter City" per quanto fa freddo.
L'Östersunds avrebbe voluto stare stabilmente nelle prime due divisioni svedesi, ma fino al 2013 militava ancora in terza categoria. Tutto questo fino all'arrivo di Graham Potter, ex giocatore nelle serie minori inglesi e al suo primo incarico da head coach: l'inglese prende il club e lo porta dalla quarta divisione nel 2011 alla promozione in Allsvenskan nel 2015.
L'Östersunds, però, non si è fermato lì: dopo il debutto (ottavi alla prima stagione), il club è comunque riuscito a portarsi a casa la Svenska Cupen, sconfiggendo in finale per 4-1 un gigante storico come l'IFK Norrköping. In Europa League, la sorpresa è andata avanti: il club svedese ha passato il turno, sconfiggendo persino l'Hertha Berlino.

Dalla terza divisione svedese all'Europa League.

4. Camerun campione (ma niente Mondiale)
Dopo due presenze di fila (per altro ingloriose, con due brutte uscite ai giorni), il Camerun non ci sarà a Russia 2018. Tuttavia, i Leoni Indomabili si sono potuti consolare con il quinto titolo continentale, festeggiato a sorpresa su un Egitto solido, ma evidentemente battibile nell'appendice finale di Libreville, chiusa in rimonta per 2-1.
Dopo il capolavoro di Hugo Broos, il Camerun dovrà ripartire da altro. La nuova generazione è sembrata promettente, ma non abbastanza quanto la precedente. Toccherà ai vari Onana, Ondoa, Tolo, Anguissa e Bassogog tirare fuori una squadra finita parecchio lontana dalla Nigeria nel gruppo di qualificazione a Russia 2018.

Con Eto'o non si è vinto per tanto tempo, ma è bastata una zampata artistica di Aboubakar per rimontare e chiudere la finale contro l'Egitto.

3. L'epopea dell'Olympique Lyonnais Féminin
C'era una volta l'Olympique Lione che dominava la Ligue 1 e la Francia intera, arrivando persino in semifinale di Champions League nel 2010. Quell'epopea è finita, ma non vuol dire che la dinastia vincente si sia conclusa. Ha solo cambiato abiti, visto che la squadra femminile dell'OL ha un ruolino di marcia che fa spavento solo a vederlo.
L'Olympique Lyonnais Féminin è campione di Francia da 11 stagioni consecutive, così come vince la coppa nazionale da sei annate di fila. Il PSG femminile non riesce nemmeno lontanamente ad avvicinarsi, sebbene abbia sfiorato la vendetta nell'ultima finale di Champions League femminile: ha rivinto l'OL, con il quarto trofeo nella competizione europea.

Con gol del portiere nella lotteria dei rigori. Beffa su beffa.

2. Ma non si annoiano al Real Madrid?
La risposta è no. Zinedine Zidane e i suoi ragazzi hanno vinto un'altra Champions League, un'altra Supercoppa Europea e un altro Mondiale per club. Abbiamo di fronte una macchina forse noiosa, ma perfettamente solida e che il tecnico francese guida con una sagacia vista raramente negli ultimi anni. Il Real Madrid sembra anni luce lontano dal resto del mondo e il merito è meno di Cristiano Ronaldo e più degli altri.

Un peccato che Luka Modric non sia stato seriamente considerato per il Pallone d'Oro di quest'anno.

1. Vacanze italiane (e americane)
Sembra strano a dirlo, ma non ci saranno né l'Italia né gli Stati Uniti al prossimo Mondiale. Tuttavia, bisogna fare due discorsi diversi.

Nonostante la carica di ottimismo e di convinzione storica di cui ci siamo riempiti (l'Italia che non va al Mondiale? Ma ti pare?), gli azzurri non ci saranno in Russia. E nonostante i tentativi di convincerci che non è corretto, è giusto così. I posti per l'Uefa sono pure troppi in una competizione a 32 squadre e noi eravamo destinati al secondo posto nel girone dalla pesante sconfitta di Madrid.
L'Italia ha fatto alcune scelte sbagliate: ha posticipato il rinnovamento (affidandosi ancora a certi giocatori che già a Euro 2016 avrebbero voluto salutare), ha scelto un ct integralista, ha una federazione che non è l'esempio che vorremmo vedere. Questi fattori - uniti alla tensione di una situazione insolita, il giocarsi l'accesso alla fase finale di un Mondiale - hanno prodotto il patatrack atteso.

Ma agli Stati Uniti è andata peggio. Cazzo, se è andata peggio. Pardon il linguaggio - non sono solito usare queste terminologie -, ma l'eliminazione degli States è una catastrofe rispetto a quella italiana. Se ho sempre pensato che ci fosse un 5-10% di non vedere l'Italia a Russia 2018, quella percentuale si riduceva allo 0,1% per gli USA.
Perché la zona Concacaf è un oligopolio, in cui il tandem USA-Messico se la canta e se la suona dagli anni '90 (guardate l'albo d'oro della Gold Cup). Perché la Concacaf aveva tre posti e mezzo: a vederla nera, avrei visto gli Stati Uniti ai play-off. Invece l'ultima giornata - piena di risultati imprevedibili (ancor più della sconfitta Usa a Trinidad, quella del Messico in Honduras!) - ha regalato una tragedia nazionale.

Ci sarebbe anche Alexi Lalas, ma Taylor Twellman la riassume bene: «Non pareggi in casa di Trinidad & Tobago? Allora non meriti di andare al Mondiale».

16.12.17

UNDER THE SPOTLIGHT: Christian Cueva

Buongiorno a tutti e benvenuti all'ultimo numero del 2017 per "Under The Spotlight", la rubrica che cerca di scovare i talenti più interessanti in giro per il mondo. Oggi ci spostiamo in Brasile, dove il São Paulo FC può contare su un ex discontinuo, oggi decisivo per il suo Perù: Christian Cueva vuole prendersi tutto nel 2018.

SCHEDA
Nome e cognome: Christian Alberto Cueva Bravo
Data di nascita: 23 novembre 1991 (età: 26 anni)
Altezza: 1.69 m
Ruolo: Trequartista, ala
Club: São Paulo FC (2016-?)



STORIA
Nato a Trujillo, a due anni Cueva lascia la città trasferendosi per volere della famiglia a Huamachuco, un centro leggermente più interno. Da quelle parti il giovane impressiona i dirigenti dell'Universidad San Martín, club al quale si unisce sotto la guida di Víctor Rivera: con Los Albos, vince due campionati nazionali e gioca anche in Libertadores.
A metà del 2012, nonostante un buon rendimento, la società decide di cederlo per la sua indisciplina e Cueva passa per sei mesi all'Universidad César Vallejo. Un breve intermezzo prima dell'Unión Española, club cileno con il quale vince un titolo. Qualcuno in Europa comincia a interessarsi a lui e l'offerta giusta arriva dalla Liga.
Il Rayo Vallecano decide di prelevarlo in prestito, ma di fatto Cueva non trova posto nella gestione di Paco Jémez: anzi, le uniche soddisfazioni iberiche sono giocando per la squadra riserve, dov'è devastante (cinque reti in otto gare, seppur la B del Rayo militasse in Tercera División). Non c'è spazio per lui ed è meglio tornare in patria.
Ad accoglierlo è l'Alianza Lima, club all'epoca allenato da Guillermo Sanguinetti. Ed è incredibile come Cueva continui a mostrare un mix di talento e poca disciplina: è decisivo in alcune gare, ma viene sospeso per sei gare per rimostranze eccessive all'arbitro nella gara contro il Real Garcilaso. Ciò nonostante, la classe rimane.
Non è un caso che dopo la Copa América del 2015, i messicani del Toluca vogliano fortemente il giocatore: è solo l'anticamera del passaggio ai brasiliani del San Paolo, con i quali veste la prestigiosa "10", voluto da Edgardo Bauza. Cueva sta dimostrando tutto il suo valore, nonostante il rendimento del club negli ultimi due anni di Série A sia stato deficitario.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Se si osservano i principali higlights del ragazzo, parliamo di un trequartista rapido e sgusciante, proprio per questo capace di giocare da ala su entrambe le fasce (meglio se sull'out sinistro, in modo da rientrare e colpire con il suo destro). Un'esperienza già fatta in Messico, dove José Cardozo - tecnico del Toluca - preferiva schierarlo come esterno. 
Il suo dribbling e la sua capacità di scattare sul breve è utile per creare spazi, soprattutto nei punti più intasati del campo. Viene però da chiedersi se quest'entropia assoluta - utile in campionati come quelli sudamericani e come la Liga MX - possa esser limitante se spostata in un altro scenario calcistico, come quello europeo.

STATISTICHE
2008 - Universidad San Martín: 18 presenze, 2 reti
2009 - Universidad San Martín: 16 presenze, 3 reti
2010 - Universidad San Martín: 40 presenze, 6 reti
2011 - Universidad San Martín: 31 presenze, 4 reti
2012 - Universidad San Martín: 25 presenze, 5 reti / Universidad César Vallejo: 5 presenze, 0 reti
2013 - Unión Española: 16 presenze, 0 reti
2013/14 -  Rayo Vallecano: 2 presenze, 0 reti /  Rayo Vallecano B: 8 presenze, 5 reti
2014 - Alianza Lima: 15 presenze, 3 reti
2015 - Alianza Lima: 16 presenze, 6 reti
2015/16 - Toluca: 49 presenze, 6 reti
2016 - São Paulo FC: 26 presenze, 7 reti
2017 - São Paulo FC: 43 presenze, 9 reti

NAZIONALE
Strano a dirsi, ma Cueva non ha avuto questo gran passato nelle giovanili del Perù, visto che è emerso avendo già sulle spalle 19-20 anni. Appena quattro gare con l'U-20 nel Sub-20 del 2011 e poi l'esordio con la nazionale maggiore nello stesso anno, giocando poco più di un'ora nell'amichevole del giugno 2011 contro il Giappone.
Se due uruguayani l'hanno fatto esordire in U-20 e poi in nazionale maggiore - ovvero Gustavo Ferrín (non solo: ha allenato l'Uruguay U-20 al Sub-20 del 2005, lo stesso in cui c'erano Muslera, Godín e il Cebolla Rodriguez) e Sergio Markarián -, è stato poi Ricardo Gareca a render Cueva un pezzo fondamentale della sua nazionale. 
Il Perù ha collezionato alcune delusioni, ma da quando El Flaco è il titolare della panchina della nazionale maggiore, la Blanquirroja ha cominciato a volare: terza alla Copa América del 2015, qualificata al Mondiale di Russia 2018 e soprattutto capace di approfittare dei momenti giusti per prendersi risultati prestigiosi.
Proprio nella Copa América 2015, Cueva ha segnato il primo gol in nazionale contro il Brasile. Da lì, è stato poi inserito nella Top 11 del torneo e ha soprattutto cementato il suo status in nazionale: Gareca non ci ha più rinunciato: ben quattro gol e tre assist nelle eliminatorie al Mondiale 2018, raggiunto anche grazie al suo contributo.

LA SQUADRA PER LUI
Il Brasile ha visto partire diversi giocatori negli ultimi anni e non c'è dubbio che Cueva sia ora più maturo di quanto tentò l'avventura europea con il Rayo Vallecano. Il periodo trascorso tra San Paolo e la nazionale l'ha cambiato, Gareca ha plasmato un giocatore diverso: la Liga e la Ligue 1 sarebbero due ambienti curiosi di testarlo.

6.12.17

WITNESSING TO CHAMPIONS – 2017 Edition

Sta per finire un'altra annata: il 2017 si avvicina alla sua conclusione e siamo pronti per la consueta rubrica annuale: "Witnessing To Champions" si occupa di celebrare quei campioni che in quest'anno solare hanno chiuso la loro carriera, lasciandoci diverse testimonianze del loro talento e qualche rimpianto.

Ogni anno diciamo che è stato un anno di ritiri eccellenti, però in questo caso è proprio vero che si ha avuto una lista di personalità note nel calcio che hanno detto addio. Forse è stato persino difficile fare una cernita e dover scegliere cinque nomi: anzi, il formato "4+1" (quattro ritiri eccellenti più uno più curioso) è stato messo da parte proprio perché l'eccellenza del calcio si sta fermando o si è fermata in questo 2017.

Mentre attendiamo di capire di più sul destino di Kakà, salutiamo le performance del campo di Oleksandr Shovkovskiy, storico capitano della Dinamo Kiev e portiere dell'Ucraina in più occasioni (saluta a 41 anni: si è ritirato a metà della stagione 2016-17), e Dirk Kuyt, che meriterebbe di esser in questa lista, ma del quale ho parlato ampiamente già quando tornò al Feyenoord, diventando poi decisivo nella conquista del titolo a maggio.

Quindi proseguiamo con la lista dei cinque ritiri eccellenti del 2017.
  • Philipp Lahm (difensore, 11 novembre 1983) ha deciso di lasciare il Bayern Monaco alla fine del 2016-17. Ha vestito anche la maglia dello Stoccarda per un biennio e ha dedicato poco più di due decadi al Bayern. Ha anche vinto il Mondiale 2014, ritirandosi il giorno dopo.

Il Bayern era pronto a dare a un suo pezzo di storia un posto nel club: è successo per Rummenigge, così come per Hoeneß. Figuriamoci se non ci fosse un posto per Philipp Lahm, eppure lui ha detto no al ruolo di d.s. e in generale a un inquadramento nel Bayern: «Voglio staccare la spina e ricaricare le batterie. Dopo mi occuperò sicuramente di temi dell'imprenditoria e voglio farmi coinvolgere maggiormente».
Il ricordo che ci rimarrà di Lahm (ne ho parlato già qui, quando si ritirò dalla nazionale) è quello di un essere umano diverso, di un giocatore iper-lodato da Pep Guardiola, di un terzino che ha imparato a fare il regista davanti alla difesa scavallati i 30. Di un capitano che ha alzato una Champions League e una Coppa del Mondo, di fatto essendo il protagonista, ma in silenzio. Non è da tutti.

  • Francesco Totti (attaccante, 27 settembre 1976) ha giocato per tutta la carriera con la Roma. Ha esordito nel marzo del '93, giocando poi i minuti finali di Roma-Genoa 3-2 nel maggio scorso. Il suo addio ha fermato un'intera città; la sua storia con la nazionale è stata breve ('98-2006), ma ha portato un titolo Mondiale.

Francesco Totti è stato tra i talenti più puri avuti dall'Italia nel dopo-guerra. Un fatto incontestabile, comunque vogliate inquadrare un personaggio fedele più alla sua città che al suo talento. Quest'ultimo gli avrebbe permesso di andare ovunque - Chelsea e Real Madrid sono state due possibilità serie, così come la Samp negli anni '90 -, ma lui ha scelto di rimanere a Roma.
Non devo certo lodare io il talento di Totti, né ricordare come la sua bacheca - fatta di uno scudetto, due Supercoppe Italiane e altrettante Coppe Italia, nonché del Mondiale 2006 - sarebbe potuta esser più piena. E se invece fosse stata la paura a trattenere Totti a Roma? 
L'ha detto anche nel suo addio: «Mi levo la maglia per l’ultima volta. La piego per bene, anche se non sono pronto a dire basta e forse non lo sarò mai. Scusatemi se in questo periodo non ho rilasciato interviste e chiarito i miei pensieri, ma spegnere la luce non è facile. Adesso ho paura». E se la paura non gli avesse dato la forza per lasciare l'ambiente tranquillo, quello in cui nessuno l'avrebbe sfidato veramente? Non lo sapremo mai.

  • Xabier "Xabi" Alonso Olano (regista, 25 novembre 1981) ha vestito le maglie di Real Sociedad, Eibar (in prestito), Liverpool, Real Madrid e infine Bayern Monaco. La sua bacheca è enorme e variopinta: ha alzato due Champions League, ha vinto tutto con la Spagna della generazione d'oro e di fatto ha insegnato calcio in tre paesi diversi.

Calciatore più cool del pianeta fino al suo ritiro, Xabi Alonso ha la mentalità di cui potrebbe aver successo anche fuori dal campo e dal calcio in generale. Non mi stupirei di vederlo in panchina o - meglio ancora - in un ruolo stile Bierhoff per la Spagna. Gli iberici avrebbero bisogno di un cervello superiore come quello di Xabi Alonso.
Intanto, le sue priorità sono sembrate chiare, anche se la nostalgia è inevitabilmente parte del processo d'addio: «Mi mancherà giocare, perché è una parte importante della mia vita. Non sarà facile riempire quel gap, ma la vita va avanti. Ci saranno nuove sfide per me e ci voglio provare». Come la sua mente quando giocava e impostava tracciati sul terreno di gioco.

  • Frank James Lampard (centrocampista, 20 giugno 1978) si è ritirato dopo una bella esperienza in Major Soccer League con il New York City FC. Ha vestito le maglie di West Ham United, Swansea City (in prestito), Chelsea e Manchester City. Gli rimane qualche rimpianto con la nazionale inglese, con la quale ha giocato 106 gare e segnato 29 gol.

Se Steven Gerrard è il suo contro-canto, anche Frank Lampard a modo suo ha segnato il modo di fare il centrocampista box-to-box. I suoi inizi al Chelsea non suggerivano tale esplosione, ma Claudio Ranieri - all'epoca allenatore dei Blues - l'ha fatto emergere negli inizi dell'era Abramovich, di fatto regalandogli una carriera stellare.
Il resto (e non è cosa da poco) ce l'ha messo Frankie, capace di segnare ben 312 gol in carriera, di diventare un riferimento per il calcio inglese e persino trovarsi in mano una Champions League, un trofeo che sembrava diventato impossibile da vincere a un certo punto per il Chelsea. Con l'Inghilterra forse sognava altre imprese, ma non è andata altrettanto bene.

  • Maxwell Scherrer Cabelino Andrade (terzino sinistro, 27 agosto 1981) ha giocato per alcuni dei maggiori club europei: un anno di Cruzeiro, poi Ajax, uno strano passaggio all'Empoli, Inter, Barcellona e Paris Saint-Germain. Solo 10 presenze con il Brasile, eppure...

Vi sfido a trovare una bacheca più piena della sua: oltre alla bontà del giocatore, l'inserimento in questa eccellente cinquina sta proprio in questo dato. Ben 33 allori in cinque paesi diversi, il terzino ha vinto molto più di tanti suoi famosi connazionali. Al tempo stesso, ha creato una sorta di bromance con Zlatan Ibrahimovic, visto che ha giocato con lui in quattro squadre diverse. Oggi riparte da un ruolo da assistente d.s. al Paris Saint-Germain, ma al momento del ritiro era il giocatore più titolato in Europa.

30.11.17

ROAD TO JAPAN: Jun Amano (天野 純)

Buongiorno a tutti e benvenuti al numero 11 del 2017 per "Road to Japan", la rubrica che vi consente di scoprire i migliori talenti del panorama nipponico. Oggi ci spostiamo a Yokohama, dove la ricostruzione dei Marinos procede bene sotto Erick Mombaerts: la nuova stella che affianca Manabu Saito (di cui parlammo qui) è Jun Amano.

SCHEDA
Nome e cognome: Jun Amano (天野 純)
Data di nascita: 19 luglio 1991 (età: 26 anni)
Altezza: 1.75 m
Ruolo: Trequartista, centrocampista, seconda punta
Club: Yokohama F. Marinos (2014-?)



STORIA
Nato nel luglio '91 a Miura (nella prefettura di Kanagawa), Jun Amano ha frequentato la Juntendo University, ma in realtà ha frequentato gli Yokohama F. Marinos e il suo settore giovanile per tutti gli anni 2000. Un legame a doppio filo, visto che poi - finita l'università - Amano è tornato a Yokohama per giocare da professionista con i Marinos.
In fondo, qualcosina si era già visto da giocatore-accademico: con la Juntendo University, Amano ha giocato due partite nella Coppa dell'Imperatore 2010, segnando due reti nella gara del primo turno contro il Vanraure Hachinohe (vinta ai supplementari per 5-4). Le solite parole d'introduzione al club - «Sono contento di realizzare questo sogno: vestire la maglia dei Marinos è qualcosa che volevo sin da piccolo» - sono più vere del solito.
Anche il primo anno a Yokohama è stato sulle stesse cifre, perché imparare richiede tempo. Un 2014 da due presenze e una rete, proprio in Coppa dell'Imperatore nella gara contro l'Honda Lock in un facile 3-0. Ci è voluto però un cambio in panchina per lanciare Amano definitivamente, assieme a un'altra dinamica.
Se Yasuhiro Higuchi è l'uomo che ha fatto esordire Amano, Erick Mombaerts è colui che l'ha fatto maturare. Assieme all'arrivo del tecnico francese, va considerato un'altra dinamica: gli Yokohama F. Marinos venivano da una generazione arrivata a fine ciclo e avevano bisogno di un ricambio generazionale, che sta avvenendo in questi anni.
Assieme a Kurihara, capitan Nakazawa e Iikura, c'è una serie di giovani che si sono ormai inseriti (Kida, Togashi, Endo, Maeda). E tra loro, Amano - che è un po' più grande, visto che è un classe '91 - si è fatto sentire. Dalle due presenze del 2014 si è arrivati alle 35 di quest'anno, accompagnate da cinque reti, anche di pregevoli fattura.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Non sono pochi quelli che in lui rivedono uno Shunsuke Nakamura meno dotato. E in effetti, negli anni in cui hanno giocato insieme, si sono viste delle somiglianze: il mancino letale, le punizioni, l'andamento dinoccolato, le movenze, il dribbling compassato, ma secco. Fisicamente è leggerino, ma rimane un giocatore interessante per certi contesti.
Lo è anche dal punto di vista tattico: trequartista, Mombaerts ha avuto modo anche di testarlo nel 4-2-3-1 qualche metro più indietro, un ruolo che potrebbe ricoprire anche nella veste di regista qualora il suo moto dinamico si riduca ulteriormente con l'età.

STATISTICHE
2014 - Yokohama F. Marinos: 2 presenze, 1 rete
2015 - Yokohama F. Marinos: 12 presenze, 0 reti
2016 - Yokohama F. Marinos: 24 presenze, 2 reti
2017 - Yokohama F. Marinos (in corso): 35 presenze, 5 reti

NAZIONALE
Un peccato che l'EAFF Asian Cup l'abbia visto fuori dalle convocazioni del ct Vahid Halilhodžić, che evidentemente non lo considera. A differenza di tanti altri profili di cui abbiamo parlato in questa rubrica, la speranza è che Amano abbia la possibilità di giocare in nazionale giusto per il merito di avere una presenza in JNT. 
In fondo, Amano ha già all'attivo un'Universiade a Kazan 2013 per il Giappone. Sicuramente non rientrerà nelle scelte dell'attuale commissario tecnico almeno fino al giugno 2018, data del Mondiale. A quel punto avrà già 28 anni ed è difficile pensare che possa rientrare nel giro di scelte del prossimo allenatore. Tuttavia, se Yusuke Minagawa e Tatsuya Sakai hanno una presenza in JNT, perché non lui?

LA SQUADRA PER LUI
Un esperimento europeo sarebbe interessante, ma sarebbe meglio aspettare anche la stagione 2018, giusto per capire se Amano si può prendere i Marinos definitivamente sulle spalle o se c'è qualche remora tecnica o di leadership nel guidare la squadra alla transizione ultima, che dovrebbe concludersi l'anno prossimo.
Nel caso andasse tutto bene, vederlo in Olanda - soprattutto in quest'Eredivisie - sarebbe una grossa curiosità. Specie se dovesse scegliere qualche piazza di metà classifica.


26.11.17

UNDER THE SPOTLIGHT: Fahad Al-Muwallad (فهد المولد)

Buongiorno a tutti e benvenuti al numero 11 del 2017 riguardante Under The Spotlight, la rubrica che vi consiglia alcuni talenti nascosti in giro per il mondo. Oggi ci spostiamo in Arabia Saudita, dove Fahad Al-Muwallad sta lentamente crescendo ed è già un riferimento sia per la nazionale che per l'Al-Ittihad, uno dei più grandi club del paese.

SCHEDA
Nome e cognome: Fahad Mosaed Al-Muwallad (فهد المولد)
Data di nascita: 14 settembre 1994 (età: 23 anni)
Altezza: 1.66 m
Ruolo: Ala, mezzala, seconda punta
Club: Al-Itthiad (2011-?)


STORIA
Nato nella popolosa Gedda nel '94, pare che il talento di Fahad Al-Muwallad fosse cristallino già quand'era piccolo, tanto che la leggenda riporta persino come sia stato avvicinato da uno scout del Barcellona in età giovanissima. In realtà, il suo sogno è sempre stato giocare per l'Al-Ittihad, il club con il quale ha militato fin dall'età di sei anni.
L'hype che l'ha seguito a livello locale è stato talmente forte da creare attesa persino per il suo debutto, avvenuto all'età di 16 anni contro l'Al-Raed FC nella Saudi Professional League. Qualcuno avrebbe detto di andarci piano, ma nessuno al club ha mai pensato di lasciarlo da parte: ha giocato persino una semifinale di Champions League asiatica a 18 anni appena compiuti.
Già nel 2012-13 - la prima stagione piena da professionista - si vedevano i progressi compiuti da Al-Muwallad. Il peccato è che l'Al-Ittihad in questi anni ha avuto un rendimento al ribasso: dalla metà degli anni 2000 - in cui il club aveva vinto la Champions League asiatica due volte di fila, partecipando al primo Mondiale per club -, sono arrivati pochi titoli.
Nessun titolo nazionale, solo due vittorie nelle coppe: la King Cup of Champions del 2013 e la Crown Prince Cup del 2017. Tuttavia, nessuno dei vari manager che si è succeduto ha mai pensato di rinunciare al suo talento: da Matjaž Kek (l'uomo che l'ha lanciato) all'ultimo José Luis Sierra, passando per Beñat San José e Victor Pițurcă. Nessuno. 
Dopo la Coppa d'Asia del 2015, il prossimo Mondiale sarà ovviamente una vetrina fondamentale.

CARATTERISTICHE TECNICHE
L'area del Middle East per Forbes ha riportato come la FIFA abbia segnalato il ragazzo tra i dieci talenti che stanno emergendo più velocemente al mondo. Ala di professione (la fascia è quasi indifferente), Al-Muwallad può anche giocare da mezzala in uno schieramento particolarmente offensivo (non te lo puoi permettere spesso) o da seconda punta.
Duttile e fisicamente grezzo, il ragazzo ha delle capacità atletiche notevoli: corsa muscolare, dinamica e particolarmente potente in progressione, specie senza palla. Inoltre, può contare su un buon feeling con la porta: su cinque stagioni piene da pro, quattro sono finite in doppia cifra. Non è poco: un salto europeo lo migliorerebbe tatticamente.

STATISTICHE
2011/12 - Al-Ittihad: 2 presenze, 0 reti
2012/13 - Al-Ittihad: 31 presenze, 10 reti
2013/14 - Al-Ittihad: 39 presenze, 12 reti
2014/15 - Al-Ittihad: 25 presenze, 10 reti
2015/16 - Al-Ittihad: 31 presenze, 3 reti
2016/17 - Al-Ittihad: 23 presenze, 13 reti
2017/18 - Al-Ittihad (in corso): 6 presenze, 2 reti

NAZIONALE
Al-Muwallad ha partecipato al Mondiale U-20 del 2011, in cui l'Arabia Saudita uscì agli ottavi contro il Brasile e lo stesso giovane centrocampista andò a segno contro la Croazia in una delle partite del girone. Dopo una brevissima apparizione con l'U-23, il nuovo ct Bert van Marwijk gli ha aperto le porte della nazionale maggiore.
Il tecnico olandese si è reso conto che con Al-Muwallad avrebbe potuto contare su un patrimonio tecnico e atletico notevole. La scelta ha pagato, visto che dopo l'esordio - arrivato nel gennaio 2013, sotto Juan Ramón López Caro (in gol contro la Cina) - il ragazzo è rimasto cardine della nazionale, segnando il gol decisivo contro il Giappone per tornare al Mondiale dopo 12 anni.

LA SQUADRA PER LUI
Il recente accordo tra la federazione spagnola e quella saudita permetterà di vedere qualche faccia nuova nel mercato invernale: diverse squadre di Liga e Segunda División accoglieranno in prestito giocatori della nazionale, in modo da far guadagnare loro esperienza in vista del prossimo Mondiale.
E se l'accordo sembra un po' tardivo e pasticciato per fare qualche differenza nell'immediato futuro, ciò nonostante c'è curiosità nel vedere Al-Muwallad inserito in quel contesto. Soprattutto in qualche compagine di Segunda División - Rayo Vallecano o Tenerife due soluzioni da testare -, il giocatore potrebbe crescere e persino trovare un suo spazio in Europa.

17.11.17

Last chance.

Roma non è stata costruita in un giorno. E di certo, il Giappone non troverà rivelazioni improvvise da qui a giugno 2018: il dado è tratto e racconta di una squadra solida, ma totalmente diversa da quatro anni fa. Anche nel mood: nel 2013 c'era eccitazione, oggi sembra regnare la rassegnazione. L'EAFF East Asian Cup è l'ultima chance di cambiare registro.

La resa dei conti è arrivata per il ct Vahid Halilhodžić, 65 anni.

Intendiamoci: non avverrà. Finora Vahid Halilhodžić si è dedicato al suo sport preferito, ovvero il "blastare" la J. League in lungo e in largo. Se da una parte non c'è dubbio che ci sia bisogno di nuove figure dirigenziali, magari provenienti dal campo, dall'altra non si capisce cosa si aspettasse il tecnico bosniaco quando ha accettato l'incarico nel marzo 2015.
Si aspettava la Ligue 1? No, la J. League è già adesso uno dei 15 migliori campionati al mondo per organizzazione e livello tecnico, ma non siamo ancora lì. Si aspettava uno spirito calcistico sviluppato? Il professionismo è arrivato solo 25 anni fa in Giappone. Si aspettava più rispetto? Finora è stato persino poco pungolato.
A questo dobbiamo aggiungerci il fatto che la stessa natura dell'EAFF East Asian Cup, che non è un torneo importante, ma un modo per sperimentare giocatori che stanno in patria. Purtroppo non è facile farlo in tre partite. Prendiamo tre atteggiamenti diversi in esame.
Nel 2010, il torneo si disputa a febbraio, qualche mese prima del Mondiale sudafricano. L'allora ct Takeshi Okada decide di portare 23 giocatori: 16 di questi saranno poi sull'aereo per Città del Capo. C'è però una postilla non da poco: all'epoca di giapponesi in Europa ce n'erano pochi ed era più facile testare la nazionale che poi avrebbe giocato il Mondiale.
Nel 2013, con Alberto Zaccheroni sulla panchina nipponica, si fanno dei veri esperimenti, perché la situazione è cambiata: sono diventati tanti i giocatori impegnati in Europa e si gioca a luglio. Quel gruppo vincerà il torneo e sei di quei ragazzi andranno poi in Brasile: di fatto, in quelle tre gare diventa chiara l'importanza di Osako e Kakitani.
Vahid Halilhodžić ha già all'attivo una partecipazione, quella del 2015: il peggior risultato del Giappone, che arriva ultimo. Il nuovo ct chiama qualche volto nuovo, ma alcuni non vengono nemmeno schierati e di fatto si concentra su quelli che già fanno parte del gruppo. Un errore che probabilmente verrà ripetuto in vista dell'edizione di quest'anno.
Infatti il Giappone ospiterà a dicembre il torneo - che si tiene ogni due anni - e non escludo che Halilhodžić trolli tutti, portando una squadra che già conosce. La J. League sarà finita e lui avrà ampia scelta, ma non mi stupirei se vedessi una formazione così disposta: Nishikawa; G. Miura, Shoji, Makino, Kurumaya; Ideguchi, Yamaguchi, Nagasawa; Kurata, Sugimoto, Koroki.

Il punto più basso dell'ultima edizione, nel 2015: la sconfitta subita in rimonta dalla Corea del Nord. Quell'edizione la vincerà la Corea del Sud; Yuki Muto, il miglior giocatore per il Giappone in quella competizione, non verrà più convocato, ma ha comunque segnato 25 gol negli ultimi due campionati con l'Urawa.

La verità, però, è che questa competizione è l'ultima reale occasione di testare gente che la nazionale non l'ha mai vista, l'ha vista poco o non la vede da tanto tempo. So che il tecnico bosniaco non lo farà, ma io ci provo a immaginare una nazionale del tutto nuova, con giocatori che potrebbero rivelarsi, rientrare dopo diverso tempo o prendersi una sorta di riconoscimento alla carriera (per i giapponesi è un onore giocare in nazionale anche in tornei così).

Portieri - Non capirei il senso di chiamare sia Nishikawa che Higashiguchi, che sono nel gruppo da una vita e non hanno nulla da dimostrare. Che piaccia o meno a Hali, è il turno di Kosuke Nakamura (Kashiwa Reysol). Con lui, chiamare Akihiro Hayashi (FC Tokyo) e... bella domanda. 
Non ci sono tanti portieri giapponesi affidabili: premierei a sorpresa Hiroki Iikura (Yokohama F. Marinos), che è uno dei motivi per cui i Marinos si stanno ancora giocando un posto nella prossima Champions League asiatica.

Terzini - Va confermato Shintaro Kurumaya (Kawasaki Frontale), che ha esordito in nazionale e può beneficiare di una vetrina del genere. Con lui, ci sarebbe Tomoya Ugajin (Urawa Red Diamonds), che da terzino è meno affidabile che da esterno a tutto campo, ma andrebbe provato. A sinistra, anche le opzioni Fukumori e Matsubara sarebbero invitanti.
A destra Genta Miura (Gamba Osaka) è da tenere in queste brevi rotazioni, anche perché è già stato convocato. Accanto a lui, segnalerei Ryuta Koike (Kashiwa Reysol), un classe '95 che in tre anni è passato dal giocare in quarta divisione nel Renofa Yamaguchi all'esser titolare in J. League.

Centrali difensivi - Shoji e Makino, pur giocando in patria, non hanno bisogno di esser presenti. Sarebbe meglio testare Naomichi Ueda (Kashima Antlers) e Shinnosuke Nakatani (Kashiwa Reysol). Gli altri due nomi vedrebbero una sfida a tre, a mio modo di vedere.
Da una parte Yuta Nakayama (Kashiwa Reysol) e Tatsuki Nara (Kawasaki Frontale), che hanno certamente fatto meglio di Takuya Iwanami (Vissel Kobe); dall'altra, Kentaro Oi (Jubilo Iwata), per il quale la convocazione per questo torneo sarebbe un premio alla carriera e alla stagione 2017. Io andrei per un mix, a voi la scelta del giovane di turno.

Tanto per fare un nome a caso: Mu Kanazaki, 28 anni.

Centrocampisti - Kazuki Nagasawa (Urawa Red Diamonds) ha esordito con la nazionale nell'amichevole contro il Belgio: scelta random di Halilhodžić, visto che il centrocampista non aveva visto troppo spazio. Tuttavia, è giusto che rimanga nel pacchetto. A lui vanno affiancati subito due nomi facili.
Ryota Oshima e Shogo Taniguchi (Kawasaki Frontale) sono diversi, ma di fatto sono due giocatori a cui va dato più spazio. Entrambi hanno già giocato in nazionale (rispettivamente una e due presenze), ma continuare a ignorarli non fa bene a nessuno. Il primo è un play creativo, il secondo gioca in difesa, ma potrebbe esser schierato da mediano.
A loro vanno aggiunti Riki Harakawa (Sagan Tosu), che sotto Massimo Ficcadenti ha trovato il giusto pace, mentre Kazuya Yamamura (Cerezo Osaka) si è rifatto una reputazione giocando da semi-trequartista dopo una vita in difesa. L'ultimo nome è Kento Misao (Kashima Antlers), che sta silenziosamente prendendosi il suo spazio.

Ali - Di ali potremmo sceglierne una marea, ma Shoma Doi (Kashima Antlers) merita una chance definitiva: al Mondiale per club ha fatto sfaceli, eppure la JFA e Halilhodžić continuano a ignorare gli Antlers. Con lui ci dev'essere a sinistra Hiroyuki Abe (Kawasaki Frontale), che lontano dal Gamba Osaka è esploso e ha giocato una stagione super.
A destra la situazione è più complessa. I due nomi sono facili: da una parte c'è Junya Ito (Kashiwa Reysol), un'iradiddio che per qualche motivo non è stato notato da nessuno; dall'altra la logica direbbe di scegliere un profilo nuovo, ma come si fa a non testare Yu Kobayashi (Kawasaki Frontale), che è stato il MVP indiscusso della J. League 2017?

Centravanti - La fredda realtà dirà che Halilhodžić chiamerà Shinzo Koroki e Kenyu Sugimoto, che però non sembrano aver bisogno di tale vetrina per dimostrare ciò che sanno o non sanno fare (per altro, Koroki c'era due anni fa con Halilhodžić in Corea).
La fantasia e la logica imporrebbero altri due nomi, entrambi in casa Kashima Antlers. Il primo è quello di Yuma Suzuki, che sarà un personaggio discusso, ma è un giocatore in divenire e sarà un buon attaccante in futuro. E l'altro nome crea persino più problemi.
Da quando è rientrato in Giappone con la maglia degli Antlers, Mu Kanazaki è stato il miglior giocatore che si sia visto in J. League per continuità ed efficacia. Eppure Halilhodžić l'ha preso per un po' in considerazione, poi l'ha scaricato a metà del 2016. C'è bisogno di lui: un jolly così non ce l'hai spesso tra le mani.

Uno come Junya Ito, 24 anni, nel 4-3-3 deve essere almeno provato.

Rosa completa (tra parentesi le presenze in nazionale):
GKs - Hayashi (0), Iikura (0), K. Nakamura (0)
FBs - Koike (0), Kurumaya (1), G. Miura (0), Ugajin (0)
CBs - Nakatani (0), Nara (0), Oi (0), Ueda (0)
DM/CMs - Harakawa (0), K. Misao (0), Nagasawa (1), Oshima (1), Taniguchi (2), Yamamura (1)
WGs - H. Abe (0), Doi (0), J. Ito (0), Y. Kobayashi (8)
CFs - Kanazaki (10), Y. Suzuki (0)

Divisione per squadre:
6 - Kawasaki Frontale
5 - Kashima Antlers
4 - Kashiwa Reysol
2 - Urawa Red Diamonds
1 - Cerezo Osaka, FC Tokyo, Gamba Osaka, Jubilo Iwata, Sagan Tosu, Yokohama F. Marinos

Presenze totali in JNT: 24

Good luck, Vahid. Sappiamo che ci deluderai.

Nishikawa verrà chiamato probabilmente per le buone prestazioni in campionato.

14.11.17

Programmazione e pazienza.

Ha perso l'Italia delle battute sull'Ikea, quella delle "macchinate ignoranti" e delle risse dei genitori alle partite dei figli; della presunzione, del pressapochismo e del bomberismo imperante. Ma anche quella dei sani appassionati, di tre campioni del Mondo e di diversi giovani che saranno comunque marcati a vita: l'Italia non ci sarà a Russia 2018.

Alessandro Florenzi, 26 anni, sconsolato a fine gara: è stato il migliore in campo (di gran lunga).

C'è poco da dire: la gara di ieri racconta un risultato bugiardo. L'Italia avrebbe dovuto vincere almeno 1-0 e portare la partita ai supplementari. La prova discreta di Milano, però, fa il paio con quella di Solna, dove l'Italia ha prestato il fianco a una Svezia aggressiva e ha di fatto compromesso le sue chance di qualificazione a Russia 2018.
E se c'è una cosa che l'intero ciclo ha insegnato (in particolare la gara di Madrid contro la Spagna), è che questa gestione Ventura non sembra aver retto bene la pressione mediatica. Il ct ha delle colpe notevoli, soprattutto a livello tattico: l'entrata di Bernardeschi come mezzala è stata il top. Però... la domanda verte anche su chi l'ha scelto.
Non sto parlando di un gran dirigente, ma Giancarlo Abete si dimise immediatamente dopo la debacle del 2014. Carlo Tavecchio farà lo stesso? Ne dubito. E in fondo, se volete trovare un colpevole a chi l'ha messo lì, fatevi un giro nella nostra Serie A: indebitamente, questi presidenti sono anche i mandanti indiretti del rinnovo di Ventura fino al 2020.
C'è anche un'altra domanda che nessuno sembra essersi fatta: perché non si è rinnovato questo gruppo prima? Sia Barzagli che De Rossi hanno ribadito che avrebbero chiuso dopo l'Europeo del 2016, ma qualcuno li richiamati, invece di ripartire da zero. Cosa che si sarebbe dovuta fare gradualmente anche con Buffon e Chiellini.
E invece siamo fuori, con un'ingente ricostruzione da fare. Eppure guardate dall'altra parte del guado: la Svezia non andava a un Mondiale dal 2006, quando la vecchia generazione smise di esser decisiva e di fatto Ibrahimovic divenne l'unico leader incontrastato della nazionale. Con Hamrén ct dal 2009 al 2016, la Svezia si è condannata alla mediocrità.
Tre Europei disputati uscendo in tutti i casi ai gironi, due Mondiali mancati e tutti a lodare Ibrahimovic. Un atteggiamento miope, che ha offuscato anche il giudizio sulla Svezia nei play-off. La generazione che ha vinto l'Europeo U-21 due anni fa è gradualmente entrata in squadra e ha migliorato di parecchio la qualità media del gruppo.
A questo aggiungeteci un nuovo ct, che ha fatto un miracolo vincendo il campionato con il Norrköping (25 anni dopo): Janne Andersson è il vero vincitore di questa contesa, l'indiscusso eroe. Ha ridato linfa alla nazionale scandinava, riportandola ai Mondiali senza la stella dello United e ha persino lasciato da parte il personaggio tipicamente nordico.
A domanda precisa del pre-gara sulle considerazioni di Ventura nella gara d'andata, Andersson ha risposto così: «Non m'interessa ciò che dice». E anche ieri è sembrato piuttosto fumantino: al di là della tattica, è il giusto profilo per i suoi ragazzi. 

(ah, per chi se lo chiedesse, a quell'Europeo U-21 la Svezia affrontò l'Italia di Di Biagio nel girone, superandola 2-1. Forse non è una sorpresa che ieri tre di quei ragazzi fossero in campo, mentre dall'altra parte... uno.)
La Svezia è tornata ai Mondiali dopo 12 anni con un'impresa e la prima domanda dei giornalisti italiani per Janne Andersson è se Ibrahimovic tornerà in nazionale... NON CE LA FAREMO MAI.

Viene da chiedersi cosa possa riservare il futuro in queste condizioni. Non sarà facile: non perché l'Italia non abbia le potenzialità per risalire da questa voragine, ma perché ci vuole tempo, pazienza e risorse ben allocate. Tre cose di cui storicamente il nostro paese sembra volentieri fare a meno in cambio di un'esaltazione momentanea.
Prendiamo anche i media: non è stato un fallimento il racconto di questa Svezia? Non è stato un fallimento il continuo ricorso al patriottismo in un calcio come quello d'oggi, dove le emozioni contano meno a un certo livello? Non è stato un fallimento il video di sopra, dove un giornalista nostrano chiede di Ibrahimovic? Siamo davvero così poveri?
Sì. Lo siamo, altrimenti non saremmo qui a parlarne. Bisogna ricordare come tutti invochino la testa di Ventura e Tavecchio, ma dopo? Il grande lavoro di Antonio Conte a Euro 2016 ha coperto parzialmente i buchi, ma può darsi che non si abbia la stessa fortuna nel prossimo biennio. A Euro 2020 si andrà al 99%, ma non vuol dire che i problemi siano risolti.
Questo è lo stesso modus operandi che si vede in Italia nel caso di terremoto: paura, poi delusione mista a benaltrismo, infine indifferenza. L'Aquila è ancora in ricostruzione, no? Eppure son passati otto anni: è mai possibile? Certo che lo è, se la programmazione non è seriamente al centro di tutto. Noi italiani siamo così. Per dirla con le parole di Ferdinando Martini:

«Chi dice che gli italiani non sanno quello che vogliono? Su certi punti, anzi, siamo irremovibili. Vogliamo la grandezza senza spese, le economie senza sacrifici e la guerra senza morti. Il disegno è stupendo... forse è difficile da effettuare».

Ora ci saranno Euro 2020 e probabilmente Qatar 2022. Tra un decennio, riparleremo di dove siamo arrivati da questa serata. Per ora, solo indignazione e tanto brusio di sottofondo. 

Janne Andersson, 55 anni, è l'uomo del miracolo, nonché la dimostrazione che i buoni allenatori sono più importanti delle star o del patrimonio tecnico a tua disposizione.

4.11.17

Consacrarsi in Oriente.

La stagione è praticamente finita in Cina: in Champions League asiatica non c'è nulla da festeggiare, il Guangzhou Evergrande è di nuovo campione e manca solo la finale di F.A. Cup. Tuttavia, in League One, Juan Ramón López Caro si è preso una bella rivincita: il tecnico spagnolo si è creato un profilo interessante nel panorama asiatico.

Juan Ramón López Caro, 54 anni, qui con il suo Dalian Yifang.

Non è il primo tecnico iberico e non sarà l'ultimo a essersi creato una nuova carriera in Asia: guardate Gregorio Manzano (al Guizhou, ma qualcuno l'avrebbe voluto anche per la Cina), Ricardo Rodriguez (bene in Thailandia, benino in Giappone) o lo stesso collega Luis García Plaza, che è salito anch'egli dalla League One, ma con il Beijing Renhe.
López Caro non è stato un giocatore rilevante, anzi: a trent'anni era già diventato allenatore. Ha iniziato dalla sua città-natale (Lebrija) fino ad arrivare alla squadra B del Maiorca: nell'intervallo tra la guida di Fernando Vázquez e l'arrivo di Luis Aragonés, ha avuto anche l'occasione di allenare per due gare la prima squadra.
Un paio di occasioni hanno definito la carriera di López Caro: la prima è quella del Real Madrid. I Blancos - all'epoca allenati da del Bosque - lo assumono per guidare la squadra B. Sotto López Caro passeranno diversi giocatori di talento: Álvaro Arbeloa, Juanfran, José Luis Capdevila, ma soprattutto Diego López e Roberto Soldado.
Non solo, però, perché il tecnico porta il Real Madrid B addirittura in Segunda División dopo la promozione del 2004-05: quando la situazione precipita in prima squadra (con l'esonero di Vanderlei Luxemburgo), la scelta è di affidare tutto a López Caro fino alla fine della stagione. E quest'ultimo fa bene: la sua percentuale di vittorie è del 51,5%.
Per altro, il manager spagnolo forse è nella stagione più sfortunata delle difficoltà madrilene negli anni 2000: agli ottavi di Champions League esce contro l'Arsenal, che arriverà poi in finale; in Liga, gli capita il Barcellona di Rijkaard, che è lo stesso che poi vincerà proprio la Champions nella finale di Parigi contro i Gunners.
La riconferma non arriva e allora López Caro vaga per la Spagna: Racing Santander (dove non allena nemmeno per una partita), Levante e Celta, tutte avventure interrotte. E non è fortunata nemmeno la parentesi in Under 21 spagnola, dove l'allenatore riporta la rappresentativa all'Europeo di categoria nel 2009 (dopo nove anni d'assenza), ma esce al girone.
Quella selezione non si è rivelata poi talentuosa come quelle successive (solo Azpilicueta e Javi Martínez si sono mostrati giocatori di un certo livello), ma l'esperienza con il Vaslui rischiava di essere la pietra tombale alle sue ambizioni: l'avventura in Romania dura un mese, poi finisce - come altre volte - in una bolla di sapone.

Non solo allenatore, ma anche narratore.

Forse ormai bruciato in Spagna, López Caro è dovuto ripartire altrove. Lontano dalla sua regione, dai suoi affetti, aperto verso una nuova avventura. L'occasione è capitata ancora più a Est, precisamente in Arabia Saudita: se oggi la nazionale festeggia il ritorno al Mondiale dopo 12 anni, lo deve anche al selezionatore spagnolo.
Prima di Bert van Marwijk, infatti, una buona parte del lavoro era stata svolta da López Caro. Arrivato in Arabia Saudita, la situazione era disastrosa: alla Coppa d'Asia del 2011, i Green Falcons erano usciti nel girone con tre sconfitte contro Giappone, Siria e Giordania. Nelle qualificazioni al Mondiale 2014, non erano arrivati nemmeno all'ultima fase, superati dall'Oman (!).
Con un panorama del genere e un CV inconsistente, López Caro sarebbe potuto crollare. Invece ha fatto un buon lavoro, rimediando ai danni della gestione Rijkaard (sì, proprio l'ex Barcellona) e qualificando l'Arabia Saudita alla Coppa d'Asia del 2015. Ci ha anche aggiunto la finale della Coppa delle Nazioni del Golfo, persa contro il Qatar.
Cosmin Olăroiu ha poi allenato l'Arabia Saudita all'ultima Coppa d'Asia, ma i passi in avanti sono arrivati. E López Caro è rimasto da quelle parti, prendendo l'incarico di ct dell'Oman nel gennaio 2016: un anno non brillante come in Arabia, ma sufficiente a tenersi nel giro, tanto che la vera chance è arrivata quest'anno in Cina.
Il Dalian Yifang era arrivato quinto l'anno precedente, ma nel 2017 ha conquistato promozione e campionato. Il riconoscimento è arrivato anche a livello mediatico, visto che il tecnico spagnolo è stato premiato come miglior manager della League One nella stagione appena conclusa. Ora non rimane che vedere se questa consacrazione orientale proseguirà anche in Chinese Super League...

López Caro ai tempi del Real Madrid: fu l'allenatore per sei mesi.

31.10.17

ROAD TO JAPAN: Shogo Taniguchi (谷口彰悟)

Buongiorno a tutti e benvenuti al decimo numero di "Road To Japan" nel 2017. Con la rubrica che vuole scoprire i talenti nipponici, ci spostiamo a Kanagawa e precisamente nella municipalità di Kawasaki, dove il Frontale è una delle squadre più interessanti della J. League. Shogo Taniguchi, poliedrico talento nerazzurro, è il protagonista di questo spazio.

SCHEDA
Nome e cognome: Shogo Taniguchi (谷口彰悟)
Data di nascita: 15 luglio 1991 (età: 26 anni)
Altezza: 1.82 m
Ruolo: Difensore centrale, terzino sinistro, mediano
Club: Kawasaki Frontale (2014-?)



STORIA
Nato nel luglio del '91 nel sud del Giappone - nel Kyushu, precisamente a Kumamoto, la capitale dell'omonima prefettura -, Shogo Taniguchi cresce e matura alla Kumamoto Kenritsu Ozu High School, rimanendo di fatto nella prefettura di nascita e giocando persino due gare di Coppa dell'Imperatore (con tanto di gol!).
Tutto questo prima di trasferirsi alla University of Tsukuba, a Ibaraki. Un bel viaggio per chi era sempre rimasto nelle vicinanze di casa. La sua esperienza accademica è più che discreta, calcolando che si ambienta bene vicino Tokyo e fa parte della nidiata che vince le Universiadi nel 2011. Non solo, perché è nella Top 11 della regione nel 2011 e nel 2013.
Inevitabile che qualcuno lo noti nella vicina capitale: a buttarsi su di lui è il Kawasaki Frontale, che si assicura il ragazzo fin dall'agosto 2013. Giocherà solo dal 2014 in poi, ma il piano di Kazama è chiaro: il tecnico vuole plasmare Taniguchi, tanto da provarlo da terzino mancino prima di riconvertirlo al ruolo di centrale difensivo.
Nonostante il debutto nel mondo del professionismo, Taniguchi mette subito a referto 40 presenze in tutte le competizioni, nonché il suo primo gol in J. League contro i Nagoya Grampus. La crescita è proseguita anche senza Kazama e nonostante gli arrivi in difesa di Nara e Dudu: Taniguchi è ormai persino il terzo capitano della squadra dopo Kobayashi e Nakamura.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Taniguchi ha nella poliedricità la dote maggiore: iniziato al professionismo da terzino, è stato poi riconvertito in centrale e ha avuto anche un'esperienza da mediano. Per un tecnico duttile, sarebbe un feticcio tattico. Ha trovato anche una prolificità sotto porta forse inaspettata, ma dovuta agli ottimi tempi d'inserimento che si ritrova una volta che c'è un piazzato.
La cosa che più impressiona è la capacità d'adattarsi e imparare in poco tempo. Non si è mai scoraggiato o ribellato ai cambi di posizione, anzi: ne ha approfittato per apprendere. Forse ha una tecnica un po' grezza, ma il resto delle doti sono un gioco che vale la candela.

STATISTICHE
2014 - Kawasaki Frontale: 40 presenze, 1 rete
2015 - Kawasaki Frontale: 41 presenze, 2 reti
2016 - Kawasaki Frontale: 45 presenze, 4 reti
2017 - Kawasaki Frontale (in corso): 43 presenze, 8 reti

NAZIONALE
Come detto, piuttosto che passare dalle rappresentative Under, Taniguchi ha giocato le Universiadi due volte (nel 2011 e nel 2013), vincendo il titolo nella prima occasione. Mentre l'Italia di Luca Mora (oggi capitano della Spal) si fermava ai quarti, il Giappone schiacciava la concorrenza, vincendo la finale contro la Gran Bretagna in Cina.
Il Giappone è la nazione di maggior successo nel calcio alle Universiadi (sei ori: l'Italia è seconda... a due!) e molti di quei ragazzi del 2011 sono poi arrivati in J. League: Kazuya Yamamura, Shuhei Akasaki, Yuichi Maruyama e altri, che però non hanno fatto la sua stessa strada. Taniguchi infatti si è poi guadagnato la chiamata con i grandi.
Maruyama ha persino giocato più gare, ma Taniguchi è indubbiamente destinato a un futuro più luminoso: per due mesi, il ct Halilhodzic - all'epoca arrivato da poco - l'ha chiamato per tutta l'estate. Prima 15' con l'Iraq in amichevole, poi la gara di Coppa dell'Asia orientale e la presenza contro la Corea del Nord. Ci si aspetta che abbia un'altra chance.

LA SQUADRA PER LUI
Di lui si parla poco. Molto poco: non so se sia per il fatto di giocare per una squadra che non ha mai vinto nulla, ma di Taniguchi non si parla abbastanza. Eppure è un ragazzo molto poliedrico, che ha l'età giusta per provare un'esperienza all'estero, nonché le caratteristiche adeguate. Penso che sia uno dei pochi ragazzi pronti per una lega top in Europa.

26.10.17

Highlander.

Inter-Sampdoria, minuto 84: Yuto Nagatomo viene richiamato da Luciano Spalletti per far spazio a Davide Santon. Già, Santon: otto anni fa doveva essere il nuovo Giacinto Facchetti, oggi è diventato uno delle tante vittime del terzino nipponico. Criticato, inadatto in alcuni casi, eppure sempre all'Inter nonostante le rivoluzioni tecniche.

Yuto Nagatomo, 31 anni, impegnato nel derby di Milano.

Due premesse sembrano obbligatorie per trattare quest'argomento. La prima: non parliamo di un terzino capace di ergersi al livello top nel mondo. Non vedremo mai Nagatomo accanto alle figure di Alaba, Alex Sandro o Marcelo. Se è rimasto titolare, ciò in parte spiega anche il perché l'Inter abbia giocato l'ultima gara di Champions League nel febbraio 2012.
Seconda premessa: chiaramente chi legge questo blog da più tempo sa come il sottoscritto segua da vicino il calcio giapponese. Non sono mai stato un nazionalista con l'Italia e non inizierò con un paese e un popolo che rispetto, ma del quale non faccio parte. Tuttavia, non posso negare che voglio scrivere di questa faccenda perché ne sono interessato.
Qui, però, la domanda è obbligatoria: c'entra veramente il marketing? Il motivo per cui il giapponese è stato quasi sempre la prima scelta in tutti questi anni - con allenatori (e moduli!) diversi - è perché il vile mercato ha ragione su qualsiasi cosa? A chi piacciono i complotti potrebbe sembrare così, ma la faccenda è diversa.
Com'è arrivato all'Inter questo ragazzo della prefettura di Ehime? Nel modo più lineare possibile, di parecchio simile a quello che ha portato Gagliardini a Milano nel gennaio scorso (ma con cifre diverse). Prodotto della Meiji University e reduce da un buon Mondiale in Sudafrica, Nagatomo viene portato in Italia dal Cesena, in prestito dal FC Tokyo.
A volerlo è Massimo Ficcadenti, che all'epoca è il nuovo allenatore dei romagnoli, neo-promossi in A, ma senza Bisoli. Molti sembrano scettici, perché i recenti acquisti nipponici dell'epoca - Ogasawara, Oguro - non avevano lasciato grosse tracce. Ficcadenti tira dritto: «Deve giocare come sa: io credo sia adatto al campionato italiano».
L'acquisto si rivela azzeccato: Nagatomo fa bene nei suoi primi mesi italiani e il Cesena - dato tra le retrocesse certe - si tira fuori dal gruppo pericolante. In Coppa d'Asia, nel gennaio 2011, il terzino mette anche l'assist decisivo in finale. L'Inter fiuta l'affare e lo porta a Milano: i primi 18 mesi sono stati positivi nonostante le pressioni (si vince la Coppa Italia).
Poi qualcosa si è rotto. Nagatomo ha mostrato i suoi difetti: difficoltà a difendere (specie da terzino), l'incapacità di reggere il confronto con i grandi del passato (nella formazione del Triplete, in quella posizione c'era Chivu) e forse il profilo troppo giocoso, che gli ha giocato più contro che a favore, dando la sensazione di una figura divertente più che valida sul campo.

La prestazione contro la Sampdoria, quella che gli ha fatto guadagnare una standing ovation.

Da lì è partito tutto. Nagatomo, quello che tatticamente non è adeguato e per questo si merita qualunque insulto. Nagatomo, quello buono solo per farsi due risate (anche a spese dei cugini rossoneri). Nagatomo, quello che "in Giappone ne parlano perché ha fatto la proposta di matrimonio alla futura moglie sul prato di San Siro".
Eppure, in tutto questo, non si è mai guardata l'altra faccia della medaglia. O meglio, se n'è parlato parecchio, ma mai in relazione con Nagatomo: dal 2011-12 (prima stagione intera del giapponese a Milano), l'Inter ha avuto 11 allenatori diversi, occupando in sei anni almeno una volta tutte le posizioni dalla 4° alla 9°.
Già è difficile scaricare le responsabilità di una deriva tecnica su un unico giocatore, figuriamoci su un terzino di 24 anni comprato in un mercato di gennaio. Nagatomo ha mostrato le sue pecche, ma ha giocato anche 205 partite con l'Inter in tutte le competizioni, nonché è stato presente 99 volte con la sua nazionale. Non sono numeri comuni.
Nonostante la presenza di Chivu e Zanetti, Nagatomo ha giocato ben 43 partite nella sua prima stagione per intero con l'Inter. Da lì si è scesi a 35 (12-13), 36 (13-14), 18 (14-15), 26 (15-16), 20 (16-17) e 8 (per ora nel 2017-18). Tuttavia, diversi infortuni hanno condizionato la sua stagione nel 2014-15, saltando diverse partite.
A questi dati, vanno aggiunti i nomi dei terzini, perché non sono mancati i tentativi di sostituzione. Dall'uruguayano Alvaro Pereira all'esperimento Juan Jesus, dal ritorno di Davide Santon (andato in prestito a Cesena proprio nell'affare Nagatomo) all'interrogante Dodô, finendo ad Alex Telles, Caner Erkin e Christian Ansaldi.
E adesso? Adesso anche Dalbert sta facendo panchina, con la giustificazione che la Serie A è molto diversa dalla Ligue 1 e non è detto che il brasiliano non si prenda il posto da titolare al momento giusto. Ciò nonostante, la media-voto di Nagatomo è stata peggiore solo di quella di Miranda e D'Ambrosio due anni fa, mentre - a onor del vero - la transizione tra de Boer e Pioli non ha giovato al giapponese nella passata stagione.
Ora però ci sono complimenti, applausi e standing ovation. Persino Spalletti - che già aveva protetto il giocatore quest'estate - non si è nascosto: «Fanno bene ad applaudire Nagatomo: ha dei limiti, ma ha dei pregi. La velocità, la ricerca della posizione e la disponibilità al sacrificio...». Insomma, rischiamo che il nuovo highlander dell'Inter diventi colui che deve andar via a ogni estate.