30.9.15

ROAD TO JAPAN: Takuya Iwanami

Buongiorno a tutti e benvenuti a un altro numero di "Road To Japan", la rubrica che ci consente di visionare i maggiori talenti in giro per il Giappone. Nel nono numero del 2015, vi porto a Kobe, dove il Vissel sta disputando una discreta seconda parte di stagione. Tutto questo grazie anche al contributo di Takuya Iwanami, roccioso centrale difensivo.

SCHEDA
Nome e cognome: Takuya Iwanami (岩波 拓也)
Data di nascita: 18 giugno 1994 (età: 21 anni)
Altezza: 1.86 m
Ruolo: Difensore centrale
Club: Vissel Kobe (2011-?)



STORIA
Un ragazzo di casa: così potremmo definire Takuya Iwanami, nato nel giugno 1994 a Kobe, capoluogo della prefettura di Hyogo. Cresciuto ed esploso con la maglia del Vissel, Iwanami entra nelle giovanili del club quando ha solo 13 anni, nel 2007. Ci vuole poco perché gli scout notino quanto vale.
Lo si intravede già a un torneo U-15 su scala nazionale nel 2009 (l'Adidas Cup), dove i giovanissimi del Vissel Kobe dominano in lungo e in largo. Tra loro, Iwanami è un riferimento: se la squadra vince il torneo, il ragazzo viene nominato MVP della competizione e segna anche cinque reti. Uno score lontano da quelli attuali.
Tra la Prince Takamado Cup e le imprese nelle rappresentative giovanili del Giappone, il nome di Iwanami non può passare inosservato. Il Vissel Kobe decide di promuovere il ragazzo in prima squadra solo nel giugno 2012: un pochino tardi, se si pensa che persino il PSV Eindhoven l'aveva provinato appena qualche settimana prima.
L'affare sembrava fatto con un indennizzo, ma alla fine il Vissel è riuscito a trattenere il proprio talentino. Da una parte arriva un contratto da pro, dall'altra il club sfrutta il fatto che per trasferirsi in Olanda ci vogliono 18 anni (Iwanami all'epoca era ancora minorenne). Con quel trasferimento mancato verso l'Eredivisie, la storia di Iwanami è cambiata.
Invece di prendere il volo in Europa, Akira Nishino l'ha voluto con sé a Kobe. L'esordio arriva nell'ottobre 2012: 90 minuti sul campo dello Shimizu S-Pulse. Quando Nishino viene esonerato, Ryo Adachi intuisce che il ragazzo ha delle doti. Il Vissel retrocede, ma il nuovo allenatore decide di fare di Iwanami un titolare fisso.
I 18 anni contano poco con quel talento, forse ulteriormente valorizzato dal fatto che il Vissel ottiene la risalita con estrema facilità. Iwanami porta a casa anche il titolo di miglior giovane della J. League 2 e si affaccia alla sua prima annata da titolare nella massima divisione. Che non è affatto facile, visto che il Vissel mantiene la nomea di squadra discontinua. Le cose stanno andando leggermente meglio con Nelsinho Baptista: vediamo cosa ne sarà della sua crescita.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Le caratteristiche acquisite da giovane lo aiuteranno molto nel prosieguo della sua carriera: capace di segnare molti gol nelle rappresentative giovanili, con un po' di confidenza in più potrebbe riproporre queste abilità anche a livelli più alti. Dal punto di vista tecnico, Iwanami dimostra una buona preparazione.
Il difetto sorge - come quasi per tutti i grandi talenti giapponesi - nella consapevolezza del proprio talento: a volte Iwanami sembra leggermente spaesato e questo lo fa rendere di meno. Piede delicato e dotato di una buona gittata, il centrale del Vissel non è però duttile dal punto di vista tattico: sconsiglio il suo utilizzo da terzino, non è una buona idea.

STATISTICHE
2011 - Vissel Kobe: 0 presenze, 0 reti
2012 - Vissel Kobe: 2 presenze, 0 reti
2013 - Vissel Kobe*: 38 presenze, 2 reti
2014 - Vissel Kobe: 31 presenze, 2 reti
2015 - Vissel Kobe (in corso): 32 presenze, 2 reti
* = in J. League 2

NAZIONALE
Per ora il ct del Giappone, Vahid Halilhodzic, l'ha chiamato solo per disputare un training camp a maggio. Quando poi ci si aspettava la convocazione per la EAFF Asian Cup, questa non è arrivata, nonostante la presenza esclusiva di giocatori della J. League. Un peccato per il centrale, che qualcuno ha proposto come vice-Yoshida, se non suo partner difensivo.
Intanto, però, Iwanami ha già sulle sue spalle numerose comparse con tutte le rappresentative giovanili, nonché un Mondiale disputato con l'U-17 fino ai quarti di finale. Il 2016 sarà l'anno delle Olimpiadi: se il Giappone si qualificherà, quasi certamente Iwanami sarà della contesa, visto che è ampiamente in età per far parte dell'U-23 di Teguramori.

LA SQUADRA PER LUI
Il mio augurio è che qualcuno gli metta addosso gli occhi, ma lo lasci almeno per tutto il 2016 in Giappone. A Kobe Iwanami può crescere ulteriormente, in un club che ha qualche ambizione in più rispetto al passato. In uno stadio nel quale è praticamente cresciuto. Le Olimpiadi di Rio saranno una vetrina che non farà che aumentare ulteriormente il suo valore: spero che qualcuno in Germania si metta una mano sul cuore.

28.9.15

Il tempo passa.

Arsène Wenger ha la reputazione di chi talenti li scopre, li rigenera. Una circostanza che però non sempre capita. In questo momento, a tal proposito, alle mente viene il nome di Joel Campbell: con un contratto in scadenza la prossima estate, il bilancio dei cinque anni del costaricano all'Emirates rischia di esser fortemente fallimentare. Sopratutto (ma non solo) per colpe sue.

Appena dieci le presenze totali di Campbell con l'Arsenal.

Il suo momento sarebbe dovuto arrivare da tempo. A voler esser buoni, almeno da un anno. Campbell ha firmato un contratto con l'Arsenal nell'estate 2011, dopo un'ottima Copa America. A quel torneo, il Costa Rica si era presentato con molti giovani. L'allora ct Ricardo La Volpe: «Quali Messi e Neymar? Ho scoperto questo ragazzo palleggiare con delle lattine».
Una rete contro la Bolivia e tante giocate interessanti di questo ragazzino, che all'epoca era uno dei talenti del Saprissa, in prestito al Puntarenas. Da professionista, non aveva ancora segnato un gol. Ciò nonostante, Wenger scorge qualcosa in quel ragazzo dal baricentro basso e dal talento ancora grezzo. Forse ha solo bisogno d'esser svezzato.
E allora via con i prestiti. Campbell non è quasi mai rimasto con i Gunners, ma ha cominciato a viaggiare in Europa. Francia, Spagna, Grecia, breve intermezzo con l'Arsenal e poi di nuovo Spagna. Le squadre che l'hanno accolto si sarebbero aspettate un mezzo fenomeno e invece - tranne forse in Grecia - Campbell ha per lo più deluso.
Male con il Lorient in Ligue 1, anche peggio con Real Betis e Villareal in Liga. In due anni e mezzo tra Francia e Spagna, l'attaccante ha messo insieme appena sette gol. Ben altro discorso con l'Olympiacos di Míchel: 11 reti, un titolo nazionale e l'impressione di esser pronto a sbocciare. Non è un caso se a quel 2013-14 sono seguiti altri due eventi.
Primo: il Mondiale brasiliano. Dell'impresa del Costa Rica di Pinto si è scritto in lungo e in largo, meno forse di Campbell. Se il sistema difensivo ha preso tutti gli elogi dovuti, non è accaduto lo stesso per Campbell. Nonostante un bel Mondiale e il gol all'Uruguay, l'attaccante classe '92 è stato forse l'unico a non beneficiare di un avanzamento di carriera.
O meglio, c'era quasi. Già, perché il secondo evento rilevante dopo l'anno in Grecia è il ritorno all'Arsenal. Stavolta Wenger vuole dargli una chance: nei primi sei mesi dell'annata, l'attaccante gioca 10 partite in tutte e cinque le competizioni disputate dai Gunners. Eppure non si vede. E così ci vuole un attimo perché il tecnico lo spedisca nuovamente in prestito.
Non è un caso se anche in nazionale Campbell fosse molto atteso per la Gold Cup della scorsa estate. Invece, il Costa Rica non ha esaltato la platea di curiosi e Campbell non si è visto. Anzi, a San José si affidano ancora ad Álvaro Saborío, 33 anni e uno score in nazionale da 103 presenze e 35 reti. Meglio di un giovine che deve ancora fare il grande salto.

Giusto per dire che non ce lo siamo sognati, ecco.

Quest'estate il Palermo l'avrebbe voluto fortemente per sostituire Dybala. Un'intuizione giusta quella della società rosanero, che ha visto nel 9 del Costa Rica un elemento importante. Eppure, al momento di finalizzare l'accordo, non si è messo di traverso l'Arsenal, bensì lo stesso giocatore: meglio in panchina/tribuna a Londra che titolare in A.
E se i siciliani adesso piangono la mancanza di un'alternativa a Gilardino come centravanti, Campbell non gioca. Come al solito, come sempre sarà all'Arsenal. Ci vorrebbe un'epidemia per farlo scendere in campo. Non tanto perché ci siano molti interpreti nel ruolo di prima punta: sono solo lui e Giroud (Welbeck è infortunato). Eppure, finora lo score del 2015-16 è deludente.
Campbell è riuscito a rimanere nuovamente all'Arsenal, ma gioca poco: giusto un centinaio di minuti in questa stagione. Ben 67' nella vittoriosa trasferta sul campo del Tottenham in League Cup, mentre appena 25' in Champions League contro la Dinamo Zagabria. L'impressione è che sia destinato a un ruolo di rincalzo, nonostante gli infortuni dei suoi compagni.
Non solo il campo, forse Campbell deve correggere anche qualcosa fuori. Famoso l'episodio di un USA-Costa Rica del settembre 2013, dove l'attaccante simulò in maniera palese un contatto inesistente, causando anche il giallo dell'avversario. Il contratto con l'Arsenal scadrà la prossima estate e il costaricano dovrà convincere la società a rinnovarglielo. Il tempo passa, caro Joel: a volte il talento non basta per emergere.

Joel Campbell, 24 anni, è arrivato a un bivio della sua carriera.

25.9.15

Esplosioni inattese.

In queste settimane la sua faccia è ovunque. La Premier League l'ha conosciuto e a oggi rimane il giocatore più prolifico dell'anno solare 2015. Odion Ighalo forse non s'immaginava che la sua carriera avrebbe finalmente preso una svolta positiva, ma oggi il nigeriano festeggia la Premier con il Watford, di cui è diventato bomber e punto di riferimento.

Ighalo con la maglia del Cesena: in Italia non ha mai impressionato.

Cresciuto nel Prime F.C., Ighalo viene segnalato dall'agente FIFA Marcelo Houseman, che lo porta a giocare in Norvegia. Il Lyn Football oggi milita in seconda divisione e ha subito una bancarotta che l'aveva portato addirittura in sesta categoria, ma quando Ighalo arriva al Bislett Stadion il club è molto competitivo.
Il Lyn ha persino dei legami con il Manchester United e vende John Obi Mikel al Chelsea per 18 milioni di euro. Una cifra abnorme, che non basterà a evitare i guai finanziari. Tuttavia, Ighalo si fa notare e allora l'Udinese lo compra in coppia con Jo-Inge Berget. Se l'attuale trequartista del Malmö non giocherà una gara in Friuli, il nigeriano invece segna persino un gol in un Udinese-Cagliari finito con una goleada dei bianconeri.
È un inizio: a vent'anni, l'Udinese comincia a mandarlo in prestito. Prima in Segunda División B con il Granada (sempre di proprietà dei Pozzo), poi un breve intermezzo a Cesena, infine altri tre anni e mezzo a Granada tra Segunda División e Liga. Tuttavia, a parte il primo anno con i Nazaríes (17 gol in 28 presenze), non impressiona mai.
In Liga segna appena 12 gol in tre stagioni. A Cesena l'hanno visto e l'hanno cestinato immediatamente. Ighalo sembra ormai incamminato verso un futuro opaco: anche gli scout friulani ogni tanto sbagliano. Invece, la sua carriera subisce una svolta quando l'Udinese lo richiama nell'estate 2014. Stavolta niente Spagna: viene prestato in Inghilterra, al Watford.
In giallonero (la terza società gestita dai Pozzo), Ighalo trova l'ambiente giusto per maturare. L'Udinese decide di rescindergli il contratto, mentre il Watford - nell'ottobre 2014 - gli offre un accordo fino al giugno 2017. Fino a dicembre la fiducia di Jokanović sembra mal riposta, poi lui segna 14 reti in dieci gare e il Watford vola verso la promozione.
A fine anno, gli Hornets guadagnano la promozione diretta e sono di nuovo in Premier League dopo otto anni. Si pensava che Ighalo potesse soffrire il salto di qualità e il cambio di allenatore, con l'arrivo di Quique Sánchez Flores. Niente di tutto questo: il nigeriano è già a quota quattro reti dopo sei giornate, con il Watford che se la sta cavando discretamente al ritorno in Premier.


L'improvvisa maturazione di Ighalo a Vicarage Road.

Dopo la doppietta rifilata al Newcastle, i dati parlano per lui. Con le due reti segnate al St. James' Park, il nigeriano è diventato l'uomo più prolifico del 2015 a quota 20 gol. Molti dicono che Ighalo sarà in grado di trascinare il Watford verso un'insperata salvezza. Intanto, un retroscena di mercato ha colorato l'estate dell'attaccante.
A quanto pare, Ighalo ha rifiutato un'offerta folle. La proposta arrivata dalla Cina era di quelle folli, irrinunciabili. L'Hebei Zhongji F.C. è una delle realtà che stanno emergendo nel panorama cinese del calcio: attualmente in seconda divisione, il club è allenato da Li Tie e ha comprato giocatori come Edu e Milijaš durante lo scorso inverno.
Pare che l'Hebei avesse offerto un ingaggio faraonico al nigeriano e più di dieci milioni di euro al Watford. Tutto giustificato dal patrimonio da 3,5 miliardi di euro della China Fortune Land, la società di Wang Wenxue che è dietro il club. Ighalo ha rifiutato: «Non posso pensare ai soldi: sono ancora giovane e voglio giocare in Premier. Sono felice di esser qui».
Questo cambiamento ha svoltato anche la sua carriera in nazionale. Finora Ighalo aveva al massimo giocato con l'U-20 e la Nigeria non vive neanche un bel momento, sia a livello politico che calcistico. Basti guardare com'è andata la Coppa d'Africa di quest'anno. Il ct a interim Amokachi non si è fatto pregare e ha chiamato l'attaccante del Watford.
Ighalo non ha avuto dubbi nell'accettare: «Mi sento bene. Sono felice perché il mio sogno è sempre stato quello di giocare per il mio paese». Non ci ha messo neanche molto a farsi apprezzare: alla seconda gara con la Nigeria, ha segnato subito su rigore nella gara contro il Ciad, valida per la qualificazione alla Coppa d'Africa 2017.
Non è un caso se il Watford si sia tutelato, allungando il contratto dell'attaccante fino al 2020. Le offerte cinesi hanno fatto il loro effetto: «Ho firmato un contratto di cinque anni e non mi fermerò solo perché ho qualche sicurezza. Voglio lavorare duro e migliorare ogni giorno, aiutando la squadra a ottenere i suoi obiettivi». Esplosioni inattese, forse anche per quei volponi dei Pozzo.

Odion Ighalo, 26 anni, a oggi quattro reti in Premier League.

22.9.15

Corri, ragazzo, corri.

A 25 anni si può aver avuto numerose occasioni ed essere all'ennesimo "ultimo treno"? Forse. Specie se si parla di Mubarak Wakaso, ghanese dalla corsa inesauribile e dalle notevoli capacità, ancora però incapace di imporsi sulla scena di club. Se le cose in nazionale vanno bene, l'ala spera che la nuova fermata chiamata Las Palmas sia l'occasione giusta per imporsi.

Wakaso ha giocato un Mondiale e due Coppe d'Africa con il Ghana.

Classe '90, Wakaso cresce nel S.C. Adelaide, un club ghanese con un vivaio dall'ottima reputazione. Non è un caso se nella top 11 di tutti i tempi votata dai suoi tifosi ci siano altri giocatori che hanno giocato in nazionale: non solo Wakaso, ma anche Opare, Jonathan Mensah, Inkoom (forse il miglior prodotto finora), Annan e Prince Tagoe.
Passato all'Ashanti Gold (una delle maggiori squadre in Ghana), Wakaso viene notato dall'Elche, all'epoca militante in Segunda División. Un contratto quinquennale segna il passaggio dell'ala in Spagna, ma l'avventura durerà poco. Dopo due stagioni e mezza, l'Elche rescinde il contratto del ghanese nel gennaio 2011.
Il motivo sembra nascondersi nelle numerose violazioni da parte del ghanese riguardanti il codice di comportamento del club: si tratta di un vero e proprio licenziamento. Ad approfittarne è il Villareal, che lo tessera e aggrega Wakaso alla squadra riserve. Appena un mese ed è già debutto in Liga, poi gioca persino in Champions League.
Nonostante le presenze continentali, il Sottomarino Giallo finisce per retrocedere. E anche Wakaso decide di lasciare il club: per 300 mila euro, si unisce all'Espanyol. La stagione nella seconda squadra di Barcellona sembra quella buona per emergere: a 23 anni trova uno score da 26 presenze e tre gol, ma il ragazzo spinge comunque per il trasferimento.
L'errore arriva nell'estate 2013, quando Wakaso decide di lasciare la Spagna per firmare con i russi del Rubin Kazan: una squadra regolarmente presente in Europa, ma forse in un ambiente troppo difficile per lui. L'unica parte a guadagnarci è l'Espanyol, che ottiene ben sei milioni di euro dalla cessione dell'ala al club russo.
Wakaso non si è poi mai ambientato alla Kazan Arena e nel 2014-15 ha accettato il prestito al Celtic. Anche lì ci si aspettava un rilancio, invece il ghanese non è mai rientrato nella rotazione di Ronny Delia, collezionando appena 11 presenze durante tutta la stagione. Quando è tornato in Russia, era scontato che la cessione fosse l'unica mossa possibile.
Strano come la sua carriera di club sia così discontinua di fronte alla sua figura in nazionale: Wakaso ha disputato molte competizioni con il Ghana. Dai Mondiali U-17 nel 2005 (quando fu convocato pur essendo un 15enne) fino all'esordio nel 2012 con le Black Stars. Da quel momento, l'ala è stata chiamata per due Coppe d'Africa e il Mondiale 2014.


Non è tutto da buttare.

Il suo bilancio con il Ghana è di 36 presenze e ben 10 gol. Anzi, nella Coppa d'Africa 2013, Wakaso fu uno dei giocatori decisivi nel cammino della nazionale: quattro gol totali, l'ala andò a segno sia ai quarti di finale che in semifinale. Alla fine il Ghana arrivò solo quarto, ma fu un indizio di quanto il ragazzo potesse essere importante.
In fondo, proprio con le Black Stars Wakaso ha mostrato che c'è del grande potenziale in lui. Anche nei momenti più difficili, quelli trascorsi tra la Russia e Glasgow. Il Ghana non ha mai rinunciato a lui, nonostante il poco tempo speso in campo nei club e gli infortuni, che l'hanno limitato anche nella sua avventura con il Celtic.
Wakaso sembrava destinato in Arabia Saudita (l'Al-Ittihad era vicino), ma poi è arrivato l'accordo con il Las Palmas, con il ritorno in Liga nell'ultimo giorno di mercato. Il neo-acquisto non poteva che esserne contento: «Sono in un grande club: vengo qui per aiutare la squadra e fare grandi cose. Mi allenerò al meglio per guadagnare minuti. Sono in un buon momento della mia carriera e stare qui sarà positivo per il mio futuro».
Il ghanese ha già iniziato a riabituarsi alla Liga: 4' sul campo del Celta Vigo, 28' contro il Rayo Vallecano. Il Las Palmas sta faticando (due punti in quattro gare: domani c'è il Siviglia...), ma chissà che il 2015-16 non sia l'anno in cui rivedremo il potenziale mostrato da Wakaso in varie occasioni. Lui continua a correre: del resto, è quello che sa fare meglio.

Wakaso Mubarak, 25 anni, riparte dalla Liga con il Las Palmas.

19.9.15

All'improvviso un semi-sconosciuto.

Fino all'estate 2014, il suo nome campeggiava su molti giornali che parlavano della Ligue 2: rivelazione, prodigio, bomber. Sono solo alcuni degli epiteti che erano usati nei suoi confronti. Poi un'avventura difficile al Wigan e il ritorno in Francia. Tuttavia, al Caen Andy Delort sta dimostrando che quegli elogi non erano proprio campati per aria.

Delort con la maglia del Tours, dove l'attaccante è esploso.

Nato a Sète, nel sud della Francia, Delort ha trascorso la sua infanzia calcistica nella sua città-natale, ove ha fatto la spola per 11 anni tra l'FC Sète 34 e il Pointe Courte AC Sète. Quando si unisce all'U-19 dell'Ajaccio, il suo nome comincia a circolare tra gli addetti ai lavori: chiude il 2008-09 con un record di 30 gol stagionali.
Tra una convocazione con la nazionale francese di beach soccer e la chiamata dell'U-20 transalpina, arriva anche un provino con il Borussia Dortmund. Delort viene provato con giocatori come Götze e Kagawa: il BVB gli offre un contratto da pro a 17 anni. Peccato che il ragazzo rifiuti per giocare con il Nimes, speranzoso di accumulare da subito minutaggio in Ligue 2.
L'esperienza successiva è con l'Ajaccio, definito dall'attaccante come «il club del mio cuore: è grazie a loro se sono diventato professionista». Ottiene una promozione e gioca persino qualche gara in Ligue 1, ma tutto sommato non incide. E anche il prestito al Metz nel 2012 non lascia grosse tracce. Così Delort decide di lasciare la Corsica e trasferirsi al Tours.
Nell'estate 2013, il trasferimento al TFC è la svolta della carriera. Delort diventa un punto di riferimento per club e tifosi, segnando 24 gol. Per poco non vince il premio di giocatore dell'anno, dato invece a Diafra Sakho. Tuttavia, tutti sanno che partirà: il Tours ha bisogno di soldi e spera nella cessione di Delort. I tifosi lo acclamano, ma l'affare si concretizza solo nell'ultimo giorno di mercato: il Wigan lo paga ben quattro milioni di euro.
Il suo arrivo al DW Stadium è stato molto atteso, perché le sue performance hanno fatto sperare i tifosi. Sembrava fosse arrivato qualcuno che avrebbe potuto ricondurre il Wigan in Premier League. Tanti applausi alla sua presentazione, ma l'avventura inglese è stata deludente: lo score totale racconta di 11 presenze e zero reti.
La realtà racconta che la stagione 2014-15 dei Latics è stata molto difficile: non è un caso se il Wigan, invece di tornare in Premier, ha concluso l'annata con la retrocessione in Ligue One. Quando poi Uwe Rösler ha lasciato il Wigan e al suo posto è subentrato Malky Mackay, il nuovo allenatore ha comunicato a Delort che per lui non c'era più spazio.
Così è arrivato l'addio dopo appena sei mesi. Prima in prestito a gennaio, quando Delort ha deciso di tornare immediatamente al Tours. Poi in estate, con l'attaccante che non aveva voglia di giocare nella terza serie inglese. A questo punto, meglio rimanere in Francia. Magari neanche in Ligue 2, bensì in Ligue 1.

Alcuni dei motivi per cui a Tours Delort è ancora oggi venerato come una divinità.

Come a Tours, la scelta del Caen è stata la migliore. Per due motivi. Primo: la squadra allenata da Patrice Garande viene da un finale di 2014-15 straordinario, dove ha raccolto molti punti e si è salvato in anticipo. Secondo: i rossoblu hanno perso diversi pezzi pregiati davanti (Sala, Lemar e Nangis giusto per fare qualche nome) e c'era bisogno di sostituti.
Del resto, Delort non si è fatto attendere. Alla prima giornata, sul campo dell'Olympique Marsiglia, il numero 9 del Caen ha segnato il gol-vittoria, lo stesso che ha poi causato le dimissioni di Marcelo Bielsa. Un gol che ha ricordato quanto di bello aveva fatto vedere a Tours appena un anno prima. E che ha dimostrato che Delort c'è ancora.
Come se non bastasse, l'attaccante si è ripetuto sul campo del Nizza, nonostante il Caen abbia perso in quell'occasione. E ora lo Stade-Marbelhe viaggia nei quartieri alti della Ligue 1, dopo aver trattenuto le guide spirituali del gruppo (Vercoutre, Féret, Raineau e Seube). Nove punti in cinque gare e il Caen è per ora a -1 da Reims e St. Etienne, terzi a quota dieci.
Arrivato per due milioni di euro, Delort ha firmato un quadriennale con il Caen. L'attaccante ha spiegato il perché della scelta: «Ho parlato con Gravelaine (d.g. del Caen, ndr) ad aprile: avevo dato la mia parola e sono qui. Il Wigan? Ho avuto poco tempo per adattarmi al calcio inglese. Quando poi ci sono riuscito, è cambiato l'allenatore e mi ha detto che non aveva bisogno di me. Ho avuto delle offerte dalla MLS, ma preferisco stare in Francia. Qui c'è un ottimo gruppo, mi prenderò delle rivincite».
Delort conserva una speranza per la fine della sua carriera: «Sono stato veramente fiero di vestire la maglia dell'AC Sète. Mi è dispiaciuto sapere del fallimento del club: è stato gestito malissimo. Spero che possa risalire ancora: non ho mai smesso di seguire il club della mia città e spero di finire la mia carriera lì. Per chiudere il cerchio». Delort è partito da semi-sconosciuto e forse è giusto finirla così. Non prima di aver stupito tutti in Ligue 1.

Andy Delort, 23 anni, rivelazione del Caen in quest'inizio di Ligue 1.

16.9.15

UNDER THE SPOTLIGHT: Riechedly Bazoer

Buongiorno a tutti e benvenuti di nuovo a "Under the Spotlight", la rubrica con la quale andiamo in giro per l'Europa a scoprire i migliori talenti del continente. Nel nono appuntamento di questo 2015, ci spostiamo in casa Ajax, una tappa quasi obbligata in ogni anno di racconti. Oggi ci concentriamo su quello che viene designato come l'erede di Rikjaard, ovvero Riechedly Bazoer.

SCHEDA
Nome e cognome: Riechedly Bazoer
Data di nascita: 12 ottobre 1996 (età: 18 anni)
Altezza: 1.84 m
Ruolo: Mediano, centrocampista centrale
Club: Ajax (2013-?)



STORIA
Nato da genitori provenienti da Curaçao (nazione storicamente legata all'Olanda), Bazoer cresce nell'USV Elinkwijk, club di quarta divisione olandese. A dieci anni  lo nota il PSV Eindhoven, che lo preleva dalla piccola compagine. Quando è in età da esordio, l'Ajax lo strappa al PSV con un trasferimento a parametro zero nell'ottobre 2012.
Lo cerca mezzo mondo - tra cui diverse squadre di Premier League - ma il centrocampista sceglie di trasferirsi all'Amsterdam Arena. Pian piano, Bazoer si fa spazio nelle giovanili del club: il 2013-14 è l'anno dell'esordio con lo Jong Ajax, la squadra che milita nella cadetteria nazionale. Score da 21 presenze, prima che de Boer metta gli occhi su di lui.
Il tecnico infatti inserisce Bazoer nella lista degli uomini da utilizzare nella Champions League 2014-15. L'esordio da pro arriva nel dicembre 2014, quando Bazoer viene schierato per 25' contro il Willem II. Da lì, de Boer non lo lascia più tornare nelle giovanili: nel 2015 gioca in tutte le gare (tranne una) e trova anche i primi gol da professionista.
L'allenatore lo prova un po' ovunque: mediano, trequartista, alla fine mezzala. La prima rete è in Eredivisie contro il Twente, la seconda addirittura in Europa League contro il Dnipro. L'Ajax è poi uscito dall'Europa e non ha riconfermato il dominio nazionale, ma Bazoer ha firmato un nuovo contratto fino al giugno 2020 e si gode la titolarità piena.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Si sono sprecati i paragoni con un grandissimo del calcio olandese, ovvero Frank Rikjaard. Qualcun altro - leggasi Fons Groenendijk, ex allenatore delle giovanili dell'Ajax - si è rivolto a qualche esempio più recente: «Penso che sia il Patrick Vieira dell'Ajax». Sicuramente le doti di interdizione non mancano al giovane olandese.
Tuttavia, Bazoer sembra un giocatore leggermente diverso dall'ex Inter e Juve. Lui ribadisce la sua stima per Vieira («Era molto calmo con la palla ai piedi, forte fisicamente e tecnicamente dotato. Queste qualità posso coltivarle anch'io»), ma paga dieci centimetri rispetto al francese, una differenza che rende molto diverso il loro gioco.
Schierato molto spesso come mezzala destra nel 4-3-3 di Frank de Boer, Bazoer si è fatto valere in quella posizione, abbinando qualità e quantità. Ma non è detto che il suo futuro non possa essere anche in regia, previa una maturazione in fase di distribuzione del gioco. L'olandese può comunque disimpegnarsi già ora come mediano di rottura.
È vero che la sua tecnica, la visione di gioco e la sua capacità di ripartire in transizione ne sconsiglierebbero un utilizzo arretrato, ma è stato così anche per tanti altri. Magari troverà la sua vocazione da frangiflutti creativo, anche se qualcuno storcerà il naso di fronte a quest'ipotesi.

STATISTICHE
2013/14 - Jong Ajax: 21 presenze, 0 reti
2014/15 - → Jong Ajax: 13 presenze, 1 rete
2014/15 - Ajax: 22 presenze, 2 reti
2015/16 - Ajax (in corso): 9 presenze, 0 reti

NAZIONALE
La sua storia è simile a molti dei talenti che sono cresciuti in casa Ajax: per ora c'è tutta la trafila nei settori giovanili dall'U-15 all'U-21. Nel 2012 ha anche vinto un Europeo U-17, ormai manca solo l'esordio in nazionale. Con la situazione difficile verso Euro 2016 (l'Olanda rischia di non arrivare ai play-off), non è detto che Blind non lo chiami in Oranje durante questa stagione.
Bazoer ha diverse chance di fare una grande carriera con la nazionale, perché in questo momento storico l'Olanda è sprovvista di un vero mediano. I giorni migliori di Nigel de Jong sembrano alle spalle e Blind è stato costretto a riciclare Klaassen per la sfida contro l'Islanda. I risultati sono stati pessimi e Anita non rappresenta un'alternativa migliore.
Ci ha provato anche la federazione di Curaçao, che avrebbe voluto Bazoer in squadra per le qualificazioni al Mondiale U-20 nel 2013. Tuttavia, gli agenti del ragazzo hanno ritenuto che l'allora 17enne centrocampista non si dovesse muovere da Amsterdam. Un rimpianto per Patrick Kluivert, oggi ct della squadra maggiore.

LA SQUADRA PER LUI 
L'Ajax ha prevenuto qualsiasi attacco, rinnovando il contratto del ragazzo fino al giugno 2020. Una mossa saggia e preventiva per i club olandesi, che da qualche anno a questa parte vedono partire molti dei loro talenti e si devono tutelare. Mi auguro che possa restare all'Amsterdam Arena per qualche tempo, magari due anni.
Del resto, anche lo stesso Bazoer dice di voler fare del progetto di Ajax. Per cui un biennio all'Amsterdam Arena è quello che serve per crescere, poi chissà cosa gli riserverà il futuro. I club inglesi saranno probabilmente lì quando si parlerà dell'ennesima (milionaria) cessione dell'Ajax.

11.9.15

Il profeta ceco.

La Francia ha finalmente qualcuno di sicuro da sfidare: sono quattro le squadre che si sono qualificate per Euro 2016 in quest'inizio di settembre. Oltre all'attesa Inghilterra, all'ottima Austria e alla "sorpresa" Islanda (sicuri?), la quarta squadra torna sulla ribalta dopo qualche difficoltà. Dietro la qualificazione della Repubblica Ceca, c'è la mano dell'abile Pavel Vrba.

Vrba ha vinto due campionati nazionali con il Viktoria Plzen.

Già, mica sono solo gli islandesi ad aver stupito nel girone A. L'Olanda si sarebbe potuta agevolmente qualificare, visto che l'Europeo è stato allargato a 24 squadre e ci sono due posti per l'accesso diretto alla rassegna di giugno 2016. Invece è spuntata fuori la Repubblica Ceca, che all'Europeo non manca mai.
La storia della Repubblica Ceca dimostra come la nazionale abbia sempre avuto un rendimento in chiaroscuro. Pensate a questo dato: dalla creazione della nuova realtà (1994), la Repubblica Ceca ha partecipato a un solo Mondiale. Nel 2006, in Germania, la miglior generazione del calcio ceco venne eliminata e chiuse mestamente la sua epoca.
Ben diversa la storia della Repubblica Ceca agli Europei: dal 1996 in poi, la squadra si è SEMPRE qualificata. Nel 1996, alla prima partecipazione da indipendenti, i cechi sfiorarono la vittoria, perdendo solo ai supplementari contro la Germania del match-winner Bierhoff. Ancora più amara la storia del 2004, quando la squadra era probabilmente la più forte della competizione, ma un altro colpo di testa punì la compagine dell'Est.
Mentre la Repubblica Ceca si faceva conoscere in Europa, Pavel Vrba faceva altrettanto in patria e dintorni. Classe '63, la sua reputazione cresce con l'esperienza in Slovacchia, dove conduce lo Zilina al titolo con nuovi giocatori e un calcio offensivo. Al tempo stesso, per due anni ricopre il ruolo di assistente del ct della Slovacchia, Ján Kocian.
In patria lo nota il Viktoria Plzen, un club famoso per i legami con la Skoda e poco altro. Al massimo si è vinto un campionato cadetto, ma il Viktoria è famoso sopratutto per l'ascensore che fa tra prima e seconda divisione. Vrba è destinato a cambiare questo scenario, quando nell'estate del 2008 diventa l'allenatore della squadra.
Dopo una prima stagione d'assestamento, il Viktoria vince il suo primo trofeo, la coppa nazionale. Si torna a giocare in Europa dopo 39 anni, seppur uscendo subito. È il preludio al meglio: nel 2010-11 a Plzen si festeggia per la prima volta la vittoria in Gambrinus Liga. È solo l'inizio: arrivano altri trofei, come una supercoppa e un altro titolo nel 2012-13.
Nel frattempo, Vrba porta il Viktoria anche in Europa. E non in quella "minore", ma nell'olimpo della Champions League, una competizione alla quale il Viktoria ha partecipato due volte, uscendo sempre. Alla fine però sono arrivate tre partecipazioni consecutive alla fase a eliminazione diretta dell'Europa League (record per un club ceco).
Si punta alla quarta edizione a Plzen, ma lo si farà senza Vrba. Il tecnico lascia il club per guidare la nazionale, nonostante un contratto fino al giugno 2015. La federazione ceca paga una clausola da 300mila euro. Nell'ultima gara a Plzen, Vrba conduce la sua squadra alla vittoria per 2-1 nell'ultima giornata dei gironi di Champions contro il CSKA Mosca.
Con la qualificazione in Europa League arriva la commozione dei tifosi, che non lo dimenticheranno facilmente. Vrba ha lanciato diversi giocatori: alcuni sono ancora a Plzen (Kolář, Rajtoral, capitan Limberský), qualcuno è tornato (Petržela, Pilař) e altri crescono altrove (Jiráček, Darida). Gli effetti del suo lavoro si vedono ancora, tanto che il Viktoria ha festeggiato il terzo titolo nel 2015.

  La qualificazione è stata presa con la dovuta sobrietà. E con il discorso d'incoraggiamento del massaggiatore.

L'uomo di Přerov ha preso il comando della nazionale a gennaio 2014. Preso atto del fallimento di Michal Bílek verso Brasile 2014, la federazione ceca non ha perso tempo e ha affidato subito il comando a Vrba. Dopo aver sofferto nelle amichevoli, Vrba ha centrato la sua prima vittoria da ct nel primo impegno per Euro 2016: 2-1 casalingo all'Olanda.
Da lì, è stato tutto facile: la Repubblica Ceca ha incamerato quattro vittorie su altrettante gare e ha praticamente costruito la sua qualificazione su quel patrimonio. Nelle successive quattro gare sono arrivate solo due vittorie e la nazionale non è sembrata brillante, ma 19 punti sono bastati per ottenere la qualificazione per Euro 2016.
La sparo grossa, ma la sensazione che mi dà Vrba è la stessa che provo quando ho visto le immagini di Nereo Rocco. Il Viktoria Plzen avrà vinto di meno (e giocato più offensivamente) del Milan degli anni '60, ma i gruppi sembrano ugualmente compatti negli intenti. Lo si è visto anche dopo gli abbracci per la qualificazione, ottenuta con due giornate d'anticipo.
Forse era lecito aspettarsi un miglioramento del genere. Vrba ha fatto un ottimo lavoro a Plzen e si sta ripetendo con la nazionale. Non è un caso se viene eletto da cinque anni consecutivo il miglior tecnico dell'intero paese. Le chance di pareggiare a fine anno il record di Karel Brückner (sei volte vincitore) sono piuttosto alte.
La nazionale si è abbastanza rinnovata nell'ultimo biennio. Via i grandi vecchi, tranne Cech e Rosicky, che sono ancora in squadra (sebbene il talento dell'Arsenal abbia tanti problemi con gli infortuni). Ora ci si chiede quanto la Repubblica Ceca possa essere uno spauracchio anche in Francia.
In fondo, il vero valore aggiunto sarà proprio Vrba, che non a caso è stato inserito da FourFourTwo nella top 50 dei migliori allenatori al mondo. Dopo la trasferta in Lettonia, si è detto sereno: «Siamo molto felici di andare all'Europeo. 10-15 anni fa avevamo giocatori nei maggiori club d'Europa. La situazione è diversa ora, ma questo mi rende ancora più felice di aver ottenuto questi risultati con giocatori dal profilo meno conosciuto». Del resto, lui è un profeta in patria.

Pavel Vrba, 52 anni, un profeta in patria: guiderà i cechi a Euro 2016.

9.9.15

Ritorno dal passato.

Bastava un punto, è arrivata una vittoria roboante. All'Austria serviva un pareggio per qualificarsi direttamente a Euro 2016. Das Team, invece, è andato molto più in là: 4-1 sul campo della Svezia di Ibrahimovic (che dovrà soffrire fino alla fine). E ora i biancorossi riabbracciano una competizione internazionale dopo 18 anni.

David Alaba, 23 anni, stella dell'Austria finalmente rinata.

Quando erano stati effettuati i sorteggi per i gironi (parliamo del gennaio 2014), l'Austria era a malapena rientrata in terza fascia. Dietro a nazionali che magari allora non rappresentavano il meglio del continente, ma che forse avevano fatto di più nelle qualificazioni degli ultimi anni (Ungheria, Romania, persino Israele: tutte ancora in corsa per Euro 2016).
Una situazione che ha fatto male a una della nazionali più gloriose tra gli anni '30 e '50, quando l'Austria arrivò quarta al Mondiale 1934 e terza a quello del 1954. In mezzo, la medaglia d'argento all'Olimpiade di Berlino 1936. E tanti, tanti giocatori che fino agli anni '90 hanno giocato in giro per l'Europa, dimostrando la bontà del movimento calcistico.
Gli anni 2000 sono stati traumatici: se escludiamo la partecipazione all'Europeo del 2008, l'Austria manca da un torneo internazionale dal 1998, quando la truppa di Polster e compagni si fece vedere al Mondiale di Francia. Quell'avventura non fu brillante: due pareggi e la sconfitta con l'Italia. Da allora, l'Austria non ha più disputato un torneo internazionale.
La fortuna e la programmazione hanno voluto che in Austria nascessero finalmente altri talenti. I giocatori che giocano in casa sono pochi, perché Rapid Vienna e Sturm Graz non hanno più lo stesso appeal di una volta. Il Red Bull Salisburgo si è fatto onore in Europa, ma la squadra è composta prevalentemente da giocatori stranieri.
Così la stella della nazionale è un ragazzo di origini nigeriane e gioca nel Bayern Monaco: David Alaba avrà pure 23 anni, ma ha l'esperienza di un veterano e la duttilità dei grandi. Assieme a lui, nomi come quelli di Dragović, capitan Fuchs, Arnautović, Junuzović, Sabitzer e Janko creano un caso simile a quello della Svizzera: nazionale forte e multi-etnica.

Un successo autorevole. Una sorta di avvertimento a chi li troverà all'Europeo.

La continuità dell'Austria si è vista lungo tutta la fase del girone: dopo il pareggio nella gara d'esordio contro la Svezia, la squadra biancorossa ha conquistato ben sette vittorie consecutive. Un ruolino di marcia da record (solo l'Inghilterra ha fatto di meglio) e che ha garantito la conquista della qualificazione diretta alla rassegna francese.
Non è un caso che il movimento austriaco sia rinato. La certificazione è arrivata anche dal Ranking FIFA: chi mi legge spesso, sa quanto ho criticato quest'istituto e come credo che l'Elo Ranking sia più affidabile. Tuttavia, nel settembre di quest'anno l'Austria ha raggiunto il 13° posto, la posizione più alta mai raggiunta nella sua storia.
Quello dell'Austria sarà anche un "vero esordio" all'Europeo. Das Team si è qualificato per sette volte al Mondiale, ma l'unica partecipazione alla rassegna continentale è arrivata nel 2008. E quella volta l'Austria giocò l'Europeo solo perché lo co-ospitò insieme alla Svizzera. Per altro andò malissimo: un solo gol segnato (su rigore), un punto conquistato.
Ben diverso è lo scenario che si apre per Francia 2016. La nazionale è decisamente in crescita e può contare su un gruppo tecnicamente ben dotato. Il merito va sopratutto a Marcel Koller, che ha preso l'incarico da ct nel novembre 2011. A quel tempo, l'Austria sembrava ormai alla deriva: invece, la sua guida ha riportato il gruppo sulla retta via.
Il suo bilancio da 53% di vittorie parla per lui, così come gli ottimi stint con Colonia e Bochum negli anni 2000. Ora il suo obiettivo è fare bene a giugno: «Pensare che abbiamo vinto sul campo della Svezia per 4-1 è qualcosa di pazzesco. Un caloroso ringraziamento va anche a tutti i tifosi che ci hanno supportato. Posso affermare che siamo una buona squadra e possiamo rilanciare il calcio austriaco». L'Austria è tornata, statene certi.

Marcel Koller, 54 anni, tecnico dell'Austria dal 2011.

5.9.15

La classe oceanica.

Mentre in altre parti del mondo le qualificazioni ai Mondiali 2018 attirano molti spettatori, è diverso lo scenario dell'Oceania. Nell'idilliaco paradiso di Nuku'alofa (capitale di Tonga), quattro formazioni si sono giocate l'ingresso alla OFC Nations Cup 2016. E il risultato è stato una vera sorpresa, con il finale mozzafiato.

Le Samoa Americane hanno sfiorato un'impresa impossibile.

A giocarsi il posto erano le quattro formazioni più deboli secondo quanto stabilito dal Ranking FIFA di luglio 2015: stiamo parlando di Samoa, Tonga, Samoa Americane e Isole Cook. Tutte con diverse motivazioni. Tonga aveva dalla sua il sostegno del pubblico di casa, guidata dal neo-ct Timote Moleni, ex attaccante della nazionale.
Le Samoa Americane avevano voglia di cancellare l'onta di quel terribile 31-0 che li sommerse nelle qualificazioni al Mondiale del 2002. Di questo ha parlato uno straordinario documentario, "Next Goal Wins", menzionato anche da Crampi Sportivi. Al di là dell'esito finale, si può dire che il futuro sarà diverso per questa compagine.
Più avanti le Isole Cook, che alla fine si sono potute fregiare del capocannoniere di questa fase della competizione (quattro gol): Taylor Saghabi è un classe '90 nato a Sydney, ma ha scelto di giocare per la squadra allenata dal gallese Drew Shearman. Look alla Di Caprio, il ct delle Isole Cook è molto giovane: la carta d'identità recita 28 anni.
Infine le Samoa, vogliose di ritornare alla fase finale della rassegna continentale dopo un'unica partecipazione nel 2012. Il derby con i cugini americani ha attirato molta attenzione: spesso dall'esito scontato, stavolta le cose sono andate diversamente. E l'esito finale del gironcino ha stupito tutti.
Le Isole Cook sono partite a razzo, portando a casa due vittorie in altrettante gare. Ciò nonostante, la qualificazione non era ancora certa per loro, visto che Tonga si è rivelata la squadra cuscinetto del girone, collezionando tre sconfitte. Giunte a pari merito, le tre squadre sono state classificate per differenza reti: solo per un gol in più, Samoa ha potuto festeggiare la qualificazione.

La partita della qualificazione. Il 3-0 è stato letteralmente decisivo.

In ogni caso, il lavoro dei ct delle Samoa Americane e delle Isole Cook (Larry Mana'o e Drew Shearman) può esser considerato come buono: dubito che quattro anni fa le due squadre si sarebbero potute giocare un traguardo del genere. Basti pensare che le cose andarono molto diversamente nelle eliminatorie del quadriennio precedente.
Nel girone di qualificazione dell'OFC Nations Cup 2012, le stesse quattro squadre si affrontarono con il medesimo format. All'epoca le Samoa ebbero comunque la meglio, ma senza la differenza reti. Le Samoa Americane raccolsero quattro punti, mentre le Isole Cook solo un pareggio. Quindi per entrambe c'è spazio per un ulteriore miglioramento.
A questo va aggiunto il fatto che le Samoa Americane hanno presentato una formazione giovanissima: in squadra c'erano quattro '96, un '97 e persino un '99! Inoltre, con il 2-0 rifilato alle Isole Cook nell'ultima gara di queste qualificazioni, la squadra ha ottenuto anche la più grande vittoria della propria storia in partite ufficiali.
Ora Samoa è attesa da un compito difficile: fare meglio della prima partecipazione alla OFC Nations Cup. Nel 2012, i ragazzi allenati dall'ex ct Malo Vaga andarono incontro a una sorta di incubo: tre sconfitte, tutte in goleada. Differenza reti da -23 e zero punti conquistati. 10-1 da Tahiti, 5-0 dalle Vanuatu e 9-0 dalla Nuova Caledonia.
Lo sa anche il ct di Samoa, Phineas Young: «Siamo stati fortunati, visto che siamo arrivati a giocarcela all'ultima gara. Il nostro obiettivo era quello di raggiungere la vetta del gruppo per giocare la Coppa dell'anno prossimo. Ora vogliamo restare nella top 8. Non sarà facile l'anno prossimo. Lavoreremo duro e faremo delle buone selezioni per il team». Allora è vero che anche la classe oceanica va in paradiso.

Desmond Fa'aiuaso, 31 anni, capitano e numero 10 delle Samoa.

2.9.15

L'Europa minore?

Ci risiamo. Credo che solo il termine "spread" sia stato utilizzato più di quello "ranking Uefa" negli ultimi anni. In una sorta di visione di noi contro l'Europa o il resto del mondo, l'Italia calcistica si prepara a una nuova stagione di competizioni europee. Chiuso anche il calciomercato, si può analizzare con calma il panorama del 2015-16.

Alvaro Morata, 22 anni, sa come si può vincere la Champions.

Ci siamo lasciati alle spalle una stagione in chiaroscuro: le squadre italiane in Champions non sono praticamente esistite, se escludiamo l'ottima campagna della Juve di Allegri, chiusa con la finale persa a Berlino contro il Barcellona. Molto meglio l'Europa League, con due semifinaliste che però non hanno centrato l'ultimo atto di Varsavia.
In questo senso, è importante ricordare come questo sia un altro anno cruciale: dopo esserci allontanati da qualunque paventato pericolo di finire quinti nel ranking (ma c'era veramente questo rischio?), ora è tempo di sfruttare l'onda favorevole. Ma non nei confronti della Germania, bensì dell'Inghilterra, uscita malconcia dall'ultima campagna continentale.
Ed è proprio il sorteggio di Champions a lasciare l'amaro in bocca in questo senso: le quattro inglesi in Champions possono agevolmente passare il turno, se non addirittura da prime della classe nei propri gironi. Chelsea, le due di Manchester e l'Arsenal non rischiano, così come sembra tranquilla la situazione di Tottenham e Liverpool in Europa League.
E allora contiamo ancora sulla Juventus, che però non è più la corazzata dell'anno scorso. All'anno della rifondazione (via Tevez, Pirlo e Vidal), il sorteggio ha regalato un girone difficile ai bianconeri. Il Manchester City sembra inarrivabile, mentre ci sono buone chance di mettersi dietro Siviglia e Borussia Mönchengladbach. I campioni uscenti dell'Europa League si sono rafforzati, mentre i tedeschi sono ultimi in Bundesliga.
Diversa la sorte della Roma, che può sorridere nonostante fosse in terza fascia per il rotto della cuffia. I giallorossi hanno sì preso il Barcellona campione in carica della Champions, ma possono giocarsela con il Bayer Leverkusen, giustiziere della Lazio. Nessuna preoccupazione per quanto riguarda il BATE Borisov, alla quinta partecipazione in sei anni, ma che ha rischiato l'eliminazione per mano del Partizan.

Edin Džeko, 29 anni, nuovo rinforzo della Roma di Garcia.

L'Europa League riflette l'importanza di questa stagione sempre nella rincorsa all'Inghilterra. Southampton e West Ham sono uscite ai preliminari, ma lo stesso si può dire della Sampdoria, tranciata dal Vojvodina. Nel frattempo, la seconda competizione europea presenta sempre una certa incertezza: a parte il Borussia Dortmund, non si vedono favorite certe.
A proposito di preliminari, bisogna citare la Lazio, troppo inesperta per superare il Bayer Leverkusen nel doppio confronto. La squadra di Pioli è stata inserita nel girone G, dove affronterà Dnipro, St. Etienne e Rosenborg. Il sorteggio italiano più difficile vedrà comunque la possibilità di passare il turno per i capitolini. In fondo, gli ucraini hanno venduto diversi giocatori e il Rosenborg non è temibile come negli anni '90.
Diverso il discorso per le altre due italiane. Seppur allenato dal neofita europeo Sarri, il Napoli parte con le solite chance di vincere. L'anno scorso i partenopei uscirono incredibilmente contro il Dnipro, quest'anno ripartono dal girone D: gli avversari saranno il Club Brugge, il Legia Varsavia e il Midtjylland. I belgi si sono indeboliti, i polacchi sono interessanti ma c'è il gap tecnico da colmare. I danesi, invece, si sono ispirati a Moneyball.
Nuovo corso anche per la Fiorentina di Paulo Sousa, che ha beccato l'avversaria più tosta, ma può passare il turno in carrozza. Se il Basilea sarà un incrocio affascinante (perché Sousa ha vinto lo scudetto proprio con gli svizzeri la scorsa stagione), i polacchi del Lech Poznan e i portoghesi del Belenenses non rappresentano ostacoli insormontabili.
Sono passati 16 anni dall'ultima finale raggiunta da un'italiana in Europa League. Era il 1999 e c'era ancora la Coppa UEFA, quando il Parma di Malesani stritolò l'Olympique Marsiglia per 3-0 a Mosca. Siamo capaci di alzare nuovamente un trofeo? Nello stesso arco di tempo, l'Italia ha vinto tre Champions League, ma nessuna competizione ritenuta minore.
Nel frattempo, l'Europa League è stata vinta ben sette volte da squadre spagnole, mentre due volte è toccato a Russia, Portogallo e Inghilterra. Le briciole si dividono tra Turchia, Ucraina e Olanda. Vero che in questo manca anche la Germania, ma i tedeschi sono arrivati due volte in finale (2002 e 2009), mentre in Champions crescevano. Vedremo se ci toccherà diventare l'Europa minore, invece di vincerla.

Marek Hamsik, 28 anni, può puntare all'Europa League con il Napoli.