30.12.16

ROAD TO JAPAN: Masashi Kamekawa

Buongiorno a tutti e benvenuti all'ultimo appuntamento del 2016 con "Road to Japan", la rubrica che ci consente di scoprire qualcosa in più sui talenti che popolano la J. League. Oggi ci spostiamo a Fukuoka: il ritorno in J1 non è andato bene, ma qualcuno si è fatto notare. Tra i volti noti dell'Avispa, c'è Masashi Kamekawa, professione motorino sulla fascia mancina.

SCHEDA
Nome e cognome: Masashi Kamekawa (亀川 諒史)
Data di nascita: 28 maggio 1993 (età: 23 anni)
Altezza: 1.76 m
Ruolo: Terzino sinistro
Club: Avispa Fukuoka (2015-?)



STORIA
Nato nel maggio '93 a Minoh (città poco più a nord di Osaka), Kamekawa si sposta gradualmente verso la prefettura di Yamanashi, dove frequenta la Teikyo Daisan High School dal 2009 al 2011. Inizialmente la squadra del suo liceo lo schierava più avanti, ma al terzo anno l'allenatore dell'epoca decide di arretrarne il raggio d'azione, trasformandolo in un terzino.
Nonostante mille dubbi, Kamekawa accetta il cambio di ruolo e soprattutto l'offerta che gli arriva nell'inverno 2011-12 dallo Shonan Bellmare, che tessera il ragazzo per la propria squadra. È lo Shonan che salirà nuovamente in J1, lo Shonan di Cho Kwi-Jea, il condottiero sud-coreano che guida il Bellmare dalla panchina.
Se il primo anno è d'apprendimento (Kamekawa gioca solo in Coppa dell'Imperatore), in J1 il terzino ha uno spazio inaspettato: 27 presenze e persino la prima rete da professionista contro il Kashiwa Reysol. Kamekawa viene provato un po' ovunque nel 3-4-3 di Cho - esterno sinistro, esterno destro, persino centrale mancino - ma non convince.
Lo si nota l'anno dopo, quando Cho scegli di dargli solo 20 gettoni in campo con lo Shonan - nuovamente retrocesso - che domina la J2 League. Mentre la squadra fa 101 (!) punti, Kamekawa viene sostituito nel ruolo di esterno sinistro nel centrocampo a quattro da Daisuke Kikuchi, che proprio qualche giorno fa ha firmato per gli Urawa Reds.
Inutile dire che il confronto è improbo - Kikuchi è un classe '91, che però a 16 anni già esordivo con i verdi di Hiratsuka - e così Kamekawa deve trovarsi un'altra collocazione. L'occasione giunge a gennaio 2015, quando viene tesserato in prestito dall'Avispa Fukuoka, che ha in panchina la leggenda giapponese Masami Ihara.
Alla prima esperienza in solitario come capo allenatore, Ihara si fida ciecamente di Kamekawa: il modulo è simile a quello dello Shonan, ma la concorrenza è meno nutrita e il tecnico delle Wasps cuce un ruolo più difensivo e di corsa sulla figura di Kamekawa. I risultati si sono visti: 72 presenze in due anni e la promozione in J1, seguita dall'immediato ritorno in J2.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Dal punto di vista tattico, l'incontro avvenuto a Fukuoka con Ihara è stato la salvezza di Kamekawa. Da terzino in una difesa a quattro fa ancora un po' di fatica, ma Ihara ha avuto il merito di trovare una collocazione al ragazzo: esterno a piede invertito, Kamekawa ama sfruttare l'out di sinistra per correre in libertà e sfruttare le proprie doti atletiche.
Quelle stesse caratteristiche di corsa e propulsione gli hanno permesso di ritagliarsi uno spazio importante all'Avispa, nonché in nazionale U-23. Nel 3-4-3 di Ihara, lui e Jogo sono gli uomini fondamentali per trasformare lo schieramento dell'Avispa in un 4-4-2 capace di ripartenze letali in transizione. 
Oltre alle sue doti, Kamekawa deve ringraziare Ihara: sarebbe potuto essere un giocatore da media J2 per il resto della sua vita (dove comunque ha giocato finora il 60% della sua carriera), ma ora ha una sua identità. E può valorizzarla in J1, a patto di valorizzare una tecnica un filo grezza.

STATISTICHE
2012 - Shonan Bellmare*: 1 presenze, 0 reti
2013 - Shonan Bellmare: 27 presenze, 1 rete
2014 - Shonan Bellmare*: 20 presenze, 1 rete
2015 - Avispa Fukuoka*: 41 presenze, 0 reti
2016 - Avispa Fukuoka: 31 presenze, 0 reti
* = in J2 League

NAZIONALE
Kamekawa ha fatto tutta la trafila nei settori giovanili della nazionale giapponese: U-20, U-22 e U-23, con tanto di vittoria nel campionato continentale e la qualificazione per l'Olimpiade di Rio 2016, chiusa con più di una delusione. Per la nazionale è presto, se non altro perché nonostante i talenti presenti a Fukuoka, nessuno di loro è stato considerato da Halilhodzic.

LA SQUADRA PER LUI
Si è visto che è ancora acerbo. Tuttavia, è un classe '93 da 450mila euro di cartellino: ha 23 anni, non è certo vecchio per il calcio e in 18 mesi può migliorare molto. Rimanere in Giappone - magari rimanendo in J1 - sarebbe l'ideale: si parla di Sagan Tosu e lavorare con Ficcadenti gli farebbe bene, soprattutto dal punto difensivo. Ne riparleremo a fine 2017.

22.12.16

CHASING HISTORY: 5 momenti che hanno segnato il 2016

La conclusione del 2016 si sta avvicinando e allora è giusto riguardare alcuni momenti di quest'annata così ricca di eventi, sorprese e fermi immagini da ricordare! #ChasingHistory is here!

Golden moment: Isole Salomone
Contrariamente a quanto avviene per il Mondiale, l'Oceania ha diritto a un posto diretto a qualunque altra competizione (maschile e femminile) FIFA. Tra questi, c'è il futsal: al Mondiale di categoria in Colombia, il discorso del capitano delle Isole Salomone Elliot Ragomo descrive in un discorso di quattro minuti cosa può fare il calcio. Lacrime e feels.

«Nel mio paese le scuole sono chiuse per vederci giocare. In Argentina chi vedrà la nazionale di futsal? Probabilmente solo i loro amici... ma per noi è diverso. Gracias Colombia».


A man to remember: Johan Cruyff
Quest'anno ci ha lasciato uno dei più grandi geni che il calcio abbia mai avuto. Un rivoluzionario, in campo e in panchina. Ha segnato la storia di due dei più grandi club che il football ricordi - Ajax e Barcellona - nonché segnato l'inizio dell'epopea Oranje. Basta vedere anche la prestigiosa lista di omaggi quando a marzo si è spento, divorato da un cancro ai polmoni.

Grazie, Johan.


La partita dell'anno: Boca Juniors-Independiente del Valle 2-3
Prima che la tragedia (e i facili discorsi retorici) della Chapecoense ci travolgessero come una valanga, non avrei avuto dubbio su quale fosse stata la squadra dell'anno. Non avranno vinto la Copa Libertadores, ma il fatto che l'Independiente del Valle - piccola squadra ecuadoregna - abbia raggiunto l'atto finale è notevole. E la vittoria alla "Bombonera" di Buenos Aires, contro il Boca, è il sigillo migliore a quest'avventura.


E ora passiamo alla seria top five di questo 2016.

5. L'OFC Nations Cup in Papua Nuova Guinea e la quasi sorpresa
Quando Tahiti ha alzato il trofeo continentale quattro anni fa, molti hanno pensato a una sorpresa, un episodio. In realtà, come dimostrato dall'edizione di quest'anno, l'Oceania è in tumulto. Ed è giusto che sia così, perché la FIFA non sta dando una mano per far crescere il movimento.
Normale a quel punto che il dominio neozelandese si affievolisca e basti poco per farlo crollare. La Nuova Zelanda ha ottenuto punteggio pieno nel girone, passando la semifinale solo per 1-0 contro la Nuova Caledonia. In finale, la Papua Nuova Guinea - padrone di casa - avrebbe meritato la vittoria, ma i rigori hanno fatto tornare il titolo ad Auckland.


4. Siviglia regna
Vincere non è mai facile, ripetersi è ancor più complicato. Una lezione che vale soprattutto nel caso del Siviglia, che ha vinto la quarta Europa League della sua storia, la seconda di fila. Battuto il Liverpool per 3-1 in una finale incerta almeno per 45' a Basilea. Poi Coke e compagni han spazzato la concorrenza. Curiosità? Quest'anno non potranno difenderla: Emery è stato sostituito da Sampaoli e soprattutto gli andalusi han finalmente passato il girone di Champions.


3. Il finto ritiro e la vera sconfitta
Quanto ci hanno bombardato con la storia del "L'Argentina è invicibile"? Sono almeno due anni. Prima il Mondiale, poi la Copa América, perse entrambe in finale. La Copa América Centenario - oltre che un marchettone di proporzioni epiche, andato per altro male - doveva essere la consolazione albiceleste. Invece l'Argentina è inciampata ancora, sempre ai rigori, sempre contro il Cile. Messi ha dimostrato ancora le sue fragilità, ritirandosi e poi ripensandoci (figura barbina, direi).


2. Magia europea
Come si può esser fuori nella terza partita del girone, prendendo tre gol dall'Ungheria, e poi ritrovarsi campioni d'Europa 20 giorni dopo? Ce lo spiega il Portogallo, che si prende l'Europeo nell'edizione in cui non aveva nulla da mostrare - se non il solito CR7, perso però in finale dopo 25' - e festeggia un titolo che il karma gli ha riconsegnato a 12 anni dalla finale persa in casa contro la Grecia.

P.S.: La gestione, il post e il ruolo di CR7 nel Portogallo spiega perché ha vinto il Pallone d'Oro quest'anno, al contrario di chi perde, si ritira e poi ci ripensa.


1. Leicester sul tetto d'Inghilterra
Da che mondo è mondo, vincere un campionato è enormemente più difficile rispetto al trionfare in una competizione a eliminazione diretta. Lo sa bene il Portogallo e l'ha imparato in maniera contraria il Leicester City di Claudio Ranieri, partito per salvarsi e poi diventato un miracolo vivente, fino alla conquista del titolo (su cui non vi tedio oltre perché dovete aver vissuto su Marte per non saperlo).


Il 2016 ha regalato tante sorprese, giusto godersele.

16.12.16

UNDER THE SPOTLIGHT: Kara Mbodji

Buongiorno a tutti. Ci avviciniamo alla fine del 2016 e quindi inevitabilmente questo sarà l'ultimo appuntamento per "Under the Spotlight", la rubrica che ci consente di scoprire gemme nascoste nel panorama europeo. Oggi ci spostiamo in Belgio, dove l'Anderlecht sta facendo una buona impressione anche in Europa. Merito anche di Kara Mbodji, centrale senegalese.

SCHEDA
Nome e cognome: Serigne Modou Kara Mbodji
Data di nascita: 11 novembre 1989 (età: 27 anni)
Altezza: 1.92 m
Ruolo: Mediano, difensore centrale
Club: Anderlecht (2015-?)



STORIA
Nato a Ndiass, città che affaccia sull'Oceano Atlantico, Serigne Modou Kara Mbodji è un ragazzo senegalese partito da lontano per arrivare dov'è oggi. A 17 anni entra nel Diambars FC, un'accademia a Saly, poco lontano dalla sua città-natale, nota anche per esser una delle organizzazione calcistiche certificate dall'Unesco.
Sponsorizzata dall'Adidas e fondata nel 2003 tra gli altri da Patrick Vieira, l'accademia ha lanciato diversi nazionali senegalesi. Tra di loro, c'è anche Kara, che prende il volo nel 2010 per la Norvegia: a Tromsø fa un freddo cane, ma la Tippeligaen (e in generale i campionati nordici) sembrano un buon banco di prova per i giocatori africani.
Nel triennio speso nel profondo Nord della Norvegia, Kara dimostra subito quanto può valere: schierato da mediano davanti alla difesa dal suo mister Per-Mathias Høgmo, il Tromsø ottiene un terzo, un secondo e un quarto posto. I Gutan godono di gran forma e perdono un alloro in finale di coppa nazionale, ma Kara ha sfondato in Europa.
Se ne accorgono in Belgio, da sempre attenti a ciò che accade in Scandinavia. Il salto di livello arriva con il Genk, che spende 1,5 milioni di euro per avere il mediano senegalese: se nel 2013 il Tromsø retrocede in seconda divisione, il Genk alza la coppa nazionale dopo la finale contro il Cercle Brugge e Kara si è già conquistato un posto in squadra.
Mario Been, tecnico del Genk, ha capito come sia meglio sfruttare Kara da centrale difensivo: da quel momento in poi, il senegalese verrà alternato in mediana, ma la sua posizione di partenza sarà in difesa. I successivi tecnici - Emilio Ferrera e Alex McLeish - non cambieranno quest'impostazione, se non per testarlo ogni tanto da terzino destro.
Con la partenza del giovane Chancel Mbemba (direzione Newcastle), all'Anderlecht cercano un sostituto: il Genk incassa tre milioni di euro dalla cessione di Kara nell'estate 2015. Il suo utilizzo non è cambiato neanche sotto René Weiler, che sta costruendo una delle squadre più interessanti dell'intero panorama europeo (vedi la performance in Europa League).

CARATTERISTICHE TECNICHE
Una roccia, in tutti i sensi. Dal punto di vista fisico, è impressionante la velocità che Kara riesce abbinare a una struttura fisica che lo vede alto 192 centimetri. Non è facile e gli va dato atto di come sia riuscito a migliorare in questo particolare ambito.
Dal punto di vista tattico, Høgmo lo sfruttava come centrale di centrocampo per il suo fisico, capace di sovrastare anche i rocciosi colleghi norvegesi. Diverso utilizzo ne hanno fatto i suoi allenatori in Belgio, sfruttandolo come centrale per la sua altezza e il suo fisico. Se gli si può rimproverare qualcosa, è che sembra ancora un pochino grezzo sulle letture difensive.

STATISTICHE
2010 - Tromsø: 23 presenze, 0 reti
2011 - Tromsø: 31 presenze, 5 reti
2012 - Tromsø: 32 presenze, 4 reti
2012/13 - Genk: 14 presenze, 2 reti
2013/14 - Genk: 50 presenze, 2 reti
2014/15 - Genk: 43 presenze, 3 reti
2015/16 - Anderlecht: 49 presenze, 3 reti
2016/17 - Anderlecht (in corso): 19 presenze, 1 rete

NAZIONALE
Il Senegal ha bisogno di lui, ma Kara ha giocato poco finora: convocazione con l'U-23 per l'Olimpiade di Londra nel 2012 e Coppa d'Africa giocata nel 2015. Ora la prossima rassegna continentale sarà un buon test per lui, specie se si pensa che il suo compagno di reparto sarà molto probabilmente Kalidou Koulibaly.


LA SQUADRA PER LUI
Non sono state poche le voci riguardanti un suo eventuale trasferimento in Premier League, visto che quest'estate l'hanno cercato diverse squadre (soprattutto l'Everton). Il suo contratto protegge l'Anderlecht, che avrà a disposizione Kara fino al giugno 2019. Tuttavia, il senegalese sembra il classico target pronto a fare il salto di qualità: meglio approfittarne...


6.12.16

WITNESSING TO CHAMPIONS – 2016 Edition

Sta per finire un'altra annata: il 2016 si avvicina alla sua conclusione e siamo pronti per la consueta rubrica annuale: "Witnessing To Champions" si occupa di celebrare quei campioni che in quest'anno solare hanno chiuso la loro carriera, lasciandoci diverse testimonianze del loro talento e qualche rimpianto.

È stato un anno pieno di ritiri, anche eccellenti, tanto che qualcuno è rimasto fuori dalla nostra lista. Vuoi perché il suo prime è già passato da un pezzo (vedi Mikel Arteta o Robert Pirès, di cui vi linko questo mio ritratto nel marzo scorso su Crampi Sportivi) o perché la parte finale della carriera non ha riservato le gioie avute prima (menziono Nemanja Vidić o Daniel Agger, romantico che ho celebrato in questo pezzo).

Ecco la lista dei cinque prescelti, con la solita formula "4+1", anche se l'uno del 2016 in quanto a classe non deve invidiare niente a nessuno.

  • Walter Adrián Luján Samuel (difensore, 23 marzo 1978) si è ritirato dopo un biennio trascorso al Basilea. Ha vestito le maglie di Newell's Old Boys, Boca Juniors, Roma, Real Madrid e Inter, nonché quella dell'Argentina.

Quando penso all'essenzialità, penso a Samuel. Una carriera di prestigio, piena di trofei e soddisfazioni (sopratutto nei club, meno con l'Argentina); eppure la faccia è quella di chi non ha ancora ottenuto nulla dalla propria vita calcistica. Si è ritirato dopo un finale tranquillo al Basilea, mentre oggi è di nuovo all'Inter, stavolta nello staff, per dare una mano alla sua ex squadra.



  • Luca Toni (centravanti, 26 maggio 1977) si è ritirato dopo tre anni da capitano con l'Hellas Verona. 

La carriera di Toni è stata una girandola continua: il centravanti ha vestito le maglie di 15 squadre, ha giocato in tre paesi diversi, ha vinto un Mondiale e forse l'avrei visto bene per un'esperienza in MLS. Tuttavia, ha detto basta nel momento in cui si è reso conto di non esserci più fisicamente (tanti infortuni e solo sei gol quest'anno). Lo ricorderemo per le reti e l'esultanza con la mano all'orecchio.


  • Steven George Gerrard (universale/centrocampista, 30 maggio 1980) è stato una sorpresa nel ritirarsi al termine di questo 2016. Dopo una carriera dedicata al Liverpool, ha chiuso con un anno e mezzo ai Galaxy di Los Angeles.

Devo dire che la lista era già pronta quando ho dovuto rifarla con l'annuncio di Gerrard. Chiusa l'esperienza in MLS con i Galaxy di Los Angeles, si pensava che il centrocampista sarebbe diventato il giocatore-manager del MK Dons o che sarebbe andato ai Celtic di Glasgow. Invece StevieG ha detto basta. E io, che l'ho già pianto a maggio 2015 e lo ritengo il mio giocatore preferito di tutti i tempi, piango. Ancora. Il miglior centrocampista degli anni 2000 (sorry, Don Andrès e Xavi).

  • Diego Alberto Milito (centravanti, 12 giugno 1979) si è ritirato vestendo la maglia del suo primo club, il Racing Club de Avellaneda. Ovunque è andato, l'amore l'ha raggiunto e seguito: due stint al Genoa, il periodo al Real Saragozza e soprattutto il triplete con l'Inter.

El Principe, del gol e non solo. Diego Milito è stato sempre forte, siamo noi a essercene accorti con largo ritardo. Si può esser considerati campioni a livello Mondiale solo a 31 anni e comunque non trovare posto in nazionale perché sono in troppi? Eppure il Triplete con l'Inter, le imprese in maglia Genoa e i gol segnati con il Real Saragozza (il periodo spagnolo spesso viene dimenticato) sono segni tangibili della sua grandezza. Ha chiuso con il Racing, la squadra del suo cuore, ed è giusto così.

  • Juan Carlos Valerón Santana (trequartista, 17 giugno 1975) ha legato la sua storia al Deportivo La Coruña (13 anni insieme), ma ha avuto altre esperienze al Maiorca e all'Atlético Madrid. Ha aperto e chiuso la sua carriera con il Las Palmas.

Quest'anno il +1 è di classe. Non scherziamo: se considerassimo solo la classe, il modo in cui si calcia la sfera, quel 21 avrebbe meritato altra carriera. Immagino che Valerón sia comunque contento: ha aperto e chiuso con la maglia del suo cuore; ha fatto parte della leggenda del Super Depor, quello che terrorizzava la Spagna e l'Europa negli anni 2000; ha disegnato calcio ovunque sia andato. Un fuoriclasse poco celebrato, ecco.

28.11.16

ROAD TO JAPAN: Ataru Esaka

Buongiorno a tutti e benvenuti al penultimo numero del 2016 riguardo "Road to Japan", la rubrica che cerca di scoprire i nuovi talenti che si fanno largo nel panorama nipponico. Oggi ci spostiamo a Saitama, dove si festeggia il primo titolo degli Urawa Reds in un decennio, ma c'è anche la miglior stagione dell'Omiya Ardija. Tra loro, c'è Ataru Esaka.

SCHEDA
Nome e cognome: Ataru Esaka (江坂任)
Data di nascita: 31 maggio 1992 (età: 24 anni)
Altezza: 1.75 m
Ruolo: Ala, seconda punta, esterno di centrocampo
Club: Omiya Ardija (2016-?)



STORIA
Nato a Sanda (prefettura di Hyōgo) nel maggio del 1992, Esaka frequenta la Kobe Koryo Gakuen High School prima di iscriversi alla Ryutsu Keizai University. L'università di Ryugasaki è famosa soprattutto per la sua squadra di calcio, che milita in Japan Football League (quarta divisione), nonché capace di vincere il 1st stage del 2016.
Da quell'ambiente sono usciti giocatori come Tomoya Ugajin, Yuki Muto, Kazuya Yamamura e Akihiro Hayashi. E anche Esaka si fa notare, portando la sua squadra a discreti livelli e vincendo alcuni premi individuali. Quando si tratta di compiere il salto da professionista, la scelta ricade su una compagine di J2, il Thespakusatsu Gunma.
Da sempre in lotta per rimanere nella categoria, Esaka è la chiave per il 2015 del Thespa. La squadra di Gunma si salva con qualche giornata d'anticipo e soprattutto permette al ragazzo di esprimersi al meglio: 13 gol, tante buone prestazioni e il soprannome Prince of Thespa. Normale che i club della prima divisione si fiondino su di lui.
A sfruttare l'occasione è l'Omiya Ardija, appena tornato in J1 e che ha potuto assistere da vicino al potenziale dell'ala. Il 4-4-2 - a volte 4-2-3-1 - dell'Omiya gli è congeniale, ma il tecnico Hiroki Shibuya lo lascia cuocere un po' in panchina: vuole dargli minuti gradualmente, senza buttarlo subito nella mischia rischiando di bruciare il ragazzo.
Quando però l'Omiya decolla e dimostra di poter stare nelle posizioni di testa, Esaka trova sempre più spazio. Non solo: ha dimostrato di poter giocare anche più centralmente, mostrando una discreta duttilità. Il bilancio di 40 presenze e 10 reti (di cui sei nel girone di ritorno) è incoraggiante per il futuro.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Esaka sembra una prosecuzione della grande tradizione di trequarti offensivi che il Giappone e la J. League stanno regalando negli ultimi anni. Se c'è però un tratto che sembra contraddistinguerlo, è il fatto che il talento dell'Omiya abbia un filo meno di tecnica e più attenzione tattica, nonché intelligenza nel capire dove andrà la partita.
Quest'anno Shibuya l'ha fatto giocare ovunque: all'inizio da esterno sinistro nel 4-4-2 per sfruttare i suoi tagli verso la porta. Poi seconda punta nel duo d'attacco, infine centravanti in rari casi d'emergenza e a causa della scarsa forma di Mrdja durante la stagione.
Ha funzionato un po' ovunque, tanto da ricordarci i difetti: eccellere in qualcosa è importante, così come rinforzare la struttura fisica. Impressiona la sua buona preparazione nel fondamentale dei colpi di testa, visto che spesso l'abbiamo visto in gol con questa modalità.

STATISTICHE
2015 - Thespakusatsu Gunma: 43 presenze, 13 reti
2016 - Omiya Ardija (in corso): 40 presenze, 10 reti

NAZIONALE
Parlare di nazionale è difficile. Mi auguro che Halilhodzic non vada solo a vedere gli Urawa quando si trova a Saitama, perché quest'anno l'Omiya ha offerto tre-quattro giocatori che meriterebbero almeno la chiamata a uno stage. Con Honda e Kagawa in pessime condizioni, però, non è detto che Esaka non abbia una chance prima o poi.

LA SQUADRA PER LUI
L'opzione consigliabile sarebbe un acquisto anticipato, magari lasciando il ragazzo ancora a Saitama fino a giugno. In fondo, una conferma sarebbe auspicabile e il sito di mercato transfermarkt per ora mette una price tag da 400mila euro sulla testa di Esaka. Un prezzo fattibile, specie se guardato in prospettiva.

20.11.16

Mr. Trinita says goodbye.

È una domenica chiaro-scura quella a Tottori. È appena finita la stagione di J3 League, che ha regalato la promozione all'Oita Trinita: la squadra del Kyushu - seguitissima e con un impianto fantastico - tornerà in J2 dopo appena un anno di purgatorio. Ma non c'è una festa totale, perché è anche l'ultima con l'Oita di Daiki Takamatsu, Mr. Trinita.

I tifosi dell'Oita Trinita celebrano il loro capitano in curva.

Classe 1981, Takamatsu è nato Ube, nella prefettura di Yamaguchi. Daiki frequenta la Takagawa Gakuen High School e nel '99 il Sanfrecce Hiroshima mette gli occhi su lui e un suo compagno di scuola, Genki Nakayama. Ma se quest'ultimo firmerà per il club di Hiroshima l'anno successivo, le cose andranno diversamente per Takamatsu.
Nakayama ha girato il Giappone tra Hiroshima, Sapporo, Hiratsuka e Yamaguchi, dove oggi è tornato: coetaneo di Takamatsu, ha smesso nel 2012 e oggi Nakayama è uno dei coach per l'U-18 del Renofa. C'è da sorridere pensando a come sarebbe andata la carriera di Takamatsu se fosse stato scelto dai Sanfrecce. Invece, Oita lo aspetta.
L'Oita Trinita si è appena affacciato al professionismo, visto che la squadra del Kyushu è uno dei dieci club originari nella stagione inaugurale della J2 League, la seconda divisione nipponica. Dal 2000 Takamatsu è entrato nel club, instaurando un rapporto straordinario con l'ambiente di Oita e con i tifosi del Trinita.
Non è mai stato un bomber: in carriera, Takamatsu ha superato la doppia cifra stagionale solo due volte, di cui solo una contando le reti in campionato. Tuttavia, ha sempre giocato parecchio durante tutti gli anni 2000, raggiungendo il massimo di 12 reti nella J1 League 2006. L'Oita per un po' è rimasto in prima divisione, poi è retrocesso.
Tuttavia, il momento più importante per Takamatsu è stato nella stagione 2008. Non solo per il miglior piazzamento nella storia del club (quarto e a un passo dalla qualificazione per l'AFC Champions League), ma soprattutto la vittoria nella J. League Cup, nella quale Takamatsu è stato fondamentale per alzare il trofeo più importnate.
Nella finale di Tokyo, Takamatsu segna il gol d'apertura contro lo Shimizu S-Pulse con un'incornata decisa. Quando viene sostituito al minuto 82, lui si toglie a fascia di capitano e il pubblico lo applaude. Qualche minuto più tardi, Ueslei segnerà il raddoppio e Takamatsu alzerà il secondo (e ultimo) trofeo nella breve storia del club.
Takamatsu ha fatto parte di un club che ha contribuito alla storia e allo sviluppo del calcio giapponese: quel 1° novembre 2008, l'Oita ha messo in campo Masato Morishige Mu Kanazaki. In panchina c'erano Akihiro Ienaga e Hiroshi Kiyotake, tutti giocatori che oggi - in patria o all'estero - hanno avuto una discreta, se non ottima carriera.


Non è stato sempre facile, però. Nel 2011, quando il suo stipendio sembra troppo alto per le casse del club, Takamatsu va in prestito al F.C. Tokyo, retrocesso in seconda divisione. Solo cinque presenze a causa di un brutto infortunio, prima di tornare all'Oita Trinita. Takamatsu ha anche vestito la maglia del Giappone, disputando due gare con la Nippon Daihyo.
Tuttavia, l'età avanza per tutti e si pensava che prima o poi l'addio fosse pronosticabile, specie con la discesa dell'Oita in J3. L'annuncio del ritiro è arrivato dallo stesso attaccante in un blog che lui stesso gestisce: «Sono sicuro che l'Oita Trinita tornerà in alto anche senza di me. Sono contento di aver dato 16 anni alla causa del club. Grazie a tutti».
L'occasione per salutare tutti è arrivata nell'ultima gara in casa contro lo YSCC: l'Oita non solo ha festeggiato il sorpasso ai danni del Tochigi per la promozione diretta in J2 con un ottimo 3-0, ma ha potuto celebrare Takamatsu. Apparso commosso ai microfoni di fronte a 11mila persone, l'attaccante ha salutato i propri fan, anche se la J3 non era ancora conclusa.
Attenzione: non è che le occasioni per festeggiare Mr. Trinita fossero mancate. Già ad agosto scorso molti tifosi si erano riuniti per celebrare la storia di Takamatsu. E lo stesso club, in occasione dell'ultima gara casalinga, ha proiettato un breve filmato che riassumeva i 16 anni di Takamatsu al Trinita.
Oggi tutto si è concluso: Takamatsu non figurava neanche in panchina, ma la vittoria dell'Oita per 4-2 sul campo del Gainare Tottori ha permesso al club di tornare in J2. Un ritorno ben voluto, visto il pubblico appassionato del Kyushu. Ma ai gialloblu forse mancherà quel numero 13, che speriamo possa esser ritirato. Goodbye, Mr. Trinita.

Daiki Takamatsu, 35 anni, saluta l'Oita Trinita dopo 16 stagioni.

14.11.16

UNDER THE SPOTLIGHT: Yerry Mina

Buon pomeriggio a tutti e benvenuti al penultimo numero di "Under the Spotlight" per questo 2016, la rubrica che vi consente di scoprire i talenti che emergono nel mondo del calcio. Oggi ci spostiamo in Brasile, anche se parliamo di un giocatore colombiano: Yerry Mina ha le stesse quantità di esuberanza, talento e rischio che ci vogliono per parlare di un prospetto sudamericano.

SCHEDA
Nome e cognome: Yerry Fernando Mina González
Data di nascita: 23 settembre 1994 (età: 22 anni)
Altezza: 1.95 m
Ruolo: Centrale difensivo
Club: Palmeiras (2016-?)


STORIA
Yerry nasce nel municipio di Guachené, uno dei più giovani del territorio colombiano (è stato costituito solo nel 2006). In Colombia il calcio è una religione e Mina non può che partecipare, ma il suo destino sarebbe potuto essere molto diverso. Da piccolo, infatti, veniva schierato da portiere per sfruttare l'altezza maggiore rispetto ai coetanei.
A cambiare il destino del giovane Yerry è stato il padre: «Quando ho cominciato, giocavo da portiere. Tuttavia, mio padre ha insistito affinché abbandonassi quella posizione e giocassi in mezzo al campo. Lui e mio zio mi hanno sempre dato molti consigli, tra cui quello di star concentrato ed esser motivato una volta sul terreno di gioco».
Tutto giusto: infatti Yerry cresce e sfrutta la sua altezza oltre il metro e novanta per diventare un centrale difensivo. L'esordio da professionista arriva con il Deportivo Pasto nel 2013, quando il suo allenatore Flabio Torres lo lancia in campo per una gara di coppa contro il Deportivo Cali. Subito ci si accorge che il ragazzo rimarrà poco nel sud-ovest del paese.
Basta un anno affinché l'Independiente Santa Fe lo prenda con sé. Dal 2014 Obelisco - soprannome paradigmatico, direi - è un nuovo giocatore de Los Cardenales, dove avrà modo di farsi ricordare. Il Santa Fe, infatti, è in nuovo rinascimento, tanto da vincere una Superliga colombiana e soprattutto la Copa Sudamericana del 2015.
In quei successi (e in diverse finali raggiunte, ma perse), la figura di Yerry Mina è fondamentale. Soprattutto sotto la guida di Gerardo Pelusso, il centrale diventa troppo importante, mettendo anche la firma in uno dei due gol che regaleranno la Superliga colombiana al Santa Fe. Con le conferme del 2016, era ovvio che qualcuno ci provasse.
Nonostante il calcio brasiliano di club non stia vivendo un gran momento, il Palmeiras ha acquistato Mina nel maggio scorso. Si è dovuta attendere la conclusione del campionato colombiano, ma alla fine il tecnico Cuca ha avuto il rinforzo difensivo di cui necessitiva.
La prima esperienza di brasiliana di Mina è stata contraddittoria: il colombiano continua a sembrare esplosivo, ma un infortunio l'ha costretto a rinunciare alle Olimpiadi di Rio, a cui il centrale difensivo teneva parecchio. Il Palmeiras è vicinissimo a vincere la Série A 2016 (primo titolo dopo 22 anni!), ma Mina potrebbe non esserci a gennaio.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Il fatto di essere un totem da 195 centimetri con certe capacità atletiche ha aiutato (e aiuterà) la carriera di Mina. Stupisce come possa essere così esplosivo con un corpo del genere. Fisicamente sembra - SEMBRA - di assistere a una replica del primo Paul Pogba in una posizione diversa. Mina appare ancora un filo grezzo nei movimenti, ma può solo migliorare.
Fin dai tempi del Deportivo Pasto, ciò che gli si riconosceva era una duttilità notevole: centrale difensivo, in realtà Mina ha giocato anche da mediano, dove può farsi valere sugli avversari grazie a discreti fondamentali e un fisico straripante. Non credo sia un caso se su YouTube campeggiano compilation con titoli come «la miglior difesa è l'attacco».
M26 deve solo curare la troppa esuberanza: Madre Natura l'ha dotato di caratteristiche non si possono insegnare, lui ha una buona comprensione del gioco, ma a volte sembra troppo sicuro di sé. In un mondo diverso da quello sudamericano, potrebbe pagare questa costante effervescenza.

STATISTICHE
2013 - Deportivo Pasto: 24 presenze, 1 rete
2014 - Santa Fe: 52 presenze, 3 reti
2015 - Santa Fe: 54 presenze, 4 reti
2016 - Santa Fe: 18 presenze, 5 reti / Palmeiras (in corso): 13 presenze, 4 reti

NAZIONALE
Visto che i giocatori colombiani più in vista hanno attraversato un 2016 orrendo, l'esplosione di Mina deve esser sembrata una liberazione a José Pekerman, che l'ha convocato già per la Copa América Centenario e lo sta schierando con una certa continuità (quattro presenze e un gol) durante l'anno solare. Come detto, Mina sperava di esserci a Rio, ma un infortunio l'ha tenuto out dall'evento.

LA SQUADRA PER LUI
Mina avrebbe un contratto fino al 2021 con il Palmeiras, ma la verità è che le grandi d'Europa stanno già facendo un'asta per lui. Addirittura si dice che Barcellona e Manchester City siano sulle tracce del colombiano per gennaio. Personalmente credo che gli ci voglia un'esperienza intermedia: un biennio in Portogallo o nella nostra Serie A gli farebbe bene.

8.11.16

Leader calmo.

Quando giocava, è stato il capitano del Real Madrid, ereditando la leadership di Manolo Sanchís. Non era un compito facile per chi era cresciuto nella tranquilla provincia di Málaga e aveva cominciato il suo percorso calcistico al Real Valladolid. 25 anni più, Fernando Hierro ha un profilo ben diverso da quello degli esordi.

Hierro è stato capitano del Madrid, qui con un giovane Iker Casillas.

Credo che lo spagnolo sia stato uno dei migliori nel mescolare una leadership calma e decisa a un concentrato di classe, che non è rimasto sopito pur trasformandosi in un centrale difensivo. Sembra quasi un peccato che la Spagna abbia cominciato a vincere quando giocatori come lui - fondamentali negli anni '90 e nei primi 2000 - sono scomparsi dalla scena.
Classe '68, Hierro è nato a Vélez-Málaga, dove è cominciata anche la sua scalata nel calcio. Dal 1980 al 1987 gioca nella squadra della sua città-natale, con un breve intermezzo al Málaga: sì, quello che recentemente è stato oggetto di attenzione da parte dei petroldollari qatarioti e che ha sfiorato una semifinale di Champions League con Pellegrini in panchina.
Hierro dura pochi mesi a Málaga, perché - con grande sorpresa - gli viene comunicato che è stato scartato. Nonostante abbia 16 anni, il club dice al ragazzo che non avrà un futuro in questo mondo. Il tutto mentre i due fratelli maggiori di Fernando hanno entrambi militato per il Málaga, con Antonio che ne è stato un pilastro.
Poco importa, ci pensa Manolo, il secondo fratello di Fernando. Nel 1986, Manolo Hierro è un giocatore della Real Valladolid e propone al club di prendere suo fratello minore nel vivaio: i Blanquivioletas accettano e in un anno il giovane Hierro esordisce anche in Liga, disputando poi due ottime stagioni al José Zorrilla.
Sarà un caso, ma il Real Valladolid ottiene nel 1988-89 il miglior piazzamento della propria storia, arrivando sesto. Non solo: il club arriva anche in finale di Copa del Rey, perdendo 1-0 l'ultimo atto contro il Real Madrid. Al Santiago Bernabeu hanno capito che Hierro potrebbe esser utile in blanco e così il difensore passa al Real nell'estate '89.
In realtà, il Valladolid l'avrebbe già venduto all'Atlético Madrid, ma Hierro preferisce giocare dall'altra parte della città. Quando a Madrid arriva Radomir Antić, Hierro viene usato come mediano e centrocampista (21 gol nel 1991-92). A trasformarlo definitivamente in un centrale difensivo è Jorge Valdano nel '94, quando l'argentino è il coach del Real.
Sulle cose fatte a Madrid da Hierro si potrebbero spendere fiumi d'inchiostro. Non sarò io a delineare la grandezza e l'eleganza del personaggio: la spina centrale del 2000 - quella con Redondo a centrocampo e Raúl davanti - è forse la personificazione sul campo del concetto di leggerezza unito alla tecnica sublime di cui i tre erano disposti.

Non male, eh.

Non è un caso che sotto Hierro si sia avuta la miglior epoca del Real: del Bosque gli consegnava le chiavi della squadra, poi i Galacticos e una squadra inimitabile hanno fatto il resto (con il capitano che ha superato 100 gol in carriera). E non è una coincidenza il fatto che Hierro abbia lasciato il Real con il proprio tecnico nell'estate 2003.
Messo alla porta dal board, due le correnti di pensiero sul perché dell'addio: da una parte la voglia del Real di iniziare un nuovo ciclo, dall'altra la ricca offerta dei qatarioti dell'Al-Rayyan (uno dei primi a trasferirsi nella QSL). Dopo un anno, la sua carriera si è chiusa con un'ultima recita in Premier League con la maglia dei Bolton Wanderers.
Il grande rimpianto è la nazionale: Hierro ha partecipato a quattro Mondiali e due Europei, con 89 presenze e ben 29 reti (4° nella classifica cannonieri all-time) con la Roja. Eppure la sua enorme classe non l'ha fatto partecipare all'epoca vincente del calcio spagnolo. Tuttavia, un patrimonio così può esser utile anche fuori dal campo, come dimostrato in seguito.
Dal 2007 al 2011, Hierro è stato dirigente della federazione spagnola, diventando poi direttore tecnico del Málaga: un idillio durato appena un anno, ma valso la qualificazione ai preliminari di Champions League. Dal 2014, il Real l'ha rivoluto a casa per entrare nello staff di Carlo Ancelotti: tutto questo è stato l'antipasto di quanto successo nello scorso giugno.
Il Real Oviedo, grande ex della Liga, ha voglia di tornare in prima divisione e decide di assumere Hierro come manager del club. L'obiettivo è riabbracciare la Liga entro un periodo tra i prossimi tre-cinque anni: non impossibile, ma comunque difficile. Tuttavia, l'entusiasmo a Oviedo è stato palpabile anche in sede di presentazione.
Il club ne sembra soddisfatto («è un tecnico di primo livello»), i tifosi ne sono felici e lui stesso è apparso entusiasta della sfida: «Ho avuto diverse possibilità negli ultimi sei-sette mesi, ma in due-tre ore ho capito che questo progetto è valido. Era impossibile trovare un ambiente migliore per la mia prima esperienza da allenatore».
Per ora i primi risultati danno fiducia: sebbene lontano dal Levante capolista (-10), il Real Oviedo è secondo in classifica, ha diversi giocatori superiori alla categoria e spera di poter risalire già da quest'anno, anche se il progetto ha tempo per crescere. El Mariscal ha fatto così bene da giocatore e dirigente; farlo da allenatore sarebbe il completamento delle sue ambizioni.

Fernando Hierro, 48 anni, è il tecnico del Real Oviedo da giugno.

1.11.16

Ciambelle senza buco.

Tra le confederazioni che compongono la FIFA, quella che ha fatto certamente più passi avanti è l'AFC. In Asia si sono mossi molto bene, allargando la competizione continentale a 24 squadre per l'edizione 2019 e riformando il processo di qualificazione al Mondiale. Eppure non tutto può riuscire bene al primo tentativo, vedi l'AFC Solidarity Cup.

Il logo ufficiale dell'AFC Solidarity Cup.

Domani in Malesia partirà la prima edizione di questo nuovo torneo, pensato per dare spazio e partite a quelle nazionali che altrimenti avranno poche chance di potersi esercitare e migliorare. Una buona idea, se non fosse che sembra partita col piede sbagliato e che soprattutto sembra cozzare la nuova struttura delle qualificazioni asiatiche.
L'AFC Solidarity Cup sostituisce l'AFC Challenge Cup, torneo che aveva le stesse modalità, ma una partecipazione maggiore. Infatti, con il vecchio formato delle qualificazioni asiatiche, molte nazionali venivano eliminate nei primi round e non avevano poi la chance di giocare altre partite ufficiali o competitive. Oggi non è più così.
L'AFC Challenge Cup ha permesso ad alcune squadre di scrivere la storia: tra queste, l'ultima edizione - disputata alle Maldive e vinta dalla Palestina in finale contro le Filippine - è stata forse la più iconica, anche perché ha permesso ai vincitori del 2014 di qualificarsi per la Coppa d'Asia giocata sei mesi più tardi in Australia.
Il Bhutan - che ha passato i play-off ed è arrivato ultimo nel suo girone - giocherà altre sei gare per cercare un'improbabile qualificazione alla Coppa d'Asia. Avrà così disputato 18 partite competitive nel giro di due anni, forse un numero di gran lunga superiore a quello che avrebbe potuto disputare con il formato precedente. Ma c'è chi non ha voglia di tirarla per le lunghe.
Nove squadre avrebbero potuto giocare questo torneo: le sei eliminate nel primo turno delle qualificazioni Mondiali nel marzo 2015 (Pakistan, Brunei, Nepal, Mongolia, Brunei, Sri Lanka) più le tre perdenti della seconda fase di play-off dopo i gruppi, disputata tra l'estate e l'autunno di quest'anno (Bangladesh, Timor Est e Laos).

L'ultima recita del precedente formato: l'AFC Challenge Cup ha visto la vittoria della Palestina.

I problemi, però, sono iniziati da subito: già a settembre, dieci giorni dopo il sorteggio dei gruppi, il Pakistan ha annunciato la rinuncia al torneo, visto lo stato di agitazione nel quale il football nazionale vive da qualche tempo. Poco male: un formato a otto squadre poteva essere anche più adatto, ma le grane sono continuate.
Eliminato dai play-off della seconda fase, anche il Bangladesh ha espresso la sua volontà di rinunciare al nuovo formato. Una volontà che avrebbe riguardato in ogni caso anche la vincente di quei 180', con il Bhutan che invece continuerà la sua incredibile (e sognante) cavalcata verso un sogno che appare impossibile.
La Malesia ospiterà quindi quello che forse è il primo errore della nuova gestione dell'Asian Football Confederation: il torneo sembra più un peso che un beneficio per chi ha giocato diverse gare. Se pensiamo che anche squadre come il Pakistan - che ne avrebbe avuto bisogno - ci rinunciano, la portata dell'evento diminuisce ulteriormente.
Inoltre, l'AFC Solidarity Cup è appunto un esercizio di solidarietà, perché non darà più l'accesso alla Coppa d'Asia (cosa che invece garantiva il precedente formato). Siamo sicuri quindi che questo torneo serva a qualcuno? Nel panorama deserto di Kuching, domani inizia una ciambella che probabilmente è venuta senza buco.

Dudley Lincoln Steinwall, 42 anni, ct e simbolo del calcio dello Sri Lanka.

29.10.16

ROAD TO JAPAN: Naomichi Ueda

Buongiorno a tutti e benvenuti al decimo numero di "Road to Japan" per questo 2016, la rubrica che ci consente di scoprire i maggiori talenti del panorama giapponese. Oggi dobbiamo spostarci nella prefettura di Ibaraki, dove il Kashima attraversa un periodo contraddittorio, ma è tornato a vincere. Merito anche di Naomichi Ueda, centrale degli Antlers.

SCHEDA
Nome e cognome: Naomichi Ueda (植田 直通)
Data di nascita: 24 ottobre 1994 (età: 22 anni)
Altezza: 1.86 m
Ruolo: Difensore centrale
Club: Kashima Antlers (2013-?)



STORIA
Nato nel '94 a Uto, centro da 40mila anime nel profondo sud del Giappone, Naomichi Ueda ha mantenuto un profondo legame con la prefettura di Kumamoto. Colpita da un pesante terremoto nell'aprile scorso, Ueda si è ritrovato in lacrime durante un'intervista post-gara per quanto accaduto ai suoi corregionali.
Inizalmente Naomichi sembra indirizzato verso il taekwondo, nel quale ottiene ottimi risultati a livello nazionale sin da piccolo. Poi in terza elementare lo invitano a una partita di calcio: se ne innamora e non lo lascia più, fino alla Ohzu High School, dove il suo allenatore Kazunori Hiraoka dice di averne visti pochi come lui.
Fin dal primo anno è uno dei titolari, ma non basta: dopo aver portato il suo liceo al campionato nazionale, lo notano diverse squadre di J. League. Ad avere la meglio sono i Kashima Antlers, che possono contare anche su un fattore di famiglia: a Ibaraki hanno prelevato anche Yuya Toyokawa, stessa età e liceo di Ueda.
Gli Antlers non sono più quelli vincenti degli anni 2000, ma è proprio da talenti come Ueda che si può ripartire per costruire una generazione vincente. Sotto la guida di Toninho Cerezo, il difensore s'inserisce gradualmente nella rotazione: nel 2013 gioca solo tre gare, mentre l'anno successivo riesce anche a esordire in J. League.
Con l'arrivo di Masatada Ishii a metà del 2015, la sua crescita ha subito un'accelerata, grazie a una squadra dall'età-media più bassa. Pur avvicinato da diversi club, Ueda ha rifiutato la corte di Vissel Kobe e Sagan Tosu nell'inverno scorso perché voglioso di crescere a Ibaraki. Sarà un caso, ma da quando Ishii l'ha panchinato nel girone di ritorno, il rendimento degli Antlers è precipitato.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Ueda rappresenta una speranza per il Giappone per un semplice motivo: nel ruolo di difensore centrale, il paese del Sol Levante fatica a produrre interpreti di un certo tipo. Ciò nonostante, i ct succedutisi sulla panchina giapponese non hanno fatto ruotare gli elementi per provarne di nuovi, ma hanno semplicemente deciso di affidarsi alla coppia più in voga.
Se Yoshida e Morishige sono risultati più volte inadeguati (con colpe da scaricare soprattutto sul capitano del FC Tokyo), Ueda potrebbe essere il back-up ideale per Yoshida. Alto 186 centimetri e forte fisicamente, il centrale degli Antlers può contare su un'aggressività notevole: «Non ho paura di confrontarmi con avversari stranieri».
A questa forza fisica, si aggiunge un'inaspettata velocità, tanto da portare a termine i 50 metri in 6.1 secondi. E il suo modello è Carles Puyol, che una certa storia in questo ruolo l'ha anche scritta durante la sua carriera.

STATISTICHE
2013 - Kashima Antlers: 3 presenze, 0 reti
2014 - Kashima Antlers: 24 presenze, 0 reti
2015 - Kashima Antlers: 16 presenze, 1 rete
2016 - Kashima Antlers (in corso): 23 presenze, 0 reti

NAZIONALE
Ueda ha già fatto tutta la trafila delle rappresentative giovanili: dall'U-16 all'U-23, passando per l'U-17 (con la quale ha disputato il Mondiale di categoria nel 2011) e soprattutto l'ultima Olimpiade, nella quale non ha impressionato e ciò nonostante è stato il più positivo in una linea difensiva altrimenti disastrosa durante quella competizione.
Dovrebbe prima o poi approcciare con la nazionale maggiore, visto che in realtà è stato già chiamato diverse volte. Addirittura Ueda è partito con la Nippon Daihyo di Aguirre per la Coppa d'Asia del 2015, sostituendo l'infortunato Uchida. Halilhodzic lo considera, ma intanto Ueda non ha ancora esordito nonostante diverse convocazioni.

LA SQUADRA PER LUI
La miglior cosa sarebbe continuare a seguirlo: parliamo di un ruolo nel quale il Giappone non ha mai spiccato particolarmente. Quindi lasciarlo progredire sarebbe la mossa più intelligente, magari strappando un'opzione al Kashima qualora i suoi miglioramenti fossero tangibili. Di sicuro può avere un futuro anche all'estero se continuerà così.

21.10.16

Favole a lungo termine.

Oggi è un anniversario speciale per il calcio italiano: 15 anni fa, un quartiere di Verona ha toccato la vetta della nostra piramide, equivalente alla testa della classifica di Serie A. Da neo-promossa. Il Chievo Verona - detto anche il Ceo - ha fatto questo e tanto altro. Dopo le prime otto giornate e un tranquillo sesto posto, viene da chiedersi quanto potrà durare.

Il Chievo Verona edizione 2001-02. Un Leicester ante litteram (cit.)

Il "se", invece, non è più un dubbio. Dopo così tante stagioni in Serie A - intervallate da un breve ritorno in cadetteria, riscattato immediatamente con la vittoria del campionato - il Chievo di Luca Campedelli rappresenta una realtà del nostro calcio. Nessuno ne è più stupito, anzi: forse saremmo più sorpresi se i gialloblu mollassero la categoria.
Il tutto è nato nell'estate del 2001. All'epoca, mentre l'Italia assiste al trionfo della Roma in A e al terzo scudetto della sua storia, la tarda conclusione del campionato ha messo in secondo piano quel che è successo in B. Insieme a Piacenza, Venezia e Torino, il Chievo ha ottenuto la promozione e affronterà il primo campionato di A della sua storia.
Per molti è un azzardo: i veneti han fatto benissimo in B, ma la squadra è formata da una serie di carneadi alla prima esperienza nella massima divisione italiana. A partire dal suo mister: Luigi Delneri ha vissuto finora la propria carriera da allenatore al massimo in B, assaggiando la A con l'Empoli senza neanche iniziare la stagione.
E che dire dei suoi ragazzi? Molti di loro non sanno cosa sia la Serie A oppure l'hanno appena conosciuta. Gli unici un po' fuori da questo ragionamento sono il portiere Marcon, capitan Corini, Mezzano ed Eriberto (o Luciano, come verrà chiamato da un certo punto in poi della sua carriera). Tuttavia, sembra un gruppo destinato a un anno difficile.
In estate arrivano alcuni rinforzi: in porta c'è Cristiano Lupatelli, che ha appena vinto uno scudetto con la Roma. C'è il ritorno di Nicola Legrottaglie, allora sconosciuto centrale prestato al Modena. Arriva Simone Perrotta, che non entusiasma a Bari. Torna anche Massimo Marazzina, che ha passato l'anno passato a Reggio Calabria in prestito.
Con questi, si parte a Firenze: il 4-4-2 di Delneri è la cifra tattica del Chievo, che si affida a un gioco corale e al passo delle sue ali per creare più occasioni possibili. Non solo è una sorpresa, ma è una squadra divertente: col passare del tempo, si capisce che non è un caso. Se la Fiorentina è la prima vittima eccellente, ce ne saranno altre.

Il punto di non ritorno: la vittoria a San Siro contro l'Inter.

Alla terza giornata, il Chievo per poco non strappa un punto a Torino contro la Juve. Alla quinta, ha già 12 punti. Dopo l'1-0 al Parma, proprio 15 anni fa, i gialloblu si ritrovano in vetta. Continueranno a sorprendere per tutto il girone d'andata, sconfiggendo Inter e Lazio. Perdono il derby, ma i ragazzi di Delneri sembrano poter cullare il sogno europeo.
Purtroppo, il girone di ritorno mette in discussione quest'assioma: ci vogliono undici partite prima che il Ceo torni a vincere e lo fa in un'occasione discretamente importante, battendo l'Hellas nel derby di ritorno. A quel punto, però, è troppo tardi per tornare in vetta: Inter, Juve e Roma se ne sono andate. Poco importa: c'è il sogno Champions.
La perdita di Jason Mayélé - attaccante congolese morto in un incidente stradale il 2 marzo 2002 - ha segnato psicologicamente il gruppo, che ha racimolato 12 punti negli ultimi sei incontri. Non abbastanza per il quarto posto, poi preso dal Milan, che vincerà la Champions partendo dai preliminari. La Coppa UEFA è stato comunque un traguardo prestigioso.
Da quel 2001-02, quei ragazzi han fatto strada. Delneri è stato sulle panchine di Roma, Porto e Juventus, facendo benissimo soprattutto a Bergamo e Genova (sponda blucerchiata). Oggi ancora il suo profilo è rispettato, tanto che l'Udinese ha pensato a lui per sostituire Iachini, rendendo ufficiale il secondo cambio del campionato.
Anche per i giocatori quell'anno ha significato parecchio. Perrotta e Barone (quest'ultimo primo cambio a centrocampo) sono stati campioni del Mondo con la nazionale, per la quale hanno giocato anche Corradi e Marazzina, mentre Lanna è stato convocato ma non è sceso in campo.
Manfredini è passato alla Lazio e ha poi giocato per la Costa d'Avorio, mentre Eriberto/Luciano ha svelato la sua vera identità ed è rimasto fino al 2013, nonostante un breve passaggio in prestito all'Inter. Per chiudere, Eugenio Corini è stato capitano di quella squadra e a Palermo, arrivando persino ad allenare il Chievo in due occasioni.
Quella squadra rimane un miracolo "alla Leicester" molto più degli stessi inglesi: non tanto perché il calcio era diverso, ma perché quel Chievo è stato l'esempio massimo di come si possa fare molto bene senza soldi. Oggi un exploit del genere sarebbe più difficile, perché la forza economica conta qualcosa in più. Ma è comunque un bel ricordo.

Luigi Delneri, 66 anni, all'epoca fautore del miracolo Chievo.

16.10.16

UNDER THE SPOTLIGHT: Gedion Zelalem

Buongiorno a tutti e benvenuti al numero dieci del 2016 per "Under the Spotlight", la rubrica che ci porta a scoprire le gemme nascoste del panorama calcistico. Oggi parliamo di un ragazzo che sarebbe fuori dai miei criteri - gioca con l'Arsenal ed è attualmente a Londra - ma che dovrebbe trovare spazio altrove: Gedion Zelalem, americano di Berlino.

SCHEDA
Nome e cognome: Gedion Zelalem
Data di nascita: 26 gennaio 1997 (età: 19 anni)
Altezza: 1.80 m
Ruolo: Centrocampista centrale, mezzala, trequartista
Club: Arsenal (2014-?)



STORIA
Di origini etiopi, Zelalem nasce a Berlino nel gennaio 1997. Passa anche per il vivaio dell'Hertha prima di partire e lasciare la Germania dopo un lutto familiare: si stabilisce con il padre a Washington nel 2006, dove continua a giocare con le rappresentative scolastiche. Tutto cambia nel 2013, quando un suo connazionale lo scopre a Dallas.
Daniel Karbassiyoon non è stato fortunato nella sua carriera (ha smesso a 22 anni dopo esser stato persino un giocatore dell'Arsenal), ma oggi fa da osservatore per i Gunners e scopre questo talentino, tanto da convincere il club a tesserarlo per l'Academy. Da quell'estate 2013, Zelalem è entrato nell'universo londinese per non abbandonarlo mai.
Tuttavia, è difficile per un 17enne emergere in una realtà così grande: ci vogliono una serie di coincidenze e l'occasione giusta, che però non arriva. Si fa vedere nella tournée asiatica del 2013 (dove qualcuno cita paragoni di un certo rilievo: leggasi Fabregas), ma ci vuole un contesto più ampio per farsi notare al meglio da Arsènè Wenger.
Il 2014 vede le prime presenze di Zelalem con l'Arsenal: a gennaio in F.A. Cup contro il Coventry, a dicembre in una rotonda vittoria a Istanbul in Champions League. Arriva persino il rinnovo fino al giugno 2017, firmato con Ramsey e Cazorla. Tuttavia, manca una certa continuità nelle presenze in campo, sebbene sia sempre presente con le giovanili.
E allora bisogna emigrare, anche se solo per un'annata. L'offerta giusta arriva nell'agosto 2015: si va a Glasgow, sponda Rangers. Prestito annuale, con un duplice obiettivo: riportare i Gers in Premier League scozzese e tornare all'Arsenal più forte di prima. Non semplice, ma dalle prime gare s'intuisce che la seconda divisione scozzese vada stretta al ragazzo.
Sotto la guida di Mark Warburton, Zelalem può sfoggiare la sua creatività a centrocampo, giocando 28 partite al fianco di giocatori più esperti. Inoltre, l'esperienza è servita per aumentare la personalità: «Giocare di fronte a 50mila persone ogni settimana mi ha aiutato. Sono cresciuto fisicamente e tecnicamente: è stata una bella esperienza».
A fine anno si torna all'Arsenal, ma le cose non stanno andando come previste: finora Zelalem ha giocato sette minuti in Coppa di Lega e sembra coperto da una folta concorrenza a centrocampo. Eppure Petr Cech - non uno qualsiasi - ha affermato come il ragazzo non abbia paura di «fare certe giocate: ha un grosso potenziale da poter mostrare».

CARATTERISTICHE TECNICHE
Primo ragazzo a giocare per l'Arsenal ed esser nato DOPO l'arrivo di Wenger sulla panchina dei Gunners, Zelalem può giocare da mediano o da regista, ma sembra molto più adatto per la posizione di centrocampista centrale o mezzala, dove può dispiegare il suo talento creativo (visione di gioco, accelerazione da fermo, passaggi corti). Inoltre, come già accennato da Cech, non ha paura di tentare la giocata difficile.
Certo, Wenger ha un punto: il ragazzo è esile e deve migliorare fisicamente, sebbene l'esperienza ai Rangers Glasgow gli sarà stata certamente utile. Inoltre, solo un maggior minutaggio potrà far crescere Zelalem, che altrimenti rischia di rimanere imbottigliato nella parabola del "bravo, ma non abbastanza" che ha già colpito parecchi nel calcio moderno.

STATISTICHE
2013/14 - Arsenal: 1 presenza, 0 reti
2014/15 - Arsenal: 1 presenza, 0 reti
2015/16 - → Rangers Glasgow: 28 presenze, 0 reti
2016/17 - Arsenal (in corso): 1 presenza, 0 reti

NAZIONALE
Potenzialmente Zelalem potrebbe esser chiamato da tre nazionali: Etiopia, Germania e Stati Uniti. Visti i suoi trascorsi giovanili, il duello è tra teutonici e americani. Il centrocampista ha infatti militato sia per la Germania U-15, 16 e  17 che per gli Stati Uniti U-20 e 23. Anzi, con l'U-20 ha pure giocato il Mondiale di categoria.
Forse è presto per dire che Zelalem rappresenti un giocatore da convocare a tutti i costi per le nazionali maggiori di uno di questi due paesi, però è sicuramente un prospetto da tener d'occhio. Lo stanno facendo soprattutto gli USA (tanto da aver preso la cittadinanza), anche perché Zelalem ha rifiutato a prescindere l'Etiopia e in seguito anche le giovanili tedesche.

LA SQUADRA PER LUI
«Mi sento pronto per giocare in Premier League. Spero solo di avere una chance per poterlo dimostrare»: queste le parole di Zelalem al ritorno dalla Scozia. Eppure Wenger non sembra pensarla alla stessa maniera e la concorrenza di gente come Coquelin, Cazorla, Ramsey e Xhaka non aiuta. E allora perché non approfittarne?
Oggi Zelalem vale 250mila euro (per transfermarkt) e sembra un'occasione da non perdere, un materiale grezzo sul quale poter lavorare nel tempo. I Bolton Wanderers - retrocessi in League One - l'hanno cercato per un prestito, ma sembra un colpo di cui potersi vantare tra qualche anno. Tentar non nuoce, anche perché il suo contratto scade a giugno...

7.10.16

Made in Italy?

Bello il Made in Italy, eh? Fantastico. Qualche anno fa avevamo Mancini al Manchester City, Ancelotti tra Parigi e Madrid, Capello in Russia e tanti allenatori emergenti. Manager in ascesa ne abbiamo anche ora, ma gli ultimi giorni hanno alzato più di un dubbio sul Made in Italy: sicuri che siamo ancora così di prestigio all'estero?

Roberto Di Matteo, 46 anni, ha lasciato l'Aston Villa da qualche giorno.

A giudicare da alcuni appointment per il 2016/17 - Conte al Chelsea, Ancelotti che finisce il sabbatico e va a Monaco di Baviera, Mazzarri dai Pozzo in Inghilterra - sembra di sì. Certo che bisogna vedere anche l'altro lato della medaglia: i tecnici italiani - tra i più preparati nel mondo del calcio - stanno avendo anche qualche difficoltà.
Primo della lista? Facile, Roberto Di Matteo. Allora, qui tocchiamo un tasto per me dolente: l'ho scritto quattro anni e mezzo fa, ma lo ribadisco con forza a distanza di così tanto tempo. La Champions League vinta nel 2012 dal Chelsea è forse uno degli scherzi peggiori venuto in mente agli dèi del calcio negli ultimi anni.
La semifinale con il Barcellona e la finale contro il Bayern Monaco sono tre partite sostanzialmente irripetibili. All'epoca scrissi: «Ha stupito tutti. Non nel gioco, che ha lasciato parecchio attoniti: difendersi in dieci dietro la linea della palla è un gioco facilmente applicabile. Anche la fortuna l'ha accompagnato, ma sono i risultati che hanno parlato in suo favore».
E difatti, una volta che i risultati sono spariti, il suo CV non è servito più. Non serve vincere una Champions League se poi non c'è un seguito: è mancato questo a Roberto Di Matteo. Dopo il Chelsea, l'elvetico ha aspettato di incassare l'intera paga dei Blues per accasarsi allo Schalke 04, piazza notoriamente poco facile in Bundesliga.
Una stagione è bastata, con l'esonero a una giornata dalla fine, una volta realizzato che il posto per la Champions era andato. Quando Di Matteo è stato nominato manager del retrocesso Aston Villa a giugno, lo aspettavo al varco. Qualche giorno fa, l'esonero è arrivato puntuale: otto punti in 12 partite sono pochi per chi punta al ritorno immediato in Premier.
Da chi spero abbia concluso il suo credito di fortuna con il calcio a chi deve pur recuperarlo da qualche parte. Se i suoi primi due anni in nazionale gli hanno dato un profilo internazionale (con la finale di Euro 2012), l'avventura al Mondiale 2014 l'ha stroncato. Sommato all'esonero dal Galatasaray, Prandelli è sparito dalla mappa.
Nonostante l'accordo per la buonuscita sia arrivato già a giugno 2015, l'addio con i turchi non è bastato per rivederlo in panchina. E non sono così sicuro che il Valencia - che l'ha appena assunto con un biennale - sia l'ambiente ideale per ripartire, dominato com'è più dagli interessi degli agenti e dei fondi di investimento che dal campo.

Prandelli non benissimo con lo spagnolo, ecco.

Altro paese? Altro paese. Dicevamo di Di Matteo, ma l'Inghilterra quest'anno pullula di allenatori italiani. Un altro della lista è Walter Zenga, la cui esperienza alla Samp avrebbe dovuto stroncare la sua carriera, unito all'ennesima incredibile avventura all'Al-Shaab (una vittoria, un pareggio e nove sconfitte: quattro punti in 11 gare).
Invece, niente da fare. In Inghilterra il Wolverhampton - tornato in Championship da qualche tempo e in mano a un fondo d'investimento cinese (il Fosun) - ha deciso di puntare su di lui per sostituire Kenny Jackett, già dato vicino all'addio quando si è parlato di Lopetegui ai Wolves e poi scaricato dal board cinese prima dell'inizio del campionato.
Per ora il Wolverhampton naviga a vista: ha battuto il Newcastle in trasferta e viaggia in 12° posizione prima del turno odierno, ma soprattutto non sembra essere un team in grado di fare molto di più. E poi anche l'anno scorso con la Samp Zenga è partito molto bene, salvo poi perdersi lungo la strada. Ma non è l'unica sorpresa arrivata da Oltremanica.
L'altro nome che stupisce è quello di Alberto Cavasin. Già, colui che è rimasto nella storia recente del calcio italiano per uscite poco opportune in conferenza stampa e uno stint tremendo alla Sampdoria. I tifosi si chiedono chi sia, ma anche i giocatori dello Swansea si chiedevano chi fosse Francesco Guidolin, appena esonerato dal club gallese.
Cavasin riparte dopo cinque anni di stop: l'ultima avventura è stata tremenda e comunque solo la proprietà italiana del Leyton Orient spiegherebbe perché un tecnico che ha allenato tre squadre negli ultimi sei anni possa trovar posto in League Two. Visto che ha persino lanciato un sito personale per l'occasione, gli auguro buona fortuna: gli servirà.

Alberto Cavasin, 60 anni, riparte dopo cinque anni dal Leyton Orient.

30.9.16

ROAD TO JAPAN: Haruya Ide

Buongiorno a tutti e benvenuti al nono numero per il 2016 di "Road to Japan", la rubrica che ci consente di scoprire i maggiori talenti del calcio giapponese. Oggi ci spostiamo nella prefettura di Chiba, dove ci sono due situazioni opposte: da una parte il Kashiwa Reysol in J1, dall'altra il JEF United Chiba in J2. Quest'ultimo ha in squadra Haruya Ide, talentino di casa JEF.

SCHEDA
Nome e cognome: Haruya Ide (井出 遥也)
Data di nascita: 25 marzo 1994 (età: 22 anni)
Altezza: 1.70 m
Ruolo: Trequartista, esterno
Club: JEF United Chiba (2011-?)



STORIA
Nato a Kashiwa (nella prefettura di Chiba) nel 1994, Haruya Ide si sposta con la famiglia a Tokyo durante la sua giovinezza. Se la sua nascita avrebbe dovuto piazzarlo nelle giovanili del Kashiwa Reysol, in realtà Ide finirà a giocare per l'altra squadra della città di Chiba, ovvero lo JEF United, da qualche anno finito in seconda divisione.
La sua entrata nel JEF United arriva grazie a un amico di sua sorella che lo incita a entrare in squadra, ma è solo l'inizio: prima l'U-15, poi l'U-18 e infine la prima squadra. Un ingresso arrivata in età precoce, visto che Ide esordisce sotto la guida di Sugao Kambe sul finire della stagione 2011 contro Mito HollyHock, quando il giovane Haruya ha solo 17 anni.
Va detto che la stabilità non è di casa in questo club: il JEF United ha cambiato sette allenatori nelle ultime sei stagioni. Gli unici due a garantire una certa continuità sono Takashi Sekizuka (ex ct dell'U-23 giapponese a Londra 2012) e soprattutto Jun Suzuki, che ha avuto il merito di dare a Ide maggior spazio tra i titolari.
Già, perché la mezzala gioca appena quattro partite nelle prime tre stagioni, poi con l'arrivo di Suzuki il numero di apparizioni schizza a 37 gare (accompagnato dalle prime quattro reti da professionista). In una panorama di assoluta aridità (il JEF è retrocesso da sette anni e difficilmente tornerà in J1 nel 2017), Ide rappresenta l'unica gioia alla Fukuda Denshi Arena.

CARATTERISTICHE TECNICHE
L'evoluzione tattica di Ide è stata interessante: partito da centrocampista centrale, diventato mezzala, poi trasformato in trequartista, quest'anno ha persino giocato da ala nel 4-2-3-1, 3-4-2-1 o 4-4-2. Indifferente l'utilizzo della fascia, perché Ide è apparso sia sul lato mancino che su quello destro sotto la guida di Sekizuka.
Tecnicamente parlando, invece, c'è da esser contenti. Se da una parte bisogna considerare che Ide deve rafforzarsi dal punto di vista fisico (il ragazzo è leggerino per la J2, figuriamoci per il calcio europeo), il giocatore del JEF United ha delle discrete doti.

STATISTICHE
2011 - JEF United Chiba: 2 presenze, 0 reti
2012 - JEF United Chiba: 2 presenze, 0 reti
2013 - JEF United Chiba: 0 presenze, 0 reti
2014 - JEF United Chiba: 37 presenze, 4 reti
2015 - JEF United Chiba: 32 presenze, 6 reti
2016 - JEF United Chiba (in corso): 28 presenze, 3 reti

NAZIONALE
Purtroppo questo è un tasto dolente: in questo momento storico, un talento - promettente, ma grezzo - come Ide non può trovare spazio nel suo ruolo. C'è da sperare che qualcuno - in Europa o nello stesso panorama della J. League - creda in questo ragazzo dotato, che altrimenti non vedrà mai la Nippon Daihyo incastrato nelle difficoltà tecniche (e non) del JEF United.

LA SQUADRA PER LUI
Non so voi, ma a me viene spontaneo il parallelo con Shinji Kagawa: anche il giocatore del Borussia Dortmund era il leader tecnico di una squadra - il Cerezo Osaka - che ha passato diversi anni in J2. Lui è cresciuto in quel contesto, sebbene Kagawa sia riuscito poi con i suoi compagni a riportare il club in J1 prima di partire per la Germania.
Ecco, Ide in questo non sembra riuscire. Perché è troppo giovane, perché non ha la personalità o la tecnica per condurre il JEF alla promozione: poco importa. Ma è sicuramente un giocatore su cui poter lavorare, dalle buone capacità tecniche e molto duttile: il calcio olandese lo aspetta, con tutti i miglioramenti necessari per sfondare.

23.9.16

Dinastia interrotta.

Arjen Robben, Ibrahim Afellay, Memphis Depay. Seppur con fama mondiale discendente, la generazione di ali offensive del PSV ha sempre fatto un buon lavoro: dall'olandese del Bayern all'ex Barcellona, passando per l'attuale giocatore del Manchester United. Nella linea dinastica, l'erede sarebbe dovuto essere Zakaria Labyad. SAREBBE.

Labyad con Depay ai tempi del PSV Eindhoven.

Perché il pallone porta con sé risvolti che non avremmo mai immaginato. Per i Pavoletti (o i Toni, per fare esempi più celebri) che si affermano dopo anni di gavetta e tanto impegno, ci sono i Labyad (o i Mastour, se il tempo mi darà ragione) che invece non si affermano mai, nonostante premesse ben più floride nei loro primi passi sul campo.
Zakaria Labyad non è stato diverso. Classe '93 nato a Utrecht, Labyad milita a livello giovanile nell'USV Elinkwijk, club che gioca oggi in quinta divisione. Nel 2004, a soli 11 anni, il piccolo Zakaria passa al settore giovanile del PSV Eindhoven, che a quei tempi raggiunge una combattuta semifinale di Champions League.
In quegli anni trascorsi nel settore giovanile, qualcosa si intravede: deve essere per forza così, altrimenti non si spiegherebbe un primo contratto firmato nel gennaio 2009, valido fino al giugno 2012. Arriva il momento dell'esordio in prima squadra per una gara di Europa League del febbraio 2010: tre giorni più tardi, anche la prima in Eredivisie.
Il PSV non vince il campionato dal 2008 (e non lo vincerà fino al 2014), ma quella squadra e quel calcio sono l'ideale per far crescere il talento di Labyad. Il tecnico Fred Rutten l'ha lanciato e lo coccolerà per tutto il periodo della sua permanenza: idealmente, i due sono collegati da un filo rosso nell'avventura a Eindhoven.
Quando infatti Rutten si separa dal PSV, anche Labyad si prepara a partire: è l'ennesima pepita del campionato Oranje che lascia il calcio olandese. Ce lo si può permettere: l'anno prima è partito l'ungherese Balázs Dzsudzsák, andato in Russia. E in fondo, il PSV qualche sostituto l'ha coltivato in casa e tramite gli acquisti.
Non per nulla, al posto di Labyad rimarranno Lens, Dries Mertens (preso dall'Utrecht, come Kevin Strootman) e un giovanissimo Memphis Depay, che è solo un anno più giovane di Labyad. Philipp Cocu, all'epoca manager ad interim e oggi allenatore del PSV, dà il suo benestare alla partenza del talento di origini marocchine.
Ad attendere Labyad - dopo 48 presenze e 12 gol in tutte le competizioni con il PSV - c'è lo Sporting Lisbona: un affare a costo zero, visto che l'ala si è svincolata al termine del suo contratto con il club olandese (con tanto di diatriba legale). Per i Leoni di Lisbona sembra un affare, ma in realtà sarà il canto del cigno per entrambe le parti.
Se lo Sporting comincia a soffrire economicamente (e quindi quell'intuizione è l'ultima di un certo rilievo), Labyad non è continuo nella sua avventura in Portogallo. Il rapporto con Jesualdo Ferreira non è straordinario, la squadra va male in Europa League e malissimo in campionato, dove il settimo posto finale è una delusione. E ora?

Cos'è stato di Labyad a Lisbona?

Niente da fare: Lisbona è meglio lasciarla, specie se non giochi una partita nella prima parte del 2013-14. Si torna in Eredivisie, precisamente ad Arnhem, dove il Vitesse lo aspetta in prestito. I 18 mesi trascorsi in giallonero sembrano l'inizio della rinascita: addirittura 35 presenze e dieci reti nel 2014-15 sotto la guida di Peter Bosz.
Intanto a Lisbona lo Sporting si è ripreso: dopo la cura Jardim, è arrivato Jorge Jesus, a cui piacerebbe ripartire dal talento marocchino. Così l'ex tecnico del Benfica lo richiama alla base, convinto di poterlo sfruttare al meglio. E invece arriva una nuova delusione, perché Jesus non lo metterà mai in campo con la prima squadra.
Labyad gioca con le riserve in seconda divisione, dove però non sembra determinante. Neanche sei mesi di prestito al Fulham l'hanno rigenerato; anzi, l'allenatore dei Cottagers Slavisa Jokanovic è stato onesto a maggio 2016: «Nelle ultime settimane non è rientrato nei miei piani. Non si sta nemmeno allenando più con noi».
L'appendice finale di questa corsa a vuoto è stato il mercato estivo: nessuno ha bussato alla porta di Labyad, che alla fine ha optato per la separazione consensuale con lo Sporting, giunta il 31 agosto scorso. La tristezza pervade la sua carriera: anche il suo account Twitter ha avuto tre updates nel 2016 e sembra un talento irrecuperabile, nonché incupito su sé stesso.
Ma com'è stato possibile? Parliamo dello stesso giocatore che ha incantato in Olanda? Solo una questione d'ambiente o non c'è nulla oltre i confini Oranje? Oppure - come dicono in Portogallo - si è goduto un po' troppo la vita notturna di Lisbona? La dinastia è interrotta e chissà se e quando Labyad saprà riprendersi il suo posto nel mondo del calcio.

Zakaria Labyad, 23 anni, è svincolato dopo qualche anno allo Sporting Lisbona.