31.10.15

ROAD TO JAPAN: Kosuke Yamamoto

Buongiorno a tutti e benvenuti a un altro numero di "Road to Japan", la rubrica che vi consente di scoprire i migliori giocatori che gravitano nell'universo della J. League e del Giappone. Oggi ci spostiamo a Niigata, luogo che da sempre vede una forte tifoseria sostenere l'Albirex. E quest'anno Kosuke Yamamoto, professione jolly, sta disputando la migliore annata della sua carriera.

SCHEDA
Nome e cognome: Kosuke Yamamoto (山本康裕)
Data di nascita: 29 ottobre 1989 (età: 26 anni)
Altezza: 1.79 m
Ruolo: Centrocampista esterno, terzino
Club: Albirex Niigata (2014-?)



STORIA
Nonostante sia un classe '89, già da un decennio Yamamoto è un professionista a tutti gli effetti. Cresciuto nel vivaio del Júbilo Iwata, il centrocampista ha esordito giovanissimo, nel settembre 2006 a neanche 17 anni compiuti. Naturale per chi allo Yamaha Stadium - tra giovanili e prima squadra - ha trascorso ben un decennio.
In fondo lui è cresciuto proprio a Hanamatsu, prefettura di Shizuoka, non lontano dalla casa e dalle strutture del Júbilo. In realtà il club azzurro lo segue sin dalle medie, ma lui entra a far parte delle giovanili solo nel 2005. Dal suo esordio passano altre due stagioni prima che possa dirsi un membro della rotazione della squadra.
A prenderlo sotto la sua ala protettiva è Masaaki Yanagishita, tecnico del Júbilo Iwata dal 2009 al 2011 e bandiera del club da giocatore negli anni '80, quando la J. League nemmeno esisteva. Yanagishita capisce che quel ragazzo può far bene e così inserisce gradualmente Yamamoto in prima squadra: dalle 10 presenze del 2008 si passa alle 31 dell'anno successivo.
Da lì, Yamamoto diventa fondamentale: il Júbilo Iwata vince la Nabisco Cup nel 2010 ed è in generale una squadra che produce discreti talenti. E Yamamoto ha una grande dote: è duttilissimo. Yanagishita - come Morishita e Sekizuka negli anni successivi - lo utilizza nei ruoli più disparati: tanto lui rende bene ugualmente.
Tuttavia, il Júbilo Iwata va incontro a un declino inarrestabile. Nel 2013 arriva persino la retrocessione in seconda divisione per un club che ha vinto 14 trofei, tra cui quattro titoli nazionali e una Champions League asiatica (nel suo vecchio formato). Yamamoto non ha intenzione di restare anche in J. League 2 e lascia Shizuoka.
Sì, ma non a titolo definitivo: le ultime due stagioni le ha giocate in prestito all'Albirex Niigata, rimasto invece in prima divisione. E chi è l'allenatore? Yanagishita, proprio lui, che non si è dimenticato di quel ragazzo duttile. E così arriva una nuova trasformazione: Yamamoto non è solo titolare, ma anche goleador.
Basti pensare che nel 2015 il centrocampista ha raggiunto per la prima volta la doppia cifra di gol in una stagione. E sopratutto decisivi: Yamamoto ha segnato la rete della vittoria sul campo del Matsumoto Yamaga in una tirata sfida salvezza, così come ha deciso altre due importanti contese contro Vegalta Sendai e Vissel Kobe, tute in trasferta.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Tatticamente, il ragazzo è invidiabile. Capace di giocare in più posizioni, Yamamoto nasce come centrocampista centrale. Negli anni ha saputo trasformarsi: prima l'hanno spostato sulla fascia mancina, poi l'hanno persino provato come terzino. Lui non fiata e oggi sa giocare ovunque: su entrambe le fasce, come mezzala e anche da esterno difensivo, nonché d'attacco.
Dal punto di vista tecnico, Yamamoto è preparato, ma non è un giocatore spettacolare. Ha sempre detto che il suo idolo è Zinedine Zidane, ma obiettivamente non ne ripercorre i passi. Yamamoto ha poi affermato che la costanza è la dote più importante per un giocatore: guardandolo giocare, non fatichiamo a credergli.

STATISTICHE
2006 - Júbilo Iwata: 1 presenze, 0 reti
2007 - Júbilo Iwata: 6 presenze, 0 reti
2008 - Júbilo Iwata: 10 presenze, 0 reti
2009 - Júbilo Iwata: 31 presenze, 0 reti
2010 - Júbilo Iwata: 43 presenze, 2 reti
2011 - Júbilo Iwata: 28 presenze, 2 reti
2012 - Júbilo Iwata: 31 presenze, 8 reti
2013 - Júbilo Iwata: 33 presenze, 5 reti
2014 - Júbilo Iwata*: 1 presenza, 0 reti
2014 -   Albirex Niigata: 20 presenze, 2 reti
2015 -   Albirex Niigata (in corso): 39 presenze, 10 reti
* = in J. League 2

NAZIONALE
In questo momento storico della Nippon Daihyo, un giocatore come Yamamoto forse è anche difficilmente collocabile. Esterno di centrocampo, non è abbastanza offensivo per fare l'ala nel 4-3-3 e non è abbastanza difensivo per fare il terzino. Potrebbe esser riciclato come mezzala, ma sarebbe una forzatura per il ct nipponico Halilhodzic.
Eppure la sua storia con la nazionale è capiente: Yamamoto ha giocato per tutte le categorie giovanili giapponesi ed era anche nella lista dei pre-convocati per l'Olimpiade di Londra. Poi il ct Sekizuka - che ha incontrato di nuovo al Júbilo - non l'ha chiamato per la rassegna britannica.

LA SQUADRA PER LUI
Non si dubiti: è un giocatore pronto. A 26 anni, Yamamoto aspetta solo l'occasione giusta. Il suo profilo ricorda quello di Yusuke Tasaka o di Sota Hirayama, calciatori nipponici senza presenze in nazionale, ma comunque affidabili. Il suo cartellino è ancora del Júbilo Iwata: sarebbe bello vederlo in Zweite Bundesliga, in un trasferimento alla Inui o alla Osako.

28.10.15

I soldi fanno la felicità.

Potrà sembrar strano, ma nonostante tutto la vera notizia nel calcio cinese per una volta non riguarda il Guangzhou Evergrande. La squadra guidata da Felipe Scolari e di proprietà dell'Evergrande Real Estate sta per vincere il suo quinto campionato consecutivo, ma in Cina è un'altra la squadra da osservare: l'Hebei China Fortune. Che (forse) potrebbe ripetere lo stesso cammino.

Edu, 33 anni, ormai a suo agio nel sud-est asiatico.

Ma perché paragonare i campioni di Cina e prossimi vincitori della Champions League asiatica per la seconda volta nella loro storia (provo a tirargliela) con una compagine che FORSE sarà prima divisione l'anno prossimo? Semplice, perché il pattern alle spalle dell'Hebei sembra essere lo stesso.
Se le Southern China Tigers hanno conquistato la qualificazione in finale una settimana fa a Osaka, l'Hebei sabato ha battuto il Guizhou Zhicheng per 2-0. E mentre lo Yanbian Changbaishan festeggiava la promozione nella Super League del 2016, l'Hebei ha mantenuto due punti di vantaggio sugli inseguitori a una gara dalla fine.
Anche sullo Yanbian ce ne sarebbero da raccontare (sponsorizzazione da 13 milioni di dollari in cinque anni) ma l'Hebei ha la storia più interessante. Fondato nel maggio 2010 per volere della regione e dell'Hebei Zhongji Group, l'Hebei riceve da questi ultimi la promessa di investire ben tre milioni di yuan (quasi quattro milioni di euro) all'anno per un quadriennio.
Non male per chi è partito dalla China League Two. Nel 2011 la federazione di Hebei ha mollato tutto e ha lasciato la squadra in mano al gruppo finanziario. Una prima promozione è arrivata nel 2013, ma in realtà quel traguardo è sembrato l'inizio della fine. Basti pensare che il duo uruguayano Agresta-Larrea ha portato la squadra a pessimi risultati durante tutto il 2014.
Sembrava si dovesse iniziare da capo. Invece, in un inverno è cambiato tutto a Qinhuangdao. E non mi riferisco necessariamente al campo. Basti pensare al cambio di logo e di nome (da Hebei Zhongji FC a Hebei China Fortune Football Club), nonché l'arrivo di nuovi giocatori, di un nuovo allenatore e sopratutto di una nuova proprietà.
Già, perché il club nel gennaio scorso è passato in mano alla China Fortune Land Development Company: alla sua guida c'è Wang Wenxue. Patrimonio? Quattro miliardi di euro. Per questo a inizio anno in panchina è arrivato Radomir Antić, che ha allenato in carriera le due squadre di Madrid, il Barcellona e la nazionale serba. Già in Cina da un paio d'anni, il serbo ha accettato l'offerta di un ricco triennale. Peccato che sia stato cacciato ad agosto per aver fallito l'obiettivo promozione.
Non si è badato a spese neanche sul mercato giocatori. Se si parla di una clamorosa offerta (rifutata) per Odion Ighalo quest'estate, è andata meglio con altri. Dopo le comparse in Giappone e Corea del Sud, Edu ha deciso di giocare in seconda divisione cinese, così come il serbo Nenad Milijaš. A loro si sono aggiunti anche il portiere Yang Cheng e l'esperto centrale Du Wei, ancora oggi in nazionale.

Nenad Milijaš è stato uno dei motivi per cui l'Hebei potrebbe festeggiare la promozione.

Se la guida di Antić non ha dato i risultati sperati, ad agosto si è optato per una soluzione rischiosa, ma di prestigio: dentro Li Tie, leggenda del calcio cinese. Bandiera del Liaoning e della Cina da giocatore, è stato poi assistente di Marcello Lippi al Guangzhou Evergrande. Ha svolto questo ruolo anche con Alain Perrin in Coppa d'Asia in nazionale.
Proprio Li Tie era il numero due di Antić all'Hebei. Non solo, perché rivestiva le vesti anche di direttore sportivo e general manager. Poi è arrivato il licenziamento del serbo e così il club ha affidato a Li Tie anche il ruolo di allenatore. La scelta dell'Hebei ha ricalcato un po' la storia della Cina: responsabilità in mano a un solo uomo per ottenere risultati immediati.
Dura, ma saggia decisione. Sotto la guida di Li Tie, la squadra si è ripresa e ora viaggia stabilmente in zona promozione da un mese. Per sperare nella promozione, ora l'Hebei dovrà battere lo Shenzen Ruby domenica: in tal modo, avrà la certezza di concludere il campionato davanti al Dalian Aerbin, rivale temibile e retrocesso giusto nel 2014.
C'è anche un altro dettaglio che è cambiato: lo stadio. Nonostante la media-spettatori dell'Hebei non superi le 7000 unità, il club ha la possibilità di giocare al Qinhuangdao Olympic Sports Center Stadium, situato nell'omonima città della regione settentrionale. Un impianto che può contenere ben 32mila persone, utilizzato anche per le Olimpiadi di Pechino del 2008, e che ha sostituito il Yutong International Sports Center (38mila unità).
Ora Xang Wanxue e l'intera regione sognano: se domenica sarà promozione, magari l'anno prossimo si cercherà di contendere da subito il titolo nazionale al Guangzhou, a cui questa società sembra ispirarsi in tutto e per tutto, dai colori all'organizzazione del club (per non parlare dei money). I soldi fanno la felicità, no?

Li Tie, 38 anni, leggenda del calcio cinese e allenatore dell'Hebei CFFC.

22.10.15

Un diavolo d'oro.

Lo vedi sfrecciare sul campo e non puoi fare a meno di pensare che quella velocità non è qualcosa che ti possano insegnare. È semplicemente un dono divino, di cui quel francesino con il numero 7 e la casacca blanquirroja fa un ottimo uso. Antonie Griezmann sta crescendo ogni anno che passa e non è detto che non possa giocarsela prima o poi con i due mostri sacri di turno.

Griezmann è arrivato a Madrid dopo esser esploso nella Real Sociedad.

Discendenza alsaziana (e quindi di origine tedesca, come dimostra il cognome), Antoine Griezmann è stato spesso rifiutato ai provini da piccolo: dicevano che era troppo basso e gracile per poter fare il calciatore. Poi la Real Sociedad gli ha dato fiducia, prendendolo a 14 anni. Da lì, tanto vivaio e l'esordio in prima squadra nel 2009.
A San Sebastián ne hanno visti di talenti negli ultimi vent'anni, ma pochi come l'alsaziano. All'epoca, la Real Sociedad viveva un periodo difficile, militando in Segunda División. Sotto la guida di Martín Lasarte, il club ritorno in Liga e il giocatore firma un prolungamento fino al 2015, con una clausola rescissoria da 30 milioni di euro. Sarà utile più avanti.
L'uomo del destino per Griezmann è Philippe Montanier, anche lui francese, tecnico del club dal 2011 al 2013. Tra i due l'amore scatta da subito e prosegue anche a distanza. Non è un caso se Montanier - oggi a Rennes - ancora elogi il ragazzo di Mâcon: «L'ho fatto giocare ovunque: tutti gli allenatori lo amano, perché ha enormi qualità, s'impegna ed è sempre felice».
Il 2012-13 è l'anno della prima esplosione, quella che fa conoscere Griezmann a livello nazionale. La Real Sociedad centra un miracoloso quarto posto e si qualifica per la Champions: a segnare il gol decisivo è proprio Antoine, che poi si ripete nei preliminari contro l'Olympique Lione. Una rete da cineteca quella alla Gerland.
Tuttavia, il francese sa che alla Real Sociedad non potrà migliorare più di così. In quel momento arriva l'offerta dell'Atlético Madrid, fresco campione di Spagna e deciso a valorizzare il francese: la clausola viene pagata e Griezmann diventa un Colchonero, . Ha confermato le sue doti nel 2014-15, entrando nella top 11 della Liga e conquistando il titolo di giocatore del mese per due volte.
Se escludiamo i giocatori delle inarrivabili Barcellona e Real Madrid, Griezmann è stato quarto per performance score-medio offensivo dopo Aduriz, Nolito e Bacca. Nonché quinto per media-gol e capace di realizzare alcune reti straordinarie. Basti pensare alla splendida chilena con cui l'Atlético vinse l'anno scorso sul campo del Deportivo.
L'Atlético l'ha messo al centro del progetto e non è un caso che quest'estate i Colchoneros abbiano innalzato il valore della clausola rescissoria per Griezmann: prima fissata a 65 milioni di euro, ora a qualcosa in più. Lui, intanto, si è divertito a segnare da ex un gol da centometrista alla Real Sociedad, dimostrando che con poco del suo talento può decidere una gara.
In tutto questo, è arrivata anche la consacrazione in nazionale: Deschamps ritiene Griezmann un punto fermo della Francia, tanto che le 22 presenze e sei reti accumulate sono arrivate tutte nell'ultimo anno e mezzo. Già convocato per il Mondiale 2014 al posto dell'infortunato Ribéry, ora sembra averne preso pienamente il posto.

Edit 2018 - Dopo quattro stagioni con i Colchoneros, Griezmann ha scavallato i 100 gol in maglia Atlético Madrid.

Il terzo incomodo nel duopolio Messi-CR7 è sempre cambiato, persino nello stesso anno: Sneijder, Xavi, Iniesta, David Silva, Falcao, van Persie, Di Maria e per ultimo Manuel Neuer, che forse avrebbe meritato il Pallone d'Oro nel 2014 e invece è arrivato terzo con largo distacco. Proprio perché il premio di France Football è distorto in partenza.
E ora c'è un nuovo contender sulla scena, che pare essere proprio il francese dell'Atlético Madrid: secondo me, è l'unico ancora sconosciuto a quei livelli di grandezza che può sfidare i due. L'unico, forse insieme a Thomas Müller del Bayern Monaco. E ci sono diverse motivazioni per affermarlo, a partire dal 2016, l'anno che segnerà inevitabilmente la carriera di Griezmann.
C'è la Liga, dove l'Atlético Madrid si è ricandidato per vincerla di nuovo a distanza di due anni. Quest'estate qualcuno è partito, ma il mercato in entrata è stato molto positivo. E Griezmann appare sempre più il giocatore di punta della squadra biancorossa, che ora spera di ripetere quella straordinaria annata del 2014. Rivincere la Liga sarebbe clamoroso.
C'è l'Europeo, dove la Francia giocherà in casa e ha la squadra giusta per tornare a vincere qualcosa a 16 anni dall'ultimo alloro, sempre a livello continentale. Per giugno 2016 è probabile che Griezmann diventi il giocatore più atteso, persino più dei conosciuti Pogba o Benzema. E sarà anche l'occasione per dimostrare che Le Petit Diable può vincere qualcos'altro.
C'è un intero anno per dimostrare che lui quel monopolio può sabotarlo, può finalmente romperlo. È l'anno giusto per provarci: Neuer è stato palesemente ignorato nonostante l'anno migliore della sua carriera. Di Maria è stato penalizzato dal trasferimento al Manchester United e dall'assenza nella finale Mondiale. Invece, Antoine può farcela.
Il suo allenatore a Madrid, Diego Pablo Simeone, ha detto di lui: «Il fatto che Godin e Griezmann non siano nella lista mi sembra ingiusto, ma così è stato deciso. Griezmann sta facendo una stagione straordinaria e ha raggiunto un altissimo livello». Per FIFA16 è persino stato scelto per apparire accanto al testimonial mondiale del gioco, Lionel Messi. Altro che Petit, il Diable dovrebbe essere d'Or. Specie se farà la stagione che tutti si attendono da lui.

Antoine Griezmann, 24 anni, il terzo incomodo per il Pallone d'Oro 2016.

20.10.15

Un'eterna promessa?

Forse è arrivato anche per lui il momento di fare sul serio, di esplodere definitivamente. Il suo nome gira da diversi anni nell'ambiente del calcio inglese, ma gli è sempre mancato lo spazio adeguato per stabilirsi da qualche parte. Ora Jack Butland sente di avere la fiducia dello Stoke City e a 23 anni può finalmente lasciarsi dietro quella fastidiosa etichetta: la promessa.

Dopo due anni d'attesa, Butland è titolare allo Stoke City.

Di promesse ce ne sono state già diverse: quello a cui stiamo assistendo oggi è invece la crescita definitiva di un ragazzo che ha tutto per diventare quello che manca all'Inghilterra dai tempi di David Seaman, ovvero un portiere affidabile e continuo. Ci sarebbe Joe Hart, ma a parte un ingaggio faraonico gli manca molto altro per imporsi.
Un'altra etichetta calza molto bene a Butland: quella di predestinato. A 14 anni viene ingaggiato dal Birmingham City, all'epoca una squadra che fa l'ascensore tra la Championship e la Premier League. I tifosi capiscono subito che hanno di fronte un piccolo prodigio e difatti Butland viene premiato come giovane dell'anno al "St. Andrew's".
Un infortunio alla mano gli impedisce di esordire da minorenne, ma comincia una costante nella sua carriera: i tanti prestiti. Il Birmingham lo manda al Cheltenham Town, in League Two, dove Butland in due stint colleziona 24 presenze. Si racconta che almeno 52 scout siano stati a Wheddon Road per visionare il ragazzo nel 2011-12.
Ormai è arrivato il tempo di imporsi in casa: il Birmingham lo richiama e nel 2012-13 lo lancia come titolare a meno di vent'anni. Saggia mossa, perché i primi sei mesi di quella stagione vedono Butland assoluto protagonista: non ci vuole molto perché qualcuno si accorga del suo talento. L'affare arriva nel gennaio 2013, quando Butland sceglie lo Stoke City.
Un affare da cinque milioni di euro, che aiuta il Birmingham con le sue difficoltà finanziarie. Il portiere rimane fino a fine stagione: i veri problemi giungono all'arrivo del ragazzo allo Stoke, dove ci sono già due portieri di un certo livello. Con Begović e Sørensen a sbarrargli la strada, Butland ricomincia a girare per l'Inghilterra.
Nel 2013-14 gioca in tre squadre: tre brevi apparizioni con lo Stoke in campionato (dove fa intravedere qualcosina...) in mezzo ai due prestiti in Championship con Barnsley e Leeds. L'anno scorso, visto il poco spazio, si è trasferito per un mese al Derby County. Quando Begović si trasferisce al Chelsea per fare il secondo, Butland diventa finalmente il titolare allo Stoke e conquista la fiducia di Mark Hughes.
Non è un caso se quest'anno ha già collezionato più presenze in Premier rispetto alle due annate precedenti messe insieme. Le cose vanno talmente bene che persino gli avversari lo celebrano su YouTube: il Norwich City ha portato a casa solo un punto contro lo Stoke qualche settimana fa, proprio grazie ai tanti interventi di Butland. Una performance che gli è valsa il premio di Man of the match.

Qualche motivo di ottimismo c'era già ad agosto. Figuriamoci adesso.

Ovviamente anche il discorso della nazionale è importante per Butland, che si è fatto tutta la trafila giovanile con i Tre Leoni. Con l'U-17 è stato campione europeo nel 2010, un torneo nel quale viene inserito anche nella formazione ideale. All'attivo ha anche una partecipazione al Mondiale U-20 nel 2011 e all'Europeo U-21 nel 2013.
Poi è arrivata la grande chance di Londra 2012, dove Butland è stato il portiere titolare della selezione britannica. Il sogno era di vincere l'oro con una squadra che comprendeva anche Ryan Giggs e Gareth Bale, ma la Gran Bretagna è stata eliminata nei quarti di finale, dove la Corea del Sud (poi terza) ha avuto la meglio ai rigori.
Un caso particolare il suo, perché il 2012 è stato l'anno in cui Butland si è fatto conoscere al grande pubblico. Lui è stato l'unico di quella selezione olimpica scelto tra i giocatori che avevano partecipato all'Europeo dello stesso anno. Già, perché Roy Hogdson non si era fatto spaventare dalla giovane età e l'aveva portato in Ucraina e Polonia come terza scelta.
L'esordio è arrivato contro l'Italia in un'amichevole nel 2012: una presenza con la quale è diventato il più giovane portiere a presenziare tra i pali dell'Inghilterra, battendo un record del 1888! Poi il nulla. I tanti prestiti e le poche partite giocate in Premier non gli hanno permesso di confermarsi in nazionale, fino alle ultime settimane.
Roy Hogdson l'ha inserito tra i convocati per le ultime due gare di qualificazione a Euro 2016, dove l'Inghilterra aveva già il biglietto in mano per la Francia. La seconda presenza è arrivata a Vilinus contro la Lituania: un 3-0 senza incassare reti e che ha permesso agli inglesi di chiudere la campagna di qualificazione da imbattuti.
Ora Butland spera di avere qualche chance in più, anche se il titolare è proprio quel Joe Hart con cui ci sono tanti punti in comune. Il 28enne portiere è infatti esploso anche a lui a Birmingham, nel 2009-10, quando era in prestito dal Manchester City. E anche lui è stato considerato a lungo una promessa forte, ma non totalmente esplosa. Butland è stato chiaro: «Hart? Credo sia intoccabile, ma io continuerò a lavorare per fargli pressione». Che sia finito il tempo dell'eterna promessa per Jackie?

Jack Butland, 22 anni, promessa del calcio inglese. Tempo di sbocciare?

16.10.15

UNDER THE SPOTLIGHT: Emmanuel Mammana

Buon pomeriggio a tutti e benvenuti al decimo numero di "Under the Spotlight", la rubrica che ci consente di scoprire i migliori talenti sparsi in giro per il mondo. Oggi ci spostiamo in Sudamerica: il River Plate è la squadra che meglio si è comportata nelle ultime stagioni. E un po' del merito va anche a Emmanuel Mammana, promettente centrale dei Millionarios.

SCHEDA
Nome e cognome: Emmanuel Mammana
Data di nascita: 10 febbraio 1996 (età: 19 anni)
Altezza: 1.83 m
Ruolo: Difensore centrale, libero, terzino destro
Club: River Plate (2013-?)



STORIA
La storia di Mammana con una delle squadre più importanti d'Argentina inizia addirittura nel 2004, quando il centrale viene tesserato dal River alla tenera età di otto anni. Un evento che ha parzialmente riscattato l'infanzia difficile del ragazzo, che ha perso entrambi i genitori. Da Merlo - 29 chilometri da Buenos Aires - è iniziato il viaggio di Mammana.
Lo stesso difensore ha raccontato come ha pensato di smettere: «Quando mio padre morì volevo rinunciare a giocare, ma i ragazzi che si trovavano nella residenza del River, i funzionari del club e la mia famiglia mi si strinsero attorno e ciò mi ha aiutato moltissimo: questo è il motivo principale per cui sono tornato a fare quello che mi piace di più, giocare a calcio».
Il suo nome gira parecchio nelle giovanili del River: oltre a esser un perno delle rappresentative argentine, anche nel vivaio dei Millionarios il suo profilo piace molto. Nel 2013-14 figura anche per qualche partita nell'organico della prima squadra, ma non colleziona più di una panchina in una gara di campionato contro il Colon.
A dargli fiducia in maniera definitiva è Marcelo Gallardo, che nella storia della River Plate c'è già entrato da giocatore. In realtà, il destino del Muñeco è di scrivere pagine importanti anche da tecnico, ma è lui a lanciare Mammana. Prima se lo porta in panca, poi lo fa esordire in una gara di coppa contro il Rosario Central. Da lì, non uscirà più dai ranghi della squadra.
Gallardo ha talmente fiducia in lui che lo schiera persino da titolare nell'andata della finale di Copa Sudamericana contro il Nacional. Da terzino destro! Eppure Mammana è un automa e fa il suo, così come continuerà a crescere durante tutto il 2015, vincendo anche la Copa Libertadores con il River (anche se lui nelle finali rimarrà in panchina).
La cosa impressionante è che, nonostante la giovane età, Mammana può fregiarsi già di un palmarès di tutto rispetto: una Copa Libertadores, una Copa Sudamericana, una Recopa Sudamericana e persino il Suruga Bank Championship. Aggiungiamoci il Mondialito U-17 vinto con le giovanili e avremo un profilo straordinario.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Tecnicamente è forse uno dei difensori più dotati della sua generazione (potete ammirarlo qui). A volte pecca magari di eccessiva autostima e questo lo porta a commettere oggi ancora errori anormali. Tuttavia, solo l'esperienza potrà farlo maturare e in questo senso Gallardo lo sta educando a dovere durante la sua magnifica reggenza al River Plate.
Dal punto di vista tattico, Mammana si porta dietro un passato giovanile vissuto a centrocampo e persino da esterno destro. Non è un caso Gallardo all'inizio lo schierasse da terzino e oggi possa invece giocare più al centro, vista la partenza di Funes Mori per l'Everton. Sul fisico deve ancora lavorare, mentre la sua visione del gioco è innata. Quella dote lo porterà certamente lontano nel mondo del calcio.

STATISTICHE
2013/14 - River Plate: 0 presenze, 0 reti
2014 - River Plate: 4 presenze, 0 reti
2015 - River Plate (in corso): 12 presenze, 0 reti

NAZIONALE
Al contrario di quanto affermerebbe la storia recente della prima squadra, Mammana ha uno score vincente con l'Argentina: il difensore è stato una delle colonne delle Under argentine negli ultimi anni. Nei vari tornei continentali disputati con la nazionale, Mammana è arrivato terzo con l'U-15 nel 2011, poi ha vinto con l'U-17 nel 2013 e con l'U-20 quest'anno.
Proprio l'U-20 argentina rappresenta una ferita aperta nel giovane cuore del difensore. Se la selezione Albiceleste ha trionfato nel Sudamericano, è andato meno bene al Mondiale di categoria, dove la squadra allenata dal ct Grondona - da favorita qual'era - si è fatta eliminare nella fase a gironi: appena due punti conquistati.
Ora Mammana spera di prendersi le dovute rivincite con i grandi: nel giugno 2014, a soli 18 anni, ha conquistato la sua prima presenza con la nazionale, esordendo nell'amichevole contro la Slovenia. Non è stato più chiamato da quella volta, ma non c'è dubbio che Martino butterà un occhio anche su di lui. A parte Garay e Otamendi, la situazione dei centrali difensivi per l'Argentina è tremenda...

LA SQUADRA PER LUI
L'Inter non ha nascosto un certo interesse nei suoi confronti, ma ormai i nerazzurri si sono sistemati con Miranda e Murillo. Sarei molto curioso di vederlo in Italia, ma credo che il suo destino sia altrove: nessuno sembra avere la lungimiranza di andarlo a prendere ora che costa meno. Altri sei mesi e il suo prezzo schizzerà alle stelle.
Arsenal e Atlético Madrid se ne sono accorte e ci riproveranno. Il Barcellona lo osserva, ma lui ha imparato come le difficoltà siano ben più grandi di quelle di scegliere una squadra per il proprio futuro: «Le cose che mi sono successe mi hanno insegnato che bisogna essere forti e continuare ad andare avanti e non fermarsi mai».

13.10.15

Gioventù teutonica.

Se la nazionale maggiore ha fatto un pochino (ma proprio -ino) fatica in queste qualificazioni a Euro 2016, la Germania dei giovani può guardare al futuro con fiducia. La storia sulle super-strutture teutoniche l'avrete sentita mille volte, quindi guardiamo al campo. Se Draxler e Max Meyer sembrano ormai storia vecchia, Julian Brandt e Leroy Sané sono le nuove gemme dell'U-21.

Julian Brandt, 19 anni, stellina del Bayer Leverkusen.

Due storie diverse. Uno gioca al Bayer Leverkusen, l'altro allo Schalke 04. Uno calca ancora i palcoscenici della Champions League, l'altro si "accontenta" di stupire nell'Europa minore. Uno sotto il gegenpressing di Schmidt, l'altro agli ordini del neofita Breitenreiter. Molto diversi, ma stranamente vicini per il futuro che li aspetta.
Brandt ha l'espressione di un principino prussiano di fine Ottocento: lineamenti dolci ma faccia dall'espressione dura, postura elegante in campo. Nato a Brema, il Bayer lo rubò nel dicembre 2013 al vivaio del Wolfsburg. Chissà se oggi l'avremmo visto in prima squadra con i Lupi. Il suo calcio ricorda uno che a Brema ha fatto la storia, ovvero Johan Micoud.
Invece, sono le Aspirine a farlo esordire in Bundesliga e in Champions League ad appena 17 anni. Ad aprile 2014, arriva anche il primo gol da professionista in una trasferta ad Amburgo. Nonostante l'arrivo di Roger Schmidt, Brandt non ha perso minutaggio e ha giocato sempre di più: a oggi lo score è di 44 presenze e otto gol in campionato.
Non è una caso se nel 2014 il ragazzo di Brema ha vinto la medaglia Fritz Walter tra gli U-18, dopo l'argento nella categoria U-17 dell'anno precedente. E poi c'è un contratto fino al giugno 2019 che lo protegge da possibili assalti. Lui se la gode, visto che è stato campione europeo con l'U-19 e ha già disputato il Mondiale U-20 nel maggio scorso.
E c'è chi quella medaglia di Fritz Walter potrebbe vincerla quest'anno: Leroy Sané aveva giocato appena tredici minuti in prima squadra fino al novembre 2014. Anche lui ha vestito la maglia del Bayer, ma prima e dopo ha sempre giocato nelle giovanili dello Schalke 04, di cui era una delle stelline del vivaio fino a poco tempo fa.
Poi Roberto Di Matteo ha ingranato una delle poche mosse da allenatore dei Königsblauen: il tecnico italiano ha aggregato Sané alla prima squadra nel 2014-15. All'inizio un via-vai tra giovanili e grandi, poi la definitiva scelta di usarlo il più possibile. Prime comparse, primi gol (tre in 13 partite di Bundesliga) e sopratutto una notte da ricordare.
Al "Santiago Bernabeu", lo Schalke ha sfiorato l'impresa nel marzo scorso, quando per poco non è riuscito a ribaltare lo 0-2 dell'andata contro il Real Madrid. Nel 4-3 in trasferta al ritorno, c'è la firma di Sané: gol del 3-3 e assist per il 4-3 di Huntelaar. Quella sera lo Schalke ha salutato la Champions, ma è nata una stella.
Non è un caso che Sané si stia confermando in questa stagione: Breitenreiter ha deciso di tenersi stretto il ragazzo in squadra. In sette giornate di Bundesliga, Sané ha già eguagliato i gol dell'ultima annata. Non solo reti, ma anche l'esperienza in Europa League e le attenzioni delle nazionali giovanili. Già, la Germania. Che ora ha altri due prodigi pronti a esplodere.

Leroy Sané, 19 anni, rivelazione dello Schalke 04.

I due sono giocatori diversi. Brandt è un "10" puro, abituato a giocare al suo ritmo: l'atletismo poco sviluppato è compensato da una classe e una visione di gioco assoluta, che col tempo potrà solo migliorare. Diverso il ruolo e il destino di Sané, che ha dalla sua i geni del padre senegalese (ex nazionale) e gioca da esterno d'attacco.
Brandt e Sané per ora fanno parte dell'Under 21 tedesca, impegnata nelle qualificazioni a Euro 2017. Dopo la semifinale raggiunta nella rassegna del giugno scorso in Repubblica Ceca, l'obiettivo della formazione guidata dal ct Horst Hrubesch è quello di qualificarsi per la prossima manifestazione e portare a casa il secondo alloro continentale.
Il contingente tedesco viaggia a punteggio pieno dopo due 4-0 contro Azerbaigian e Finlandia. Stasera si sfideranno le Far Oer, ma la cosa strana è che nell'ultima gara si è giocato a Essen, la città-natale di Sané. Un evento che il talentino dello Schalke 04 ha festeggiato con una doppietta, mentre Brandt ha giocato solo 45 minuti.
In un ciclo forse leggermente meno talentuoso di quello precedente, la Germania conta su questi due ragazzi per arrivare fino in fondo. Sané è stato cercato da Tottenham e Liverpool quest'estate, mentre molti in Italia hanno sperato che qualche club del nostro paese puntasse su questo tedeschino precoce. E invece niente da fare. Ora si aspetta che Joachim Löw giri gli occhi da questa parte: chissà che non ci sia spazio per loro nelle amichevoli di novembre.

I due saranno stelle nella Germania del prossimo futuro.

10.10.15

Miracolo a Belfast.

Sono passati quattro anni dalla conclusione delle qualificazioni a Euro 2012. Allora l'Irlanda del Nord era una realtà secondaria del calcio europeo. All'epoca la Norn Iron aveva concluso il girone C con appena nove punti e due vittorie. Quattro anni dopo, l'allenatore succeduto a Nigel Worthington ha portato la squadra a Euro 2016. Da prima in classifica.

Steven Davis, 30 anni, il capitano: doppietta contro la Grecia.

Se oggi a Belfast si festeggia la prima storica qualificazione alla competizione continentale, lo si deve a una ristrutturazione che ha permesso all'Irlanda del Nord di festeggiare questo traguardo. La nazionale è sopratutto formata da giocatori esperti, ma qualche innesto è stato importanti nell'ultimo quadriennio (McNair, Norwood, Jamie Ward).
Basti pensare che a giugno il ct si è ritrovato a convocare ancora Maik Taylor, 44 anni e in nazionale dal 1999 nonostante il portiere non avesse alcun legame con il paese. Eppure è stato uno dei più amati, ha un passato in Premier League e un presente da preparatore dei portieri. Che non gli ha impedito di esser convocato per il match contro la Romania.
Il genio dietro questa esplosione è Michael O'Neill, 46enne di Portadown. Da giocatore aveva vestito la maglia della nazionale per otto anni, poi si è fatto conoscere in panchina. Prima manager del Brechin City in seconda divisione scozzese, poi dello Shamrock Rovers in Irlanda. Ancora oggi il suo nome è ricordato da quelle parti.
Non solo titoli nazionali, ma anche imprese europee: O'Neill ha reso lo Shamrock Rovers il primo club irlandese a raggiungere la fase a gironi di una competizione europea, grazie alla miracolosa vittoria nei play-off di Europa League contro il Partizan. Un 2-1 a Belgrado che ha avuto una risonanza storica.
Quando sembrava tutto pronto per il rinnovo, lui ha deciso per il ritorno a casa. Ct dell'Irlanda del Nord dal dicembre 2011, O'Neill ha rivitalizzato la squadra. Il suo esser cattolico in un paese protestante poteva creargli problemi, ma alla fine ha prevalso il campo. Perché i miglioramenti si sono visti sin dalle qualificazioni a Brasile 2014.
In quel gruppo F (strano: stessa lettera di Euro 2016), l'Irlanda del Nord ha strappato anche una vittoria contro la Russia e un pareggio in terra portoghese. Segnali che la consapevolezza della squadra stava crescendo. E si è visto in quest'anno: fortunati nel beccare un buon sorteggio, i nord-irlandesi hanno fatto un miracolo.
Miracolo sì, ma sorpresa no: i Green and White avevano ottenuto tre vittorie in altrettante gare: molti giocatori hanno confermato che la partenza a razzo è stata fondamentale. Il 2-0 in Grecia dell'ottobre 2014 ha fatto capire a tutti che i ragazzi nord-irlandesi avevano qualche chance. E la squadra di O'Neill se l'è giocata fino in fondo: già la partita contro l'Ungheria di settembre avrebbe potuto regalare la qualificazione, ma la festa è stata rimandata.
Il momento decisivo è arrivato giovedì: a Windsor Park è arrivata una Grecia senza vittorie, ultima e demotivata. Il primo gol di Steven Davis ha sbloccato la pratica, la rete di Magennis e il raddoppio del capitano hanno chiuso la contesa: 3-1 e tutti a Euro 2016. A Belfast si è festeggiato a lungo, anche perché sarà la prima partecipazione dell'Irlanda del Nord all'Europeo.

La partita della consapevolezza: l'Irlanda del Nord vince ad Atene per 2-0.

E pensare che il patrimonio calcistico dell'Irlanda del Nord è di rilievo. Potrei citarvi George Best, ma sbaglierei: con lui in campo, la Norn Iron non si era mai qualificata a Europeo o Mondiale. Tre le partecipazioni alla Coppa del Mondo, datate 1958, 1982 e 1986. Nonostante siano state solo delle comparsate, l'Irlanda del Nord ha lasciato qualche traccia.
Nel 1982, Norman Whiteside diventava il più giovane giocatore a disputare una partita del Mondiale: allora nel vivaio del Manchester United, Whiteside scese in campo a 17 anni e 41 giorni. Tra il 1982 e il 1986, il capitano delle spedizioni nord-irlandesi era Pat Jennings, che ha smesso a 41 anni e ha collezionato ben 119 presenze con la nazionale.
A O'Neill va dato il merito di aver creato anche un po' di futuro. Questa nazionale ha un'età-media altissima e l'addio di David Healy (bomber, 36 gol in nazionale) è stato difficile da digerire. Eppure lui ha creato un gruppo unito: basti pensare che la Norn Iron è riuscita in un'impresa: come l'Islanda, si è qualificata pur essendo stata inserita in quinta fascia nel sorteggio di due anni fa.
Il tecnico non può che esser felice: «Quando acquisisci la consapevolezza che nel calcio tutto è possibile e hai un gruppo di ragazzi di questo genere, puoi credere di fare qualsiasi cosa. Per me è un piacere allenarli ed esser parte di quest'esperienza». C'è chi propone il cavalierato per il ct, ma adesso è tempo di pensare a Euro 2016.
La squadra si prepara alla trasferta francese con un gruppo che vedrà questo viaggio come un premio alla carriera: i portieri hanno un'età-media di 34 anni, stessa media per la difesa (se escludiamo il giovane McNair), mentre davanti c'è più gioventù. In tutto questo ci sono alcuni giocatori fondamentali: su tutti Kyle Lafferty, sette gol in queste qualificazioni e una fama da don Giovanni arrivata fino a Palermo.
Ed è strano anche osservare la geografia britannica del calcio, che vede una rivoluzione. Ci si aspettava che solo l'Inghilterra potesse farcela per Euro 2016. Al massimo una tra Scozia e Irlanda. Invece, proprio la Scozia rischia di essere l'unica britannica a non esserci in Francia. Stasera il Galles potrebbe centrare la qualificazione, mentre l'Irlanda del Nord festeggia. Il miracolo di Belfast è ormai storia.

Michael O'Neill, 46 anni, l'uomo che ha ribaltato il calcio nord-irlandese.

7.10.15

Il grande assente.

Assente, non pervenuto. Il Belgio cerca di garantirsi l'accesso a Euro 2016 nelle sfide dei prossimi giorni contro Andorra e Israele. Una qualificazione a portata di mano, a cui però non parteciperà uno dei maggiori talenti del paese. Nonostante un Benteke fuori gioco per infortunio, Michy Batshuayi non è nella lista dei convocati per le prossime partite. Un punto interrogativo.

Batshuayi in nazionale, un'immagine che non vedremo in queste gare.

Eppure la sua forma recente in Ligue 1 imporrebbe ben altri ragionamenti. Nonostante l'addio di Bielsa e l'arrivo di Michel sulla panchina dell'Olympique Marsiglia, il belga si sta comportando benissimo: il suo score recita dieci presenze in tutte le competizioni e sei gol. In Ligue 1 va alla grande, tanto che il belga è andato a segno anche contro il PSG.
Ne ha fatta di strada dalle giovanili dello Standard Liegi, dove fu preso e portato in squadra a soli 18 anni. Non una rarità nel campionato belga, dove si valorizzano molto i giovani, anche in età precoce. Allo Standard è cambiato parecchio negli anni della sua esplosione, ma Batshuayi ha continuato a crescere nonostante i diversi allenatori.
Entrato in prima squadra nel 2011, l'attaccante classe '93 ha visto la sua migliore stagione allo Stade Maurice Dufrasne nel 2013-14. Un peccato che sia finito secondo in tutto, nella classifica cannonieri e con la squadra. Ma l'exploit non è passato inosservato: l'OM prende nota e poi lo acquista per sette milioni di euro nell'agosto del 2014.
Inizialmente, per Bielsa il belga è una riserva: il titolare nel suo 3-3-3-1 è André-Pierre Gignac, centravanti e idolo della curva marsigliese. In effetti, il 2014-15 di Gignac è stato straordinario, ma Batshuayi è riuscito a ritagliarsi un suo spazio con 10 gol in 28 gare. Con l'addio del francese, il belga è diventato titolare e stella dell'OM.
Con il Belgio, invece, l'amore non è stato altrettanto forte. Troppa concorrenza nel suo ruolo. Ciò nonostante, un piccolo record l'ha fatto comunque registrare: 193 secondi dopo il suo ingresso nella prima presenza in nazionale, Batshuayi ha fatto subito gol. Il peccato è che quella è rimasta a oggi l'unica comparsa con il Belgio.
E pensare che Michy avrebbe anche potuto giocare per la Repubblica Democratica del Congo, dilemma che capita a molti giocatori in Belgio. Ma lui ha detto no, preferendo conquistarsi la maglia dei Diables Rouges. Peccato. Pensatelo accanto a Yannick Bolasie in Coppa d'Africa: insieme avrebbero fatto sfaceli.

Il ragazzo è partito piano quest'anno...

Storicamente non è un periodo facile per imporsi con il Belgio: la nazionale ha ritrovato la qualificazione al Mondiale dopo 12 anni ed è nel lotto delle favorite per Euro 2016, seppur come dark horse. Il ct Wilmots ha a disposizione tanto talento: due dei migliori giocatori al mondo - Hazard e De Bruyne - sono proprio nella stessa selezione.
Con questa situazione, nel ruolo di centravanti va persino peggio. Nel 4-1-4-1 o 4-2-3-1 di Wilmots, c'è spazio per un solo attaccante e a giocarsi il posto sono spesso Romelu Lukaku e Christian Benteke. Se il primo al Mondiale 2014 c'era, il secondo è sempre stato sfortunato in nazionale e mancò la rassegna per un grave infortunio.
A questi, si aggiunge la discontinua figura di Divock Origi, oggi al Liverpool e capace di segnare a soli 18 anni nell'ultima Coppa del Mondo. In questo scenario, per Batshuayi è tutto più difficile: non ha mai calcato i campi della Premier e s'impone in un campionato ritenuto inferiore a quello inglese. Scalare le gerarchie appare impossibile.
Eppure i dati di Squawka parlano chiaro: Batshuayi ha fatto meglio dei suoi compagni di nazionale in quest'inizio di stagione. La logica imporrebbe la sua chiamata, anche perché al Belgio basta una vittoria in quel di Andorra per sancire la sua qualificazione a Euro 2016. E invece Wilmots ha affermato che «il ragazzo non è abbastanza in forma». Buon per lui.
Non è un caso se l'OM ha rifiutato un'offerta da 25 milioni di euro quest'estate da parte di un club inglese: perdere Batshuayi dopo Gignac sarebbe stato troppo. Tuttavia, c'è chi scommette sul fatto che l'Arsenal - attualmente senza un centravanti, a parte Giroud (hai detto nessuno...) - voglia puntare sul belga a gennaio. Non male per chi è il grande assente di questa settimana internazionale.

Michy Batshuayi, 22 anni, stella del discontinuo OM.

5.10.15

L'oro di White Hart Lane.

Forse nessuno si aspettava un'esplosione del genere. Nel marasma pieno di talento che è stato il Tottenham delle ultime tre stagioni, la consacrazione di un classe '96 era l'ultimo dei pensieri. Eppure Dele Alli da Milton Keynes ha già preso i riflettori tutti per lui. E non è un caso che sia arrivata anche la convocazione per la nazionale inglese, già qualificata a Euro 2016.

Alli e il club della sua città-natale: otto anni al MK Dons.

Nato e cresciuto a Milton Keynes, Alli entra nel club della sua città natale a soli 11 anni. Da lì, la sua crescita non si è mai fermata: i Dons hanno continuato a migliorare per mano del manager Karl Robinson, mentre Alli è entrato in prima squadra a 16 anni e mezzo, entrando in una gara di FA Cup nel novembre 2012. Il primo tocco è stato un passaggio di tacco.
Con il passare delle stagioni, Robinson ha dato ad Alli sempre più spazio. Prima coinvolto, poi titolare dopo la partenza di Stephon Gleeson verso Birmingham. A beneficiarne è stata la squadra: se il MK Dons ha festeggiato la promozione in Championship nel maggio scorso, gran parte del merito va proprio ad Alli, capace di tirar fuori una super-stagione.
Lo score del suo 2014-15 recita: 44 presenze in tutte le competizioni, 16 reti. Non è un caso se Alli sia stato scelto come giovane dell'anno in Football League. La mossa migliore, però, l'ha fatta il Tottenham nel finale del calciomercato invernale, acquistando Alli per una cifra sui sette milioni di euro e lasciandolo in prestito per sei mesi a Milton Keynes.
Anche il Liverpool era interessato: proprio i Reds di Steven Gerrard, all'ultimo anno ad Anfield e idolo assoluto di Alli. Arrivato al Tottenham, il giovane centrocampista ha messo subito in chiaro le cose: «Prestito? Io sono qui per restare. Lavorerò duro e cercherò di guadagnarmi il posto in campo. Pochettino è il manager giusto per continuare a crescere».
Infatti proprio il tecnico argentino non ha avuto paura a verificare di persona i progressi del 19enne in campo. Pochettino è atteso da un anno di conferme a White Hart Lane, ma non si è spaventato: Alli ha superato la concorrenza di Mason Bentaleb, venendo spesso schierato accanto a Eric Dier, anche lui spostato da difensore a mediano.
Alli potrebbe anche esser schierato da "10" nel 4-2-3-1 del Tottenham, ma togliere Christian Eriksen da quella posizione sarebbe una follia. In questo modo, i due possono coesistere e dare agli Spurs un'imprevedibilità offensiva straordinaria. Lo si è visto anche in Europa League: la gara di Alli contro il Qarabag è stata forse la migliore della sua (sinora) breve avventura al Tottenham.

Il motivo per cui a Milton Keynes il ragazzo ha lasciato dei buoni ricordi.

Il ragazzo poi ha un marchio di fabbrica tutto suo: il nutmeg, ovvero il tunnel. Quest'estate si è divertito a infilare un po' tutti. Già all'Audi Cup non si è fatto problema a farlo prima a Modric, poi a Kroos. In campionato ha replicato il gesto sul povero Borini. Segno non solo di creatività, ma anche di una personalità più che discreta.
Una crescita che non sembra fermarsi. E pensare che nell'estate 2014 in pochi forse l'avrebbero predetto: il ragazzo sembrava migliorare, ma non così velocemente. Perché nella carriera di questo ragazzo per metà nigeriano tutto sembra arrivare prima del previsto. E in questo, non ha fatto eccezione la chiamata di Roy Hogdson per la nazionale.
Qualcuno ha detto che Alli non è pronto per vestire la maglia dell'Inghilterra. C'è del vero in quest'opinione: a 19 anni, esser convocato per i Tre Leoni è un onore e un onere al tempo stesso. Proprio per questo, trovo che la chiamata sia giusta ORA: l'Inghilterra è già qualificata a Euro 2016, per cui le due gare finali saranno due esperimenti. Anche per il giovane Dele.
Tuttavia, la sua convocazione è frutto di due fattori. Primo: gli infortuni, che hanno falcidiato il centrocampo. Secondo: il rendimento delle squadre inglesi in Champions. Per Hogdson è una sorta di avvertimento: perché non chiamare il ragazzo se tra infortuni e prestazioni scadenti in mediana non c'è nessuno? Un punto evidenziato anche da Jamie Carragher, che ha sottolineato quanti pochi inglesi siano apparsi nell'ultimo weekend di Premier League.
E pensare che qualcuno aveva già messo gli occhi su di lui. C'è chi ha provato a convincere il ragazzo a vestire la maglia della Nigeria, ma lui ha rifiutato: «Il mio sogno è sempre stato quello di vestire la maglia dell'Inghilterra». Vedi come l'hanno accontentato subito? Ora sta a lui sfruttare questa chance d'oro per confermarsi a grandi livelli.

Dele Alli, 19 anni, gioiello del Tottenham e dell'Inghilterra.

3.10.15

L'alfiere silenzioso.

Nelle squadre vincenti, solitamente, ci sono quelli che emergono e quelli che lavorano in silenzio. Quelli che si prendono le luci dei riflettori e quelli che preferiscono l'ombra, per esser lasciati in pace. Valère Germain è sempre stato nella seconda categoria, ma quest'anno c'è persino il rischio che - per una volta, una sola - tocchi a lui la parte da protagonista.

Germain e il Monaco: un decennio alla corte del Principato.

Nato a Marsiglia nel 1990, Valère è un figlio d'arte: suo padre Bruno ha persino una presenza in nazionale e ha sfiorato la Champions con l'OM. Prima ancora che lui fosse il d.s. dell'Orléans, Valère è finito nel vivaio della squadra. Il Monaco ha notato il giovane nel 2005: sembra una vita fa, era l'anno post-finale di Champions persa a Gelsenkirchen.
Sono ben sei gli anni trascorsi dal ragazzo nel vivaio del Monaco, con la firma del primo contratto da pro nel 2009. Con la squadra riserve del Principato, Germain vince addirittura il Championnat de France (il quarto livello del calcio transalpino, il primo a livello amatoriale). Tuttavia, l'esordio con la prima squadra tardava ad arrivare.
Qualcuno ha cominciato anche a dubitare di lui: a 21 anni, il club non era pieno di fiducia nei suoi confronti. Poi c'è un evento che cambia tutto: Germain esordisce finalmente con i grandi nel finale della Ligue 1 2010-11, ma il Monaco retrocede. A sorpresa. E allora ci vuole la rifondazione, di cui il giovane Valère diventa parte integrante.
Nel momento più difficile, l'attaccante diventa importante. Dieci gol stagionali alla prima annata da titolare, mentre sono 14 le reti che consentono al Monaco di tornare in Ligue 1. La squadra del Principato ha Claudio Ranieri in panchina e il multi-milionario Dmitry Rybolovlev come presidente: la svolta è finalmente arrivata.
L'importanza di Germain è tale che Ranieri non ci rinuncia mai in seconda divisione e il classe '90 entra nella squadra dell'anno della Ligue 2 2012-13. Ben diverse le cose in Ligue 1: il Monaco compra Radamel Falcao dall'Atlético Madrid e c'è anche Emmanuel Rivière con cui giocarsi il posto. Germain si vede sempre meno.
Ciò nonostante, lui fa sempre il suo quando viene chiamato in causa. Dopo il prolungamento fino al giugno 2017, Germain segna i primi gol nella massima divisione francese. Il Monaco prende anche Dimitri Berbatov e Anthony Martial dopo gli addii di Falcao e Rivière nell'estate 2014, ma Germain non si demoralizza: attende e sfrutta sempre il suo momento.
In questi tre anni di gloria, il Monaco ha sempre potuto contare sul suo alfiere. Seconda punta o centravanti, non importa: Germain c'è, a volte anche vestendo la fascia di capitano. Gol-vittoria contro l'OM, match-winner a Montpellier. Mai una parola fuori posto, sempre ben voluto dai tifosi: il giocatore ideale per ogni allenatore. E una dote particolare: se Germain segna un gol in Ligue 1, il Monaco non perde mai.
Eppure, anche questo ragazzo così paziente non ha saputo attendere oltre. E così è arrivato un arrivederci: in molti l'hanno cercato per offrirgli un posto da titolare e lui ha accettato l'offerta del Nizza. Un prestito senza diritto di riscatto, un arrivederci. Forse un rimpianto per il Monaco, perché le prime settimane in Costa Azzurra stanno andando alla grande.

Alla prima ufficiale col Nizza, segna subito da ex. E non esulta.

Il Nizza quest'anno sembra un centro di rinvigorimento: non solo il miracoloso recupero del talento di Hatem Ben Arfa, ma anche altri casi di rinascita. O di esplosione. Tra questi, c'è proprio Germain: quattro gol e due assist in otto giornate di Ligue 1. Il primo gol è stato contro il Monaco, da ex: guarda caso, anche l'unico che non è valso neanche un punto.
A lodare Germain ci ha pensato Thomas Mangani, ex Chievo e Monaco, oggi all'Angers: «I suoi punti di forza? La sua intelligenza e un senso del gol innato. Sono doti rare per un attaccante. Senza di lui, il Monaco non sarebbe dov'è ora». Insomma, uno che forse dalla sua carriera avrebbe meritato di più, nonostante abbia solo 25 anni.
Lo stesso Germain si è detto convinto dell'arrivederci al Principato: «Penso che sia l'anno giusto per cambiare. L'avere Claude Puel come allenatore, l'ambizione del club e il fatto che conoscessi molti giocatori ha spinto per venire qui. C'è una grande atmosfera. Spero di andare in doppia cifra. Monaco? Per ora sono concentrato al 200% sul Nizza».
Non so voi, ma le vicende di Germain mi hanno ricordato una sorta di repeat della carriera di Julio Ricardo Cruz, seppur al contrario. Se l'argentino è stato protagonista a Rotterdam e Bologna per poi ritaglarsi un ruolo da dodicesimo uomo all'Inter, il francese ha deciso finalmente di prendersi il palcoscenico e non esser un corista sullo sfondo. Il tecnico del Monaco, Leonardo Jardim, si è anche detto contento che il ragazzo stia facendo bene.
Stasera il Nizza ospita il Nantes per cercare la quarta vittoria consecutiva. Sarebbe un piccolo record per la squadra di Claude Puel, che può sognare persino posizioni europee. Chissà se qualcuno rimpiangerà Germain a Montecarlo, dove ora si ritrovano con un'unica punta (Lacina Traoré) e zero riserve. L'alfiere silenzioso è pronto a colpire ancora.

Valère Germain, 25 anni, ha iniziato una nuova vita a Nizza.