30.1.16

ROAD TO JAPAN: Takahiro Sekine

Buongiorno a tutti e benvenuti al primo numero del 2016 di "Road to Japan", la rubrica che vi illustra i talenti in erba del panorama nipponico. Oggi ci spostiamo al Saitama Stadium, dove gli Urawa Red Diamonds continuano a perdere all'ultimo trofei e titoli, ma nascono nuove stelle. Una di queste è Takahiro Sekine, giovane cursore proveniente dal settore giovanile dei Reds.

SCHEDA
Nome e cognome: Takahiro Sekine (関根 貴大)
Data di nascita: 19 aprile 1995 (età: 20 anni)
Altezza: 1.67 m
Ruolo: Esterno destro
Club: Urawa Red Diamonds (2013-?)



STORIA
Come da qualche anno a questa parte, le squadre giapponesi puntano forte sui vivai. In questo scenario, gli Urawa Red Diamonds sono l'eccezione che conferma la regola, visto che il club di Saitama è quello che a ogni sessione di mercato sembra riuscire ad accalappiarsi i migliori talenti della J. League.
Takahiro Sekine, classe '95 di Tsurugashima (prefettura di Saitama), è un'altra eccezione che conferma la regola. Cresciuto nel cuore di Saitama, il giovane emerge dal vivaio dei Reds e riesce a entrare in prima squadra, dove trova Mihailo Petrović, diventato allenatore dopo cinque anni al Sanfrecce Hiroshima e capace di rilanciare la causa del club.
Il 2013 è un anno d'apprendimento, ma c'è spazio per la prima apparizione con la maglia degli Urawa: l'evento ha luogo il 16 ottobre, quando la squadra di Saitama affronta il Montedio Yamagata in Coppa dell'Imperatore. Dall'anno successivo, Sekine entra a far parte in pianta stabile della prima squadra e si guadagna i suoi spazi.
Nel "3-5-ruotiamo tutti gli attaccanti" di Petrović, Sekine cresce sull'out destro, capace di macinare la fascia per l'intera partita. Nel 2014 le presenze sono 29 in tutte le competizioni e arrivano anche i primi gol. L'ultima annata ha portato il primo trofeo (il First Stage della J. League, dominato dagli Urawa) e la titolarità assoluta.
A questi piccoli traguardi, si è aggiunta una soddisfazione personale: il premio di MVP del mese nel maggio 2015 grazie alle sue entrate in corso, tanto da guadagnarsi il soprannome di super-sub. Ora ci si attende che i suoi progressi possano continuare sempre sotto la guida dell'allenatore serbo.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Tre i punti di vista dai quali Sekine promette più che bene. Il primo è quello atletico, perché il ragazzo possiede una corsa importante e doti non comuni. Il secondo è quello tattico, perché Sekine è stato in grado di adattarsi subito al 3-5-1-1 di Petrović e ha conquistato il posto sulla fascia destra, scalzando uno come Umesaki.
Il terzo (e più importante) è quello tecnico: parliamo di un esterno che a soli vent'anni è in grado di saltare l'uomo con facilità, di trovare soluzioni ottime per compagni. Di un ragazzo che fornisce una media di dieci assist all'anno. E non è facile trovare giocatori del genere in questo ruolo, visto che i terzini buoni scarseggiano. Certo, deve irrobustirsi, ma il fisico si può fortificare; altre cose meno.

STATISTICHE
2013 - Urawa Red Diamonds: 1 presenza, 0 reti
2014 - Urawa Red Diamonds: 29 presenze, 3 reti
2015 - Urawa Red Diamonds: 42 presenze, 8 reti

NAZIONALE
Strano ma vero, Sekine può contare su pochissime presenze nelle rappresentative giovanili del Giappone. Dopo uno straordinario 2015, ci si aspettava che l'esterno degli Urawa Reds rientrasse nei convocati di Teguramori per l'AFC U-23 Championship di Doha, disputato in questo mese di gennaio come torneo di qualificazione a Rio 2016.
Eppure la scelta del ct è stata diversa: Sekine è rimasto a casa, mentre Teguramori ha impostato la squadra sul 4-4-2 visto già a Sendai. Oggi il Giappone - già qualificato per Rio - si gioca la finale contro la Corea del Sud: speriamo che in Brasile Sekine possa esserci, specie se confermerà quanto visto nel 2015.

LA SQUADRA PER LUI
Per il trasferimento è presto, troppo presto. A vent'anni si può rimanere a Saitama, per maturare ancora e per vivere un altro anno da protagonista, magari con l'ambita chiamata in nazionale. E non solo quella giovanile, visto che gli esterni difensivi del Giappone vivono momenti difficili tra panchine e infortuni. A fine 2016, magari con un Olimpiade alle spalle, qualcuno potrebbe bussare alla porta dei Reds.

23.1.16

Nessun rimpianto.

Un trascinatore, un lottatore, un capitano. Ancor prima un abile centrocampista, capace di trasformarsi in uno dei riferimenti box-to-box negli anni più "anziani" della sua carriera. Eppure non ha mai giocato in nazionale e ha dovuto aspettare quattro mesi prima di rimettersi in gioco: Kevin Nolan è il nuovo allenatore-giocatore del Leyton Orient.

Nolan ha lasciato il West Ham dopo quattro stagioni.

Onestamente ho fatto fatica a spiegarmi questa lunga attesa. Una strana pausa per chi ha giocato per 15 anni ad alti livelli ed è stato una colonna in ogni squadra dove ha giocato. Tre le maglie della sua carriera, per cui finora ha dato tutto. E una nuova avventura che si affaccia all'orizzonte, un'avventura che metterà alla prova Kevin Nolan. Di nuovo.
Già, perché Nolan è sempre stato un osservato speciale. Non bastava mai quello che faceva. Nato a Liverpool nel 1982, il giovane Kevin è cresciuto nel vivaio dei Bolton Wanderers dopo aver passato la sua infanzia a tifare i Reds della sua città: «Seguivo il Liverpool, ma ero fan anche di Eric Cantona. A modo mio, tifavo entrambe le squadre»,
Arrivato al Bolton quasi per caso, esordisce nel 1998-99 e per dieci anni rimane al Reebok Stadium. Tanti i ricordi condivisi con i Wanderers: dalla promozione in Premier League del 2001 ai primi gol da professionista, dalle avventure europee al sesto posto del 2004-05, fino ai 12 gol segnati in tutte le competizioni nel 2003-04.
Se ripenso al declino del Bolton (in questi giorni il club ha annunciato che potrebbe non riuscire a pagare lo staff), lo identifico dall'addio di Nolan, arrivato nel gennaio 2009. Il capitano lascia la squadra della sua vita e si trasferisce al Newcastle, che è diretto sorprendentemente in Championship. Ma a Nolan non importa: lui gioca duro, come solito.
Anzi, Nolan diventa capitano e riporta il Newcastle in Premier League in un anno: lui viene nominato MVP del campionato, ma la squadra è buona. Non per nulla, la base è quella che porterà i Magpies a sfiorare la Champions League due anni dopo. Andy Carroll lascia Newcastle a suon di sterline, ma Nolan rimane il riferimento al St. James' Park.
La caratteristica di Nolan, però, è che attratto dalle sfide. Dopo un solo anno di Premier (concluso in doppia cifra), il centrocampista lascia Newcastle e si trasferisce al West Ham, anch'esso appena retrocesso. E la promozione arriva: stavolta non si vince tranquillamente, perché ci vogliono i play-off per tornare in Premier League.
Ancora una volta, Nolan è la colonna di una squadra che si unisce attorno a lui. Non è un caso che il West Ham l'abbia nominato subito capitano, vista la partenza di Upson per Stoke-on-Trent. Nel 2012-13 arriva la quarta stagione consecutiva in doppia cifra e a trent'anni Nolan si è re-inventato centavanti-ombra, alle spalle della punta di riferimento.
Tuttavia, l'età avanza. Lo si vede dalle performance fornite nelle due annate successive, dove persino i tifosi arrivano a fischiarlo. Lui fa spallucce e prosegue per la sua strada: «Se la gente vuole fischiarmi, è libera di farlo: personalmente non mi toccano. Tuttavia, se chiedeste ai tifosi di Bolton e Newcastle, loro mi vorrebbero indietro domani mattina».

Se ha fatto il capitano ovunque, un motivo ci sarà.

Un rapporto consumato, che è sfociato in un inevitabile addio. Dopo esser subentrato nella vittoria sul campo dell'Arsenal al posto di Reece Oxford (16 anni in meno di lui), le strade del centrocampista e del club si sono separate. Nolan ha poi spiegato il perché: «Con Bilic sono stato chiaro: volevo giocare e non rientravo nei suoi piani».
Si è parlato tanto in questi quattro mesi. Qualcuno ha ipotizzato un ritorno a Bolton, impossibile perché il club sta passando una terribile situazione economica. Poi è stato il turno di esser accostati a Sam Allardyce, l'uomo che l'ha lanciato al Reebok Stadium: tuttavia, anche le trattative con il Sunderland non hanno portato da nessuna parte.
E così la notizia è arrivata l'altro giorno: Nolan ha firmato un contratto con il Leyton Orient, squadra della League Two (quarta divisione), famosa per aver avuto Fabio Liverani come manager l'anno scorso. Retrocessi nel 2014-15, The O avrà bisogno di una grossa mano da Nolan, che si appresta a guidare la sua prima squadra in carriera.
Una scelta arrivata dopo che il centrocampista si è allenato per due mesi con la squadra: «Player-manager? Una sensazione strana, ma sono eccitato all'idea di iniziare. Spero di integrarmi al meglio con questa realtà». Nolan dovrà far presto, anche perché il Leyton Orient naviga a metà classifica e la promozione non è facile da centrare.
L'ennesima prova per chi - a sorpresa - non ha neanche una presenza con la nazionale inglese. Nonostante diversi commissari tecnici, è sempre stato considerato inadatto. Una cosa che l'ha anche ferito, come confermato qualche anno fa: «Fa male non aver giocato neanche una gara con l'Inghilterra, ma sono adulto e ci conviverò».
Chissà che non ci aspetti un'altra Chicken Dance a fine anno, la tipica esultanza di Nolan dopo un gol. Il primo test sarà oggi pomeriggio all'Adams Park, dove l'Orient sarà ospite del Wycombe. La prima da allenatore, la prima da giocatore del club di Francesco Becchetti. Nessun rimpianto per Nolan: in fondo, di prove ne ha già superate tante.

19.1.16

Never gets old.

Con il suo passaggio in Canada, le sue avventure inglesi sembrano finite, ormai tramontate. Dopo una carriera gloriosa, a 32 anni sembrava ormai aver detto la sua. Invece il ritorno in Inghilterra gli ha fornito una nuova opportunità: sarà un caso o no, ma Jermain Defoe ha segnato cinque gol nelle ultime tre gare e il Sunderland spera.

Defoe con la maglia dell'Inghilterra: 55 presenze e 19 reti.

Eppure nel giugno 2014 la sua esperienza in Premier League sembrava ormai conclusa. La decisione di accettare l'offerta del Toronto FC è arrivata dopo almeno 15 anni di onorata carriera, trascorsa con le maglie di West Ham, Bournemouth, Tottenham e Portsmouth. Defoe non è uno sconosciuto, ma un bomber puntuale che si è costruito una reputazione solida.
Classe '82 di origini caraibiche, l'attaccante cresce prima nel Charlton e poi debutta con il West Ham. Il prestito al Bournemouth lo fa esplodere, tanto che diventa un punto di riferimento degli Hammers. La retrocessione del club lo porta a richiedere il trasferimento: prima rifiutato, alla fine il West Ham deve cederlo nel gennaio 2004.
L'approdo al Tottenham passa un po' sotto silenzio, ma in realtà gli Spurs saranno la squadra della sua vita: nonostante non abbia mai avuto il posto garantito (perché chi si impegna e non ha un nome pesante va incontro a questo destino), Defoe ha sempre lottato e quasi sempre vinto le battaglie con i suoi rivali in squadra.
Nel gennaio del 2008, Defoe lascia White Hart Lane per trasferirsi di nuovo sulla costa meridionale dell'Inghilterra: stavolta la meta è Portsmouth, dove però l'esperienza dura un solo anno. Sempre nel mercato invernale, arriva il ritorno di Defoe al Tottenham, che lo porta a vestire la maglia degli Spurs per altre cinque stagioni.
Di lui rimangono tanti ricordi: su tutti i cinque gol segnati nel 9-1 al Wigan, un record eguagliato solo da altri quattro giocatori (Shearer, Andy Cole, Berbatov e Aguero). Al momento dei saluti nel giugno 2014, lo score racconta di 352 presenze e 137 gol in tutte le competizioni. L'offerta del Toronto FC - squadra della MLS - è troppo invitante.
Ma se ogni telegiornale sportivo ha decantato lo stato di forma di Giovinco in Canada, Defoe non si è trovato altrettanto bene. O meglio, i primi sei mesi sono stati ottimi. In fondo, 12 gol in 21 partite di MLS sono un buon bilancio. Tuttavia, il licenziamento del manager Ryan Nelsen - suo compagno al Tottenham - ha messo in dubbio il suo futuro.
Per risparmiare, i canadesi hanno ceduto Defoe al Sunderland in uno scambio con Jozy Altidore, ben felice di riavvicinarsi a casa. Solo quattro i gol nel 2014-15, ma uno è stato fondamentale: il game-winner realizzato nel derby contro il Newcastle è la rete che ha cambiato la stagione dei Black Cats, salvatisi solo nelle ultime giornate.
Il 2015-16 sta andando molto meglio a livello personale: doppietta all'Aston Villa, tripletta sul campo dello Swansea. Siamo a nove reti in 18 partite di Premier League, che diventano 12 in 20 gare in tutte le competizioni. Il tocco c'è ancora e non è un caso che in patria si parli persino di un ritorno in nazionale come elemento di esperienza.

Tanto vecchio non sembra.

Già, la nazionale. Nonostante l'Inghilterra abbia avuto il potenziale per vincere diversi tornei negli anni 2000, è sempre sembrato mancare qualcosa davanti, soprattutto da quando Michael Owen è tornato cambiato dall'avventura di Madrid. Accanto a Wayne Rooney è sembrato mancare il partner ideale. O forse no?
Perché Jermain Defoe ha uno score da 55 presenze e 19 reti in nazionale, ma il suo rapporto con l'Inghilterra non è stato fortunato. Sven-Goran Eriksson l'ha utilizzato spesso, ma non l'ha chiamato né per Euro 2004 né per il Mondiale 2006. Steve McClaren non è riuscito a portare la squadra a Euro 2008 ed è stato persino licenziato.
Con l'arrivo di Fabio Capello e il temporaneo passaggio al Portsmouth, si è aperta qualche porta. Non è un caso che Defoe sia stato chiamato sia per il Mondiale 2010 che per Euro 2012. Importante il suo gol contro la Slovenia in Sudafrica, una rete che permise alla nazionale inglese di raggiungere gli ottavi di finale.
Con Roy Hogdson le cose non vanno benissimo. A causa del suo rendimento inefficiente e della lontananza in Canada, Defoe non viene chiamato dal 2013. In questi giorni, però, si parla di un suo possibile richiamo in nazionale: la coppia Rooney-Kane non sembra in discussione, ma manca un back-up adeguato in vista di Euro 2016.
Sturridge e Welbeck sono spesso infortunati, Austin è ignorato perché in Championship, mentre Vardy è una riserva e Ings gioca poco a Liverpool. A precisa domanda, Defoe ha usato la solita frase di circostanza: «La decisione è nelle mani del ct». Normale per chi ha lavorato in silenzio, ma ha segnato 139 gol in Premier League (11° in classifica).
In realtà, c'è una persona che può descrivere la forza di Jermain Defoe. Quella persona è Harry Redknapp, che ha un rapporto speciale con l'attaccante. L'ha allenato per cinque stagioni tra Londra e Portsmouth e ha provato a prenderlo anche quando l'avventura canadese di Defoe era finita, tentando di portarlo al QPR.
Redknapp ha lodato Defoe quando era un prodigio dell'academy del West Ham, quando era uno dei riferimenti del Tottenham e anche da manager del QPR: «Perché uno come Jermain non può essere il capo-cannoniere della Premier? Quando si tratta di concludere in area, sa sempre qual è la miglior posizione in cui stare». Qualcosa che non si dimentica facilmente.

Jermain Defoe, 33 anni, cinque gol nelle ultime tre gare di Premier.

14.1.16

UNDER THE SPOTLIGHT: Gabriel

Buongiorno a tutti e benvenuti al primo numero del nuovo anno per la rubrica "Under The Spotlight", la rubrica con la quale indaghiamo i maggiori talenti sparsi per il mondo. Avrei voluto parlarvi di Stefano Sensi, ma il suo passaggio al duo Juve-Sassuolo pare fatto. Ci spostiamo allora in Brasile, dove il numero 10 del Santos si sta consolidando: Gabriel Barbosa Almeida, detto Gabriel.

SCHEDA
Nome e cognome: Gabriel Barbosa Almeida, detto Gabriel
Data di nascita: 30 agosto 1996 (età: 19 anni)
Altezza: 1.76 m
Ruolo: Seconda punta
Club: Santos (2013-?)



STORIA
A soli otto anni, Gabriel Barbosa Almeida - detto Gabriel - si unisce alle giovanili del Santos. Robinho a breve lascerà Vila Belmiro per volare a Madrid, sponda Real, e la squadra vive un bel momento, avendo appena vinto la Série A brasiliana. Negli anni il Santos conquisterà anche la Copa Libertadores, ma nel frattempo Gabriel cresce nelle giovanili.
Se Neymar illumina all'epoca la prima squadra, il classe '96 arriva tra i grandi con un buon curriculum: ne è cosciente anche la società, che blinda il ragazzo con il primo contratto da professionista nel settembre 2012. Un accordo che prevede anche la presenza di una clausola rescissoria dal valore di cinquanta milioni di euro.
Il debutto ufficiale arriva l'anno successivo: Muricy Ramalho lo lancia, mentre Claudinei Oliveira lo coltiva. Il primo anno serve ad accumulare qualche presenza e due gol: il primo in assoluto arriva contro il Gremio. Con la partenza di Neymar verso Barcellona, è chiaro che Gabriel sia destinato a diventarne il successore in squadra.
Sul ragazzo cresciuto nel Santos, però, pesa immensamente l'etichetta di "nuovo Neymar". Già due anni fa, quando lo notai, se ne parlava così. La storia poi l'ha fortunatamente risparmiato: le spalle sono state abbastanza grosse da consentire a Gabriel due stagioni decenti in termini realizzativi, seppur il Santos non abbia brillato.
L'allenatore che lo consegna definitivamente alla prima squadra è Oswaldo de Oliveira, reduce da un biennio al Botafogo. Al Peixe Gabriel finalmente fa vedere tutta la sua classe: 21 gol in 56 gare in tutte le competizioni sono un buon bottino per chi è alla prima stagione da titolare alla giovane età di 18 anni.
Tuttavia, la stabilità è valore sconosciuto nel Santos degli ultimi anni. Solo dal settembre 2014, il Santos ha cambiato quattro allenatori: tra questi, Enderson Moreira addirittura aveva fatto partire Gabriel dalla panchina. Le cose sono cambiate con i loro successori e il ragazzo è tornato titolare in squadra, registrando le stesse cifre dell'anno precedente.
Il Santos ha vinto il Campionato Paulista nel 2015, ma poco altro. Rimane il rimpianto della finale persa ai rigori della coppa nazionale contro il Palmeiras, nonostante otto gol di Gabriel in questa competizione (tra cui quello per l'1-0 della finale d'andata). Questa mancanza di stabilità e di vittorie è un buon motivo per provare il grande salto: in fondo, Gabriel ha vinto il Bola de Prata 2015, dato alla rivelazione del campionato.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Mancino temibile, tatticamente il ragazzo ricorda molto Neymar. La sua posizione preferita è quella sulla fascia, in modo tale da poter partire palla al piede e puntare l'avversario con le sue doti nel dribbling. Meglio se da sinistra, anche se Gabriel ha imparato a giocare anche a destra e persino da punta centrale in casi di emergenza.
Tecnicamente la scuola del Santos ha aiutato. Un club non produce talenti come Diego, Robinho e Neymar se non ha la possibilità di passare queste conoscenze anche alle generazioni future. In questo comparto, Gabriel non difetta rispetto ai suoi predecessori. Dotato di un buon senso dell'inserimento in area, può migliorare nel fornire assist ai compagni.

STATISTICHE
2013 - Santos: 13 presenze, 2 reti
2014 - Santos: 56 presenze, 21 reti
2015 - Santos: 56 presenze, 21 reti

NAZIONALE
Per ora la nazionale maggiore sembra esser un tabù: se il Brasile soffre di mancanza di centravanti, non ha certo problemi nell'assicurarsi fantasisti in squadra. Lasciamo perdere l'alieno e capitano Neymar: la lista comprende anche Oscar, Willian, Douglas Costa, il ritorno di Kakà, Lucas, Coutinho, Roberto Firmino.
Tuttavia, lo score di Gabriel con le rappresentative giovanili è discreto: ha giocato con l'U-17, l'U-20 e ora con l'U-23. La selezione verdeoro è già qualificata per Rio 2016 in quanto padrone di casa e Gabriel dovrebbe essere una delle stelle della squadra di Dunga. Anche per spezzare la maledizione olimpica del Brasile, che non ha mai vinto l'oro al torneo olimpico di calcio.

LA SQUADRA PER LUI
Quando esplose nel 2014, forse era presto per pensare a un cambio di maglia. Per altro, la Série A brasiliana se l'è passata bene a livello economico e il Santos ha beneficiato dell'enorme somma corrisposta dal Barcellona per il passaggio di Neymar in blaugrana (quasi 60 milioni di euro, con tanto di caso su una presunta evasione fiscale).
Ora però - soprattutto in estate - potrebbe arrivare il momento dell'addio. In fondo Gabigol si è tenuto su un certo livello e ha ancora alcuni margini di miglioramento. A causa del suo costo, non potrà ambientarsi in una squadra di metà classifica: se qualcuno lo prenderà (visto anche il contratto fino al giugno 2019), le big europee sono allertate.

9.1.16

Game over.

Argentina, Italia, Spagna, ancora Italia, Inghilterra, terza volta in Italia, ancora Argentina, Portogallo. Queste sono solo le mete di chi viaggia non per piacere, ma per necessità. La carriera di Daniel Pablo Osvaldo non è mai durata per più di due stagioni nello stesso posto e un motivo ci sarà. All'alba dei trent'anni (che compirà tra pochi giorni), l'attaccante si è accasato nuovamente al Boca.

Osvaldo non veste la maglia dell'Italia dal 5 marzo 2014.

Niente, la stabilità non è cosa sua. L'ha confermato anche la recente vicenda con il Porto, con il quale Osvaldo aveva firmato un  annuale quest'estate, al termine della sua breve esperienza con il Boca Juniors: «Sono arrivato al Porto con un'idea, quella di giocare la Champions, ma non è stato così. Ho trovato un accordo con l'allenatore per cambiare il mio futuro».
L'ultima parola non è scritta - visto il recente esonero di Julien Lopetegui dalla panchina del Porto - ma Osvaldo non è uomo da fedeltà assoluta. Lo dice la sua carriera e lo dice sin da quando era piccolo. Nelle giovanili, Osvaldo ha giocato con tre squadre diverse: Lanús, Banfield e Huracán. A Buenos Aires esplode prima di arrivare in Italia.
Breve passaggio a Bergamo, poi Lecce, dove Zdeněk Zeman lo fa conoscere al calcio italiano. Proprio il boemo sarà uno dei suoi pochi amori in carriera. Una stagione in Puglia e si va a Firenze, dove Osvaldo punisce la Juve e poi regala in rovesciata uno dei momenti più belli della recente storia fiorentina: la qualificazione ai preliminari di Champions a Torino.
Il Bologna gli dà una chance nell'inverno 2009, ma l'argentino proprio non riesce a esplodere. Quando i rossoblu lo prestano all'Espanyol un anno più tardi, Osvaldo sembra ormai lontano dall'Italia. Eppure in Liga convince: la seconda squadra di Barcellona lo riscatta per cinque milioni di euro e lui li ripaga con un'annata da 13 gol in 24 partite.
C'è la sensazione che possa tornare in Italia: a riprovarci è la Roma, che lo paga ben 15 milioni. A Roma Osvaldo è stato oggetto di mille discussioni. Il bilancio di due anni tra Luis Enrique, Zeman e Andreazzoli però racconta di 28 gol in 57 gare (quasi uno ogni due partite): non un bilancio pessimo, ma la scintilla definitiva con la tifoseria non è mai scattata.
Sarà anche per questo che la Roma riesce a rientrare dei soldi spesi vendendolo al Southampton: nella squadra di Koeman, Osvaldo non esplode, anche perché davanti i Saints hanno Lambert e Rodriguez. Dal canto suo, l'italo-argentino non fa nulla per farsi amare e torna in Italia dopo sei mesi, stavolta alla Juventus. Vince uno scudetto e la sua carriera appare sospesa.
Già, perché i bianconeri non lo vogliono riscattare. E così arriva l'Inter, con la quale il legame dura appena sei mesi: ci sarebbe un riscatto a sette milioni di euro, ma le ennesime intemperanze del giocatore lo spingono in Argentina. Un prestito al Boca Juniors e poi la separazione - stavolta definitiva - dal Southampton.
Quest'estate sembrava quella giusta per il rilancio: il Porto lo cerca e lui firma per un anno con opzione per altri due. I lusitani hanno appena venduto Jackson Martinez: c'è Aboubakar, ma lo spazio per Osvaldo sembra esserci. Invece lo score parla di 12 presenze e un gol, realizzato in campionato contro il Belenenses. Un altro addio è dietro l'angolo.

Nonostante un addio pessimo, credo che il meglio si sia visto a Roma.

La notizia odierna è che l'agognata firma con il Boca Juniors: un ritorno fortemente voluto dal giocatore, che in attacco farà coppia con Carlitos Tévéz. Il sogno è rivincere la Copa Libertadores a nove anni di distanza dall'ultima. Osvaldo è stato ripreso sorridente, quasi sollevato di aver realizzato il proprio sogno di tornare al Boca dopo pochi mesi.
Con questo trasferimento in Sud America, l'addio alla nazionale è quasi certo. Convocato per la prima volta nel 2011, Osvaldo ha giocato 14 partite con l'Italia, segnando quattro reti. Per anni è rimasto nel gruppo, molto considerato da Prandelli, che non ha esitato a lanciarlo e che l'aveva già allenato ai tempi della Fiorentina.
Peccato che gli episodi controversi della sua carriera hanno pregiudicato molte occasioni all'attaccante. Proprio la convocazione in Confederations Cup nel 2013 non arrivò a causa di un tweet polemico nei confronti di Aurelio Andreazzoli, suo ultimo mister alla Roma, reduci dalla sconfitta nella finale di Coppa Italia contro la Lazio.
C'è da dire che tutta la carriera di Osvaldo è caratterizzato da intemperanze ripetute e continue. Dal pugno a Lamela nell'intervallo di un Udinese-Roma al litigio con Andreazzoli. Dagli sberleffi ai tifosi romanisti durante il periodo di contestazione alle botte in allenamento con José Fonte, oggi capitano del Southampton. Fino ad arrivare alla lite in campo con Icardi del gennaio scorso sul campo della Juve.
Eppure il rendimento di Osvaldo sul campo ci dice che l'italo-argentino - quando è considerato al centro del progetto - è a tutti gli effetti un goleador: basti guardare quanto ha realizzato a Barcellona con l'Espanyol e sulla sponda giallorossa di Roma. Il totale di quelle tre stagioni e mezzo racconta di cinquanta gol in 104 partite giocate.
Il futuro quale può essere? Dipende. Può essere quello sintetizzabile in uno splendido gesto atletico come la rovesciata in Roma-Lecce del 2011. O può essere l'esultanza volutamente polemica fatta all'Olimpico in Roma-Juve del 2014, dopo aver segnato il gol decisivo al minuto 94. In teoria è game over, poi chi lo sa...

Daniel Pablo Osvaldo, 29 anni, ieri è tornato al Boca Juniors.

3.1.16

J. LEAGUE REVIEW: la marea viola (Parte II)

Non solo club, ma anche giocatori: il Giappone ha lasciato tante vicende da narrare per il 2015. In attesa di un 2016 importante per molte squadre, oggi c'è la seconda parte del riassuntone sulla J. League e sul calcio giapponese (qui la prima). Con un occhio anche al futuro, che però - a livello di governance e organizzazione - non promette molto di buono.


Rivelazione

Mu Kanazaki
Avrei voluto parlare di Caio Lucas Fernandes (rookie dell'anno 2014), ma la storia di Mu Kanazaki fa più scalpore. Perché Kanazaki è sempre stato un giocatore dalle doti più che discrete, cresciuto nel fiorente vivaio degli Oita Trinita di fine anni 2000. Quelli che hanno lanciato anche Kiyotake, Nishikawa, Higashi, Morishige, Umesaki.
Dopo aver vinto il campionato con il Nagoya nel 2010, è andato in Germania, ma a Norimberga l'hanno subito mandato via. Stava facendo molto bene al Portimonense quando è tornato a sorpresa in Giappone. Quest'anno Kanazaki si è ripreso la ribalta: benissimo con il club, è stato convocato anche dalla nazionale e ha ri-esordito con gol. E ora pare che il Portimonense non lo lascerà tornare a Ibaraki: troppe offerte ghiotte stanno arrivando in Portogallo...


Yuki Muto
Recentemente l'ho menzionato in un episodio di "Road To Japan", perché il suo anno è stato incredibile. Con gli Urawa è stato decisivo soprattutto in J. League, chiudendo l'anno con 14 reti in 43 partite. Proprio lui, che nei quattro anni a Sendai aveva segnato appena dieci gol con il Vegalta...

Kazuhisa Kawahara
Se l'Ehime ha potuto festeggiare il miglior piazzamento nella sua storia in J2, il merito in campo è soprattutto di questo signore qui. Con un look di un supereroe sfigato di un manga, Kawahara è cresciuto nelle giovanili dell'Albirex Niigata, poi ha girato senza fortuna nel calcio nipponico.
A 27 anni, la sua avventura nel calcio sembrava esser arrivata a un punto morto: una sola stagione in doppia cifra, per giunta in seconda divisione. Lui è ripartito nel 2013 da Ehime, dove ha avuto bisogno di un'annata d'ambientamento. Tredici reti nel 2014, l'anno successivo è arrivato a quota nove, ma è stato utilissimo per l'Ehime, arrivato ai play-off.

Kazuhisa Kawahara, 28 anni, bomber e capitano dell'Ehime FC.


Manager dell'anno

Hajime Moriyasu
Sono stato indeciso fino all'ultimo con Cho Kwi-Jea dello Shonan Bellmare, ma alla fine ho scelto lui. Sembra di esser ripetitivi, ma non era facile ripartire dopo un ottavo posto nel 2014. Specie perché l'ultima stagione aveva dato l'impressione che il ciclo dei grandi vecchi al Sanfrecce - Sato, i gemelli Morisaki, Chiba, Mikic - fosse finito.
E invece no! Moriyasu festeggia due trofei - tra cui la vittoria del campionato secondo la classifica totale - e il terzo posto nel Mondiale per club, dove il Sanfrecce avrebbe addirittura meritato la finale. Sicuri che non sia tempo di Nippon Daihyo per lui? Anche se i tre difensori centrali sarebbero tutti da trovare...

Masami Ihara
Potrei premiare Shibuya (Omiya) o Kiyama (Ehime), che però hanno già avuto le loro menzioni. Invece, l'ex capitano della nazionale giapponese era alla prima esperienza alla guida solitaria di una squadra di club dopo cinque anni da assistente ai Kashiwa Reysol.
Ihara si è preso l'onere di risollevare le sorti dell'Avispa Fukuoka, arrivati sempre nella parte destra della J2 League nell'ultimo triennio. E invece il 2015 è stato un successo, con un finale a tutta: solo un regolamento fallace ha impedito all'Avispa la promozione diretta. Ma l'ultimo atto contro il Cerezo è finito in pari e così Ihara ha riportato il club in prima divisione dopo cinque anni.

Masami Ihara, 48 anni, alla prima stagione alla guida dell'Avispa.

Takuya Takagi
Ero indeciso con Togashi (Tokyo Verdy) e Hashiritani (Giravanz Kitakyushu), ma Takagi si merita eccome la menzione d'onore. Da giocatore detiene un buon score in nazionale (27 gol in 44 partite!) e ha fatto carriera. Da allenatore, invece, si è dovuto far largo partendo dalla base.
Al suo primo incarico da capo allenatore con lo Yokohama FC, i tifosi avevano persino deciso di protestare guardando la prima partita in silenzio. Ci è voluto poco per convincerli: una promozione fece cambiare loro idea... poi un breve periodo a Tokyo, tre anni a Kumamoto e poi Nagasaki.
Con il V-Varen, Takagi ha fatto un miracolo: su tre stagioni in J2 League, due volte è arrivato ai play-off, perdendo in entrambi i casi la semifinale. Poco importa: Nagasaki sembra una di quelle piazze che prima o poi arriverà in prima divisione. Chissà se con lui come allenatore...

I momenti da ricordare

Una scelta molto difficile, ma il finale della J2 e della J3 del 23 novembre scorso sono imbattibili. L'Omiya ha centrato la promozione diretta con una giornata d'anticipo, mentre Júbilo Iwata e Avispa Fukuoka si giocano l'ultimo posto disponibile alla 42° giornata, entrambi in trasferta: i primi sul campo dell'Oita, i secondi in casa del Gifu.
L'Avispa mette in ghiaccio la partita nel secondo tempo: va in vantaggio con Jogo, viene raggiunto e poi mette la freccia con una doppietta di Wellington e un altro gol del capitano. Nel finale si cerca anche di gonfiare la differenza reti per evitare rischi, ma bisogna aspettare quello che succede a Oita.


All'Ōita Bank Dome è partita vera, perché il Trinita se la gioca di più. E il Júbilo - come per tutto il finale di stagione - fatica. Al 60' Inoha sembra aver segnato il gol-promozione, ma l'Oita pareggia al minuto 89. Sembra finita, con l'Avispa promosso e il Júbilo ai play-off. Invece Yuki Kobayashi - autore di un'ottima stagione - firma il 2-1 definitivo al 94'.


Nella stessa giornata, la stessa punta di follia viene raggiunta a Tottori. Il Renofa Yamaguchi si gioca la promozione diretta e la vittoria del campionato sul campo del Gainare, dopo aver dilapidato negli ultimi due mesi un vantaggio di 12 punti. A pari punti con il Renofa c'è il Machida Zelvia, ospite sul campo del Nagano Parceiro, dove però raccoglie un solo punto.
Un punto che basterebbe, visto che il Gainare va in vantaggio due volte e conduce 2-1 al minuto 95. Quando tutto sembra finito, è Kiyohiro Hirabayashi a segnare con deviazione il pareggio che porta il Renofa in seconda divisione. Forse è ancora più folle del finale della J2 League.



A questi due ultimi atti, tocca aggiungere anche la pazza semifinale della J. League Championship di cinque giorni più tardi, quando il Gamba vince per 3-1 ai supplementari in casa degli Urawa Reds. L'azione del vantaggio di Fujiharu al 120' meriterebbe un trattato di epica o antologia sportiva. A parte.


Il caso

J3 B-teams & JFL
La JFA ha voluto comunicare una buona notizia a tutti gli appassionati, seguita immediatamente da una pessima. La J. League U-22 selection - pensata per le Olimpiadi di Rio 2016 - è stata soppressa dopo due anni. Scelta giusta, perché la squadra è variata molto spesso ed è arrivata per due anni di fila nelle retrovie della J3 League.
Con l'arrivo del Kagoshima United, il numero delle squadre era salito a 13. Non contenti, però, in federazione hanno permesso di aggiungere tre U-23 di alcuni club al resto del gruppo. Le selezionate dovrebbero essere FC Tokyo e le due squadre di Osaka. Uno schifo che blocca la crescita del calcio giapponese.
Come dovrebbe crescere una lega in cui vengono impiantate squadre-B? Non ha alcun senso, specie se U-23. Anche perché invece la Japan Football League (prima divisione non-professionista) continua ad allargarsi: lo SP Kyoto si è dissolto, ma arriveranno il Briobecca Urayasu e il ReinMeer Aomori a dare nuova linfa alla lega.

Affluenza in crescita
Un punto importante è quello dell'affluenza. Vi diranno che è merito della riforma con primo e secondo stage, ma spiegherò perché non è così. Intanto tutte le leghe dalla J2 alla JFL hanno festeggiato un numeroso aumento di spettatori.
La J2 League ha raccolto un +3,8% rispetto all'anno passato. Meglio ancora è andata in terza divisione, dove l'aumento è stato dell'8,2%. Su questo dato pesano il nuovo stadio del Nagano e l'annata straordinaria del Renofa Yamaguchi.
Anche in JFL è andata bene: +5,5% rispetto al 2014, con piazze come Kagoshima United, Nara Club e Azul Claro Numazu che dimostrano quanta voglia ci sia di andare in J3. Peccato per il ?, campione invernale ma senza la licenza per la J3 League 2016 (e con una media-spettatori bassina). Sarà per l'anno prossimo?

Quando la minestra riscaldata è peggio di quella originale
Due anni fa, la JFA ha deciso di riprendere in mano il vecchio format della J. League, con la divisione strutturale del girone di andata e ritorno in due campionati a parte e l'assegnazione del titolo tramite dei play-off finali.
Fortunatamente il Sanfrecce Hiroshima ha fatto il suo dovere e ha confermato quanto la classifica aveva già detto nelle sue 34 giornate. Nonostante il pienone registrato al Big Arch Stadium per il ritorno della finale contro il Gamba Osaka, la formula rimane ridicola.
Il two-stage format tende a svalutare tutto quello che succede negli otto mesi precedenti. A proposito di affluenze in aumento, non è un caso che la J. League abbia ottenuto l'incremento più basso tra le leghe nipponiche: appena il 3,2%, nonostante la presenza del Matsumoto Yamaga (quasi 17mila spettatori di media). Facciamoci due domande...

Le proteste dei tifosi degli Urawa Reds verso il nuovo format della J. League.

2.1.16

J. LEAGUE REVIEW: la marea viola (Parte I)

Anno nuovo, vita nuova. Oddio, fino a un certo punto: la J. League 2015 si è conclusa da un mese, mentre la finale di Coppa dell'Imperatore si è disputata giusto ieri. Si chiude così un anno particolare per il calcio giapponese: incolore per la nazionale, decisamente viola per il calcio dei club. Tante le storie da raccontare: oggi la prima parte.


Team dell'anno

Sanfrecce Hiroshima
Ok, avrebbero potuto far meglio in Champions League. E forse la sconfitta in semifinale della Coppa dell'Imperatore è arrivata al termine di una stagione massacrante. Tuttavia, la vittoria in campionato e il terzo posto alla Coppa del Mondo per club sono risultati che bastano a decretarli come i veri vincitori di questa stagione.
L'anno scorso, il Sanfrecce Hiroshima è arrivato ottavo e molti avevano dato per finita la loro dinastia. Sono tornati più forti, più motivati, più organizzati e con una panchina (leggermente) più lunga. Ora ci si attende da loro il salto definitivo anche in Asia, dove la squadra di Moriyasu non ha mai superato gli ottavi di finale.

Sotto 2-1 al minuto 91, il Sanfrecce rimonta e vince all'Expo '70 Stadium di Osaka: è la partita che consegna il titolo alla squadra di Hiroshima.

Omiya Ardija
A marzo non avrei scommesso un euro sulla loro presenza ai play-off (!) e invece me li sono ritrovati campioni della seconda divisione. Un grande lavoro quello di Hiroki Shibuya, nuovo manager del club e per 14 anni allenatore tra le giovanili e la prima squadra.
La loro promozione è arrivata con merito. Dragan Mrđa ha continuato a fare il suo lavoro, Ienaga ha capitanato bene la squadra. In più ci sono state le esplosioni di Kato e Izumisawa. La nuova stagione inizia con i presupposti giusti, se è vero che sono arrivati Esaka e Iwakami (di quest'ultimo avevo parlato a luglio scorso).

Ehime FC
Dato che ho già menzionato in un articolo l'avventura del Renofa Yamaguchi, spostiamoci a Matsuyama, Ehime. A febbraio si era saputo che l'Ehime aveva violato qualche regola finanziaria. Ci si aspettava una penalizzazione (mai arrivata) o un contraccolpo psicologico. Pensavo addirittura che il club sarebbe arrivato ai play-out.
Invece, l'Ehime Football Club ha conquistato il miglior piazzamento nella sua storia: la squadra ha chiuso il campionato al quinto posto e ai play-off è stata eliminata, ma solo dopo uno scialbo 0-0 contro il Cerezo Osaka. Il merito va sopratutto al tecnico Takeshi Kiyama, che ha preso questi ragazzi nel 2015 e gli ha regalato un anno magnifico.

15 agosto 2015: in una serie di cinque vittorie consecutive, l'Ehime FC batte per 3-1 l'Omiya Ardija, capolista incontrastata. Una dimostrazione di forza notevole.


Flop dell'anno

Kashima Antlers
Eh sì, a Ibaraki c'è da pensare. Ci sarebbe da citare anche il Vissel Kobe in questa speciale classifica, ma l'occasione persa dalla squadra di Kashima è irripetibile. Per talento sono la squadra numero uno in Giappone. E lo saranno, prima o poi. Magari già nel 2016. Ma quest'anno una vittoria in Nabisco Cup (3-0 al Gamba Osaka) non può colmare i rimpianti.

Cerezo Osaka
Sarebbero dovuti risalire immediatamente e invece fin da ottobre hanno pensato ai play-off. Chiusa la stagione a -15 dal secondo posto (valido per la promozione diretta), due vittorie nelle ultime dieci gare di campionato: neanche il l'esonero di Paulo Autuori è servito a qualcosa.
Kiyoshi Okuma ha guidato la squadra ai play-off, dove la squadra ha pareggiato due volte e per poco non tornava immeritatamente) in J1. Okuma è stato confermato, ma le sue doti da allenatore finora si sono viste solo a Tokyo, sponda FC.
Per il resto, è tutto da verificare. Il 2016 finora racconta del ritorno di Yoichiro Kakitani dal Basilea, talento esploso proprio al Kincho Stadium. Basterà per tornare in prima divisione? In fondo, già una volta il Cerezo ci ha messo quattro anni a tornare su...

Keiji Tamada, 35 anni, uno dei pochi a salvarsi nel disastro Cerezo.

Nagano Parceiro
C'è persino spazio per un team della J3 League. E c'è perché il Nagano DOVEVA salire quest'anno. Nuovo stadio, quasi 5000 spettatori di media e Naohiko Minobe alla guida. Invece, i prossimi giganti del Nord sono arrivati terzi, hanno perso il loro allenatore per strada (cambio dovuto a motivi di salute) e non hanno nemmeno giocato lo spareggio contro l'Oita Trinita. L'anno prossimo bisognerà porre rimedio con un gran campionato.


MVP

Dyanfres Chagas Matos, detto Douglas
Dovrei citare il solito Yoshito Okubo, capo-cannoniere per la terza volta di fila. O Hisato Sato, arrivato a quota 157 gol in J. League. O Toshihiro Aoyama, meritatamente MVP della J. League. Invece premio il brasiliano. Per lui vale lo stesso discorso fatto per l'Omiya: chi l'avrebbe mai detto a inizio anno?
Con la maglia del Tokushima Vortis, l'anno scorso non aveva segnato neanche un gol in J1. Nel 2015, invece, il bilancio è di 21 reti segnate (di cui alcune pregevoli): uno score che lo mette dietro solo a Okubo. Il finale di stagione è stato travolgente, visto che ha deciso anche la finale per il terzo posto nella Coppa del Mondo per club.



Jay Bothroyd
Ci sarebbero tanti motivi per ricordarsi la sua figura. Dal suo addio con l'Arsenal alle intemperanze che l'hanno caratterizzato. Dall'ingloriosa stagione al Perugia all'amicizia con Al-Saadi Gheddafi, figlio del dittatore libico. Dal soprannome The Snake all'unica presenza con la nazionale inglese, merito della forma con il Cardiff City.
Si era trasferito in Thailandia e non sembrava un giocatore valido. Non più. Eppure il passaggio a Shizuoka l'ha rinvigorito: non solo è stato importante, ma è stato decisivo per le sorti del Júbilo Iwata. Il suo score parla di 20 gol in 32 partite, ma è l'affetto per l'ambiente ad aver colpito (dimostrato anche su Twitter).

Kazuhito Kishida
Spiace andare solo con i cannonieri, ma il caso di Kishida è più unico che raro. Al di là della vittoria di squadra, il Renofa Yamaguchi ha potuto contare su un bomber implacabile, capace di segnare da solo quattro gol più della J. League U-22 e otto in più del YSCC Yokohama.
E pensare che Kishida faceva panchina al Machida Zelvia, che poi ha subito due dei 32 gol realizzati in questo magnifico 2015. Ora il nativo di Hiji è atteso dal salto di qualità in seconda divisione, dove i suoi gol saranno ancora decisivi per permettere al Renofa di sognare.



(continua domani...)