31.8.15

ROAD TO JAPAN: Shoma Doi

Buongiorno a tutti e benvenuti all'ottavo numero annuale di "Road To Japan", la rubrica che ci consente di scoprire i migliori talenti del panorama nipponico. Oggi ci spostiamo a Kashima, dove gli Antlers hanno una nidiata molto interessante da sottoporre. Tra di loro, Shoma Doi si sta certamente mettendo in luce nelle ultime due stagioni.

SCHEDA
Nome e cognome: Shoma Doi (土居 聖真)
Data di nascita: 21 maggio 1992 (età: 23 anni)
Altezza: 1.72 m
Ruolo: Trequartista
Club: Kashima Antlers (2011-?)



STORIA
Nato a Yamagata nel maggio 1992, Shoma Doi è uno dei prospetti più interessanti dell'intero calcio giapponese. Forse anche uno dei più sottovalutati, visto che non riceve la stessa attenzione di altri suoi coetanei nel panorama della J. League. Cresciuto nell'OSA Fortuna Yamagata Football Club, di lui si accorge presto la più importante squadra nipponica.
Sono i Kashima Antlers a prelevare Doi nel 2005. Da quel momento in poi, il ragazzo cresce per sei anni nelle giovanili del club mentre frequenta la Kashima Gakuen High School. Ci pensa Oswaldo de Oliveira a farlo esordire. Nelle sue ultime gare come tecnico degli Antlers, il manager brasiliano lancia Doi per 6' complessivi nel finale della stagione 2011.
Dal 2012, Doi è in prima squadra. Il nuovo tecnico, Jorginho, non gli lascia però molto spazio: appena otto le presenze in tutta la stagione. E allora tocca a Toninho Cerezo - di ritorno a Ibaraki - far sbocciare definitivamente il talento del ragazzo di Yamagata. Maglia numero 28, Doi accumula finalmente una doppia cifra di gare giocate.
Il bilancio non è eccessivamente florido (18 presenze, due reti), ma almeno si cominciano a vedere lampi di classe. Oltretutto il ragazzo riesce a segnare anche il primo gol da professionista, realizzato sul campo del Jubilo Iwata nel settembre 2013. Tuttavia, bisogna aspettare il 2014 per l'esplosione definitiva.
Cerezo ha ormai deciso di affidargli le chiavi della manovra offensiva: con Shibasaki in cabina di regia e la coppia Caio-Yasushi Endo accanto a lui, Doi diventa molto più efficace. Il suo score della scorsa stagione è di 41 presenze in tutte le competizioni, accompagnate da nove gol e sei assist. Nel ruolo di trequartista. Doi si è trovato alla grande.
Il classe '92 quest'anno si è anche preso un numero pesante, l'8, che ha una certa importanza negli Antlers: l'hanno vestito il capitano Mitsuo Ogasawara e il grande Takuya Nozawa, figure di riferimento negli anni vincenti del club. Nel 2015 Doi ha già eguagliato il record personale di gol: ora si attende una chiamata della nazionale.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Quando era alle prime presenze con gli Antlers, Jorginho ha provato il giovane Doi un po' ovunque: trequartista centrale, esterno nel tridente dietro la punta. In alcune gare della Emperor's Cup 2012, il tecnico brasiliano schierò Doi addirittura come terzino su entrambe le fasce contro la Tsukuba University e il Gainare Tottori.
Ora è più chiaro quale sia il suo ruolo: Doi è un 10 puro, un trequartista che ha come ultimo scopo l'assist perenne. Con l'arrivo di Masatada Ishii al posto di Cerezo come allenatore, è arrivato il passaggio dal 4-2-3-1 al 4-4-2. Sotto la nuova guida, Doi viene schierato come seconda punta accanto al centravanti di turno (Davi o Akasaki).
Una scelta saggia da parte di Ishii, che così esalta la visione da assist-man del numero 8 degli Antlers. Per rapidità e cambio di passo, Doi mi ricorda tanto Shunsuke Nakamura. Poi è ovvio che non abbia il sinistro del 10 dei Marinos, però Doi rappresenta un prospetto interessantissimo per queste doti.

STATISTICHE
2011 - Kashima Antlers: 2 presenze, 0 gol
2012 - Kashima Antlers: 8 presenze, 0 gol
2013 - Kashima Antlers: 18 presenze, 2 gol
2014 - Kashima Antlers: 41 presenze, 9 gol
2015 - Kashima Antlers (in corso): 29 presenze, 9 gol

NAZIONALE
Per lui vale la considerazione che ho fatto il mese scorso su Yuzo Iwakami: di trequartisti interessanti ce ne sono parecchi, ma non vederlo in Cina per la EAFF Asian Cup mi ha un po' deluso. In fondo, questo è il suo momento e gli Antlers stanno volando in J. League. Chissà che Halilhodzic non lo consideri per le prossime gare di qualificazione al Mondiale. Doi ha comunque nel suo curriculum delle presenze con l'U-16 e l'U-17 nipponica.

LA SQUADRA PER LUI
Il 2015 sembra dimostrare che Doi è pronto per il grande salto. A 23 anni potrebbe permettersi un altro anno in Giappone per maturare, anche perché il salto europeo va valutato con attenzione. Credo che in Portogallo uno come lui farebbe un figurone. Spero che possa esser notato da qualche club del nostro continente, perché Doi cresce molto velocemente.

28.8.15

La scalata è appena iniziata.

Una formalità questo viaggio in Finlandia. Dopo il 5-1 dell'andata, il minimo sforzo sarebbe bastato per arrivare in Europa League per la seconda volta nella sua storia. Con lo 0-0 del ritorno, l'FC Krasnodar ce l'ha fatta e si conferma una delle realtà da guardare nei prossimi anni. Per tanti motivi, non solo economici (anche se c'entrano qualcosa).

Sergey Galitsky, 48 anni, patron del Krasnodar e magnate armeno.

Sul fatto che il calcio russo sia in netta crescita, non ci sono dubbi. Strano fenomeno quello dell'est: la nazionale fa una faticaccia e rischia di non esserci a Euro 2016, ma i club vanno benone. Il CSKA e lo Zenit hanno vinto una Coppa UEFA a testa nell'ultimo decennio: queste due squadre hanno fatto anche discrete cose in Champions League.
E le altre? Anche loro si stanno facendo vedere. Il Rubin Kazan si è fatto conoscere per il continente e ha conquistato due titoli nazionali, la Dinamo e lo Spartak faticano, ma fanno qualche comparsata. Alle loro spalle, però, spunta Krasnodar: se il Kuban deve ancora esplodere, il Football Club Krasnodar viaggia a velocità maestra verso la vetta del calcio russo.
Merito di Sergey Galitsky, patron del club. Una società giovane, visto che è stata fondata solo... nel 2008! In sette anni, il FCK ha scalato le gerarchie del calcio russo. Le due promozioni dalla terza serie alla prima sono arrivate nonostante il Krasnodar non fosse in zona promozione (quinto e terzo in quelle due stagioni), bensì sfruttando i guai finanziari di altri club.
Merito anche del supporto di Galitsky, che è il fondatore della Magnit, una delle più grande compagnie di vendite al dettaglio al mondo. Fondata proprio a Krasnodar, la società fornisce a Galitsky una fortuna personale non indifferente: nel giugno 2015, Forbes l'ha calcolata in un patrimonio di sette miliardi e mezzo di euro.
Di magnati russi ce ne sono parecchi, ma Galitsky ha speso i suoi soldi in maniera particolare. Il suo sogno è arrivare ai livelli dello Zenit e delle squadre di Mosca, ma in maniera graduale. Non è un caso se il patron di origini armene abbia speso 80 milioni di dollari per migliorare le strutture delle sue giovanili, oggi ritenute tra le migliori a livello mondiale.
L'ha spiegato lo stesso Galitsky: «Non stiamo cercando di esplodere, preferiamo svilupparci con calma e ottenere quello che meritiamo. Il nostro scopo è quello di capire come possiamo migliorare con il tempo. Il mio sogno? Una squadra composta solo dai giocatori delle nostre giovanili. Perché faccio tutto questo? Amo il calcio».
Le cose dovrebbero migliorare ulteriormente nei prossimi anni, visto che a fine anno sarà pronto il Krasnodar Stadium, il nuovo impianto costruito per i neroverdi. Costato 250 milioni di dollari, esso non sarà però usato per i Mondiali russi del 2018. Un gioiellino da 36mila posti solo per l'FCK, mentre i cugini del Kuban rimarranno al vecchio Kuban Stadium, pronto per esser rinnovato.


La partita in cui si è capito che questi saranno una mina vagante per i prossimi anni.

Le prime due stagioni in RPL sono state di ambientamento, ma poi tutto è cambiato. Nell'estate 2013 addio al manager Slavoljub Muslin, dentro Oleg Kononov, allenatore bielorusso che si è fatto una reputazione in Ucraina. Prima ha condotto il Karpaty Lviv addirittura in Europa League, poi ha ottenuto la promozione con il Sevastopol.
Arrivato a Krasnodar, il tecnico ha potuto acquistare qualche stella in più. L'FCK ha preso il bomber Ari dallo Spartak Mosca, lo svedese Granqvist dal Genoa e due nazionali russi come Mamaev e Shirokov. I risultati si sono visti subiti: quinto posto a fine campionato e finale di coppa contro l'FC Rostov, persa solo ai rigori.
Con gli arrivi di altri due nazionali (Bystrov e Izmailov), l'FCK si è rinvorzato per il 2014-15. Inoltre, è arrivata la partecipazione in Europa League: nei preliminari i neroverdi sono stati travolgenti, facendo fuori la Real Sociedad. Poi hanno beccato un girone di ferro con Lille, Everton e Wolfsburg: qualificazione impossibile, ma non sono arrivati ultimi.
I miglioramenti si sono visti in campionato, dove l'FCK è stato persino in corsa per vincere il campionato. Poi tre pareggi nelle ultime quattro giornate hanno tolto la possibilità di centrare i preliminari di Champions: secondi a pari merito con il CSKA Mosca, ma terzi per la differenza reti. Poco importa: rieccoli scattanti ad agosto, pronti a travolgere Slovan Bratislava e l'HJK Helsinki per giocare un'altra volta in Europa.
Molto del merito va proprio a Kononov, che molti hanno proposto come miglior manager della RPL nel 2014-15. Quest'estate sono arrivati anche Torbinski e Kaboré a rafforzare la squadra, ma sopratutto nessuno ha lasciato Krasnodar. Sono rimasti tutti, dai brasiliani Joãozinho e Wánderson all'uruguayano Mauricio Pereyra.
Galitsky ha ricordato una cosa: «Mi sembra stupido spendere tutti i nostri soldi sui giocatori. Sul campo non contano i soldi, ma la gente. Tento di approcciare il problema in maniera gentile: non compreremo mai giocatori con 40 o 60 milioni». Insomma, non come l'Anzhi. In campionato hanno già battuto lo Zenit a domicilio, in EL toccherà a Borussia Dortmund, PAOK e Gabala. Attenzione all'FCK: questi russi son strani.

Oleg Kononov, 49 anni, l'uomo alla guida dell'FC Krasnodar.

25.8.15

Quel maledetto quid.

Le sue discese sulla fascia l'hanno sempre dipinto come una sorta di talento mondiale, ma in realtà il potenziale è ancora tutto da esprimere. A 26 anni, si ha la sensazione che il suo 2015-16 sia una sorta di ultima chance: o la va o la spacca. Per Gabriel Obertan è così, specie che ora il nuovo allenatore del Newcastle gli ha dato un po' di minutaggio.

Obertan con la maglia del Manchester United: lo volle Ferguson.

Nato nell'hinterland di Parigi, Obertan è stato considerato un grande talento in gioventù: non è un caso se - dopo due stint tra Paris FC e PSG - sia finito anche a Clairefontaine, la famosa accademia dove vengono formati i maggiori talenti francesi. Dopo un intero anno a seguirlo, il Bordeaux mette le mani su questo prodigio.
Il francese è talmente forte che l'allenatore Ricardo Gomes lo fa esordire a soli 17 anni in Ligue 1. Pian piano il talento di Obertan cresce, seppur entri sopratutto a partita in corso. Il Bordeaux gli offre un nuovo contratto, ma con Laurent Blanc il ragazzo trova poco spazio: così arriva il prestito al Lorient nel 2009, prima di una mossa a sorpresa.
A interessarsi all'ala è Sir Alex Ferguson: ci vuole poco perché il trasferimento di Obertan al Manchester United diventi realtà nell'estate 2009. Quadriennale al ragazzo, quattro milioni di euro al Bordeaux. La mossa sembra un po' strana, ma sono gli ultimi anni di Ferguson sulla panchina dello United e l'allenatore scozzese vuole sperimentare.
L'avventura al Manchester si rivela una delusione: non è che le doti manchino, ma il Manchester ha una certa gerarchia e per scavalcarle ci vuole qualcosa in più. Quel qualcosa che Obertan non mostra: 28 presenze e un solo gol, quello al Bursaspor in Champions League. L'avventura del francese all'Old Trafford si chiude nell'estate 2011, quando passa al Newcastle.
Arrivato al St. James' Park per tre milioni e mezzo di euro, inizialmente Obertan parte titolare nella testa di Alan Pardew, l'allenatore. Ma man mano che la stagione procede, altri - come Ben Arfa - offrono un rendimento migliore. E così Obertan finisce fuori dall'undici di partenza, diventando un panchinaro a tutti gli effetti.
Oltre a un rendimento altalenante, anche gli infortuni hanno complicato il tutto: fuori per tre mesi nel 2013-14, out per altrettanto tempo nella stagione successiva. Per altro, lo stiramento alla coscia di fine 2014 gli ha rovinato quella che poteva essere un po' la stagione della rinascita. E ora si riparte dall'assist contro lo Swansea per il gol di Wijnaldum. A meno che...


A meno che gli ulteriori acquisti non gli tolgano altro spazio. Finalmente recuperato, Obertan sembra contare sull'appoggio di Steve McClaren, nuovo allenatore dei Magpies: «Mi è piaciuto in pre-stagione: abbiamo provato Gabriel in una nuova posizione e ha fatto bene. Ha annullato il suo avversario, è stato bravo anche difensivamente. Ha creato il secondo gol e ha mostrato quello di cui è capace: è un gran talento».
Tuttavia, nel 4-2-3-1 di McClaren comincia a esserci poco spazio. A disposizione del tecnico, oltre ai già presenti Wijnaldum, Ayoze Pérez e Sissoko, è arrivato anche Florian Thauvin, promettente ala acquistata dall'Olympique Marsiglia per 20 milioni di euro. A lui piace partire da destra per accentrarsi con il mancino. Ruolo e movenze sono quelle di Obertan.
Nella colonia franco-olandese dei Magpies, l'esterno ha un contratto con il Newcastle fino al giugno 2016. Lui però vuole rimanere: «Il manager mi ha detto che avrò qualche possibilità di giocare ed è quello che mi aspettavo con un nuovo staff tecnico. L'inizio è stato importante e sono entusiasta per il resto della stagione». Non si esclude neanche che Obertan possa esser ceduto nelle ultime ore del mercato.
Obertan è anche uno dei pochi talenti di Clairefontaine a non avere neanche una presenza con la nazionale maggiore: al massimo è arrivato in Under 21. E anche qui torniamo a quel maledetto quid, quel qualcosa che gli manca per esplodere. Sarà l'anno in cui potremo finalmente commentare la sua maturità? Chi vivrà, vedrà.

Gabriel Obertan, 26 anni, all'ultima chance con il Newcastle.

22.8.15

No more Pedrito.

Forse quel diminutivo gli stava stretto. Quell'-ito lo faceva sembrare il ragazzo eterno della cantera, invece lui si è dimostrato maturo fin dalle prime gare con la maglia blaugrana. Pedro Eliezer Rodríguez Ledesma alla fine deciso: basta con il Barcellona, addio ai 22 trofei conquistati. Sembrava che potesse andare a Manchester, invece sarà un nuovo giocatore del Chelsea.

Pedro alza la Supercoppa Europea: ancora una volta l'ha decisa lui.

Preoccupato da un inizio di campionato da brividi (sconfitta con l'Arsenal in Charity Shield e un punto nelle prime due di Premier), José Mourinho avrà chiesto a Roman Abramovich di aprire i cordoni della borsa per prendere lo spagnolo. E poco importa se davanti il Chelsea trabocchi di trequartisti e mezze punte.
Del resto, Pedro è un giocatore unico. Lo dice la sua carriera, densa di momenti sottovalutati ma decisivi. Lo dice il suo lavoro, che l'ha portato dall'essere un ragazzo qualunque della cantera blaugrana fino a esser un membro fondamentale del Barcellona, sebbene non abbia mai avuto i tratti del fuoriclasse che spacca le gare.
Nativo di Tenerife, Pedro esordiva con il Barcellona C mentre Messi muoveva i primi passi con i grandi. Da lì, il giovane canterano ha fatto tutta la trafila, passando anche per il Barca B. Sebbene Rikjaard gli avesse dato qualche minuto, è Pep Guardiola a trasferirlo definitivamente in prima squadra, convinto che quel ragazzo sarà utile.
E in effetti non sbaglia. Se il tridente titolare inizialmente è composto dalla magica combo Henry-Messi-Eto'o, comunque Pedro gioca. Subentra persino nella finale di Champions League del 2009 e l'anno dopo sorpassa Bojan nelle gerarchie, diventando titolare. Sì, arrivano David Villa e Ibrahimovic, ma per qualche motivo Pedro c'è sempre.
Il motivo è semplice: pur giocando meno degli altri, è iper-decisivo. La sua prima stagione a pieni ranghi nel Barcellona regala 52 presenze e 23 reti. Segna il gol della vittoria in Supercoppa Europea contro lo Shakhtar Donetsk e non si ferma più, stabilendo anche un record particolare: è il primo giocatore a segnare in sei competizioni diverse nella stessa stagione.
La musica non cambia nelle annate successive: arriva un gol nella finale di Champions del 2011 contro il Manchester United e va sempre in doppia cifra di gol. Tutto questo nonostante gli arrivi al Camp Nou di Luis Suárez e Neymar a peso d'oro. Cambiano i figuranti, ma Pedro c'è sempre. Nessuno, neanche Luis Enrique, può rinunciare a lui.
Però quel ruolo da comparsa gli sta stretto. I numeri gli danno anche ragione: con più spazio, chissà cosa potrebbe fare. E lo spagnolo l'ha confermato anche in questo 2015: insieme a Iniesta, Dani Alves, Messi, Piqué, Xavi e Busquets, ha fatto parte di due triplete. Come regalo d'addio, ha deciso anche l'ultima Supercoppa Europea: suo il gol del 5-4 al Siviglia.


Voglioso di giocare di più, alla fine il giocatore ha scelto di provare l'esperienza in Premier League. All'inizio avrebbe dovuto raggiungere la colonia spagnola del City, poi van Gaal aveva quasi messo le mani su di lui. Infine, Pedrito ha deciso di non trasferirsi a Manchester, bensì a Londra, sponda Chelsea. Un affare da 30 milioni di euro.
Adesso bisognerà vedere chi farà spazio allo spagnolo in quel di Stamford Bridge: con Moses che potrebbe andare in prestito, l'indiziato numero uno alla partenza potrebbe essere anche quel Juan Cuadrado che in Inghilterra non ha per ora convinto. Non è un caso se si parla di un possibile inserimento della Juventus a fine mercato.
Pedro non dovrebbe avere problemi invece. Un giocatore come lui è in grado di esprimersi ovunque. Certo, sarà diverso giocare nel 4-2-3-1 di Mourinho rispetto ai 4-3-3 vissuti al Barcellona: ci vorrà più dedizione in fase difensiva, ma non credo che questo rappresenti una difficoltà per un uomo dalle mille risorse come Pedro.
In fondo, il motivo del trasferimento al Chelsea l'ha spiegato Pedro proprio dopo la finale di Tblisi: «Non è un problema di soldi, ma di minuti». Anche perché il giocatore aveva rinnovato da poco fino al giugno 2019 con il Barcellona. Ora la Premier servirà come stimolo per dimostrare che lui vale più di un posto in panchina.
E poi è anche un modo per prendersi la nazionale: a 28 anni, Pedro conta è un campione del Mondo e d'Europa con la sua partecipazione alle rassegne del 2010 e del 2012. Score da 51 presenze e 16 reti con la Spagna, è tempo di prendersi la ribalta. Quel diminutivo gli ha sempre dato fastidio: no more Pedrito.

Pedro, 28 anni, si è unito al Chelsea di José Mourinho.

20.8.15

Speranza albiceleste.

La scuola argentina dei portieri in Argentina latita. Specie negli ultimi vent'anni. Se vi chiedessi sul colpo il nome di un portiere argentino di grande impatto nell'ultimo ventennio, forse avreste bisogno di pensarci. Questo perché nessuno ha saputo imporsi finora. A meno che Gerónimo Rulli non rappresenti la speranza che l'Albiceleste cercava per difendere la sua porta.

Rulli ha trascorso tre stagioni all'Estudiantes di La Plata.

Fino al 1994, forse riusciamo a trovare un paio di nomi che siano menzionabili per l'Argentina: da Ubaldo Fillol a Nery Pumpido (due portieri di altrettanti titoli Mondiali), per non dimenticarci di Sergio Goycochea, mirabile uomo volante a Italia '90. Da lì, l'Argentina vaga nel buio più assoluto.
La speranza della nazionale risponde al nome di Gerónimo Rulli, classe '92 nato e cresciuto a La Plata, quindi inevitabilmente segnato dal cuore Pincharrata. Gero matura nel vivaio dell'Estudiantes e teoricamente sarebbe il terzo portiere dietro l'eterno Justo Villar e Agustín Silva: tuttavia, il primo vola al Nacional e il secondo s'infortuna.
Quindi? Quindi tocca a Rulli, che esordisce l'8 aprile 2013 contro l'Arsenal de Sarandì. Prende gol nel primo tempo, ma il tecnico Mauricio Pellegrino - all'epoca arrivato da pochi giorni - se ne innamora e lo lascia maturare da titolare. Nell'arco di un paio di mesi, Rulli stabilisce il record d'imbattibilità della porta nella storia del club (588 minuti).
Molte squadre lo osservano nell'estate del 2014 (tra cui Manchester United e Barcellona), ma a sorpresa arriva il Deportivo Maldonado, club della seconda divisione uruguayana. Probabilmente il Depor serve da scatola cinese per il passaggio di giocatori sul mercato: basti pensare che ha guadagnato 11 milioni di euro tra il 2011 e il 2014 con questa pratica.
Con gli uruguayani che acquisiscono l'80% del cartellino, il Deportivo gira l'argentino in prestito alla Real Sociedad. Arrivato da pochi giorni, esordisce subito in Europa League, ma le cose vanno malissimo. Se la Real Sociedad perde rovinosamente con il Krasnodar, Gero deve uscire per infortunio. E starà fuori tre mesi prima di tornare.
Poco male: quando esordisce in Liga nel dicembre scorso, Jagoba Arrasate è stato esonerato. Al suo posto c'è David Moyes, che decide di dar fiducia all'argentino. Da lì, Rulli è uno dei migliori portieri della Liga: estremo difensore abile nei salvataggi di piede, Gero è riuscito a sostituire persino Claudio Bravo, passato da un anno al Barcellona.


Rimasto per un'altra stagione in prestito all'Anoeta, gli obiettivi di Rulli sono due. Se il primo è confermarsi, il secondo è quello di imporsi con l'Argentina. Il portiere della Real Sociedad è stato già convocato dal ct, il Tata Martino, a marzo per le amichevoli contro Ecuador ed El Salvador.
Ora però manca l'esordio. Cercato in estate anche dal Valencia, Rulli deve superare una tradizione negativa per i  portieri dell'Argentina. Giusto per fare qualche nome dell'ultimo ventennio, tralasciando una pletora di comparse: Roa, Burgos, Cavallero, Carrizo, Orion, Andújar. Forse il migliore è stato El Pato Abbondazieri, benedetto con dei piedi da regista.
Tuttavia, oggi il titolare è Sergio Romero, ex portiere della Sampdoria e oggi titolare al Manchester United in attesa di capire la situazione di De Gea. Con 65 presenze all'attivo, El Chiquito è il meglio che il movimento argentino ha fornito negli ultimi anni. Un meglio che nell'ultimo biennio ha fatto panchina tra la Samp e il Monaco.
Ai microfoni di AS, Rulli ha spiegato il perché è rimasto con la Real Sociedad: «C'erano altre squadre che mi seguivano, ma io sono felice qui. Questa è una grande famiglia. Voglio solo guardare avanti». E sulla prossima annata: «Il pre-campionato è stato buono: penso che possiamo lottare per le prime posizioni della classifica».
Al di là delle considerazioni sul pre-campionato (in realtà la Real Sociedad ha vinto solo due delle otto amichevoli disputate), Rulli può concentrarsi sulla scalata al trono dei portieri argentini. Del resto, anche lui sa di avere qualche speranza: «Spero che la prossima volta tocchi a me. Se così non fosse, continuerò a lavorare. Come sempre». Attento Romero, Gero sta arrivando.

Gerónimo Rulli, 23 anni, è l'arquero della Real Sociedad.

18.8.15

Delantero giramondo.

Sorprendente, ma vero: alla fine è tornato a casa. Daniel Güiza era sparito dal radar del calcio che conta da diverso tempo, ma ha deciso di provare a tornare sulla mappa. Dopo aver conquistato la Spagna e poi girato il mondo, l'attaccante è tornato a casa a 35 anni. La sua nuova avventura si chiama Cádiz CF (dove l'accoglienza, però, non è stata delle migliori...).

Güiza con la maglia della Spagna: 21 presenze e sei reti dal 2007 al 2010.

A 34 anni, era forse giunto il tempo di tornare in Spagna per Daniel Güiza. Sembra passata un'eternità dalla sua esplosione, avvenuta sul finire degli anni 2000. Partito da Jerez de la Frontera (la città dov'è nato), il Maiorca lo acquista nel 1999 dal Xerez. Il ragazzo ha solo 19 anni, ma riesce a impressionare in terza divisione, così il club gli dà una chance.
Tuttavia, Güiza non la sfrutta e finisce nelle riserve, dove segna caterve di gol. I prestiti al Recreativo Huelva e al Barcellona B non portano grosse novità. Il vero punto di svolta è a Murcia: nel biennio trascorso con la Ciudad, Güiza segna finalmente con continuità. Lo continua a fare anche al Getafe, dove segna anche i suoi primi gol in Liga.
E così il Maiorca torna su di lui: Güiza è riuscito a far ricredere i suoi detrattori e vive un biennio ad altissimo livello. Prima il suo trasferimento per cinque milioni di euro (agevolato da sua moglie Nuria Bermúdez, che è anche la sua agente), poi una stagione da urlo: 27 gol in 37 partite e titolo di capocannoniere senza segnare neanche un rigore.
A questo punto, la convocazione per Euro 2008 è un obbligo. E non se ne pentirà il ct Luis Aragonés, che lo inserisce nella lista dei 23 all'ultimo. Güiza ha un ruolo da subentrante in quella nazionale, ma segna comunque due gol: il primo alla Grecia nella fase a gironi, il secondo alla Russia in semifinale. Tra i campioni d'Europa c'è anche lui.
Ormai ha preso il volo: l'attaccante viene acquistato dal Fenerbahce per ben 14 milioni di euro. Il suo rendimento in Turchia non sarà mai paragonabile a quanto visto con il Maiorca, ma Güiza si toglie le sue soddisfazioni: in tre anni, un campionato e una Supercoppa vinti a Istanbul. Poi il ritorno al Getafe per sei milioni di euro.
Va detto però che ormai Güiza ha perso il tocco magico e non segna più come prima. Dura appena una stagione prima di tentare l'avventura in Malesia con la maglia del Johor Darul Ta'zim: l'attaccante spagnolo diventa così il giocatore più famoso della storia dell'intero campionato. Ma il prestito finisce in sei mesi e tocca muoversi di nuovo.
L'ultima tappa è stata il Paraguay: anticipando quanto fatto da André-Pierre Gignac, Güiza tenta l'avventura con il Cerro Porteño. In due anni trascorsi con El Ciclón, lo spagnolo partecipa alla Copa Libertadores e si fa amare dai tifosi, prima che l'avventura termini con la rescissione nel marzo scorso. L'Olimpia, altro storico club paraguayano, gli ha offerto un contratto, ma lui ha rifiutato perché «cerrista nel cuore».


Dopo l'exploit del 2008, le cose non sono andate benissimo nemmeno con la nazionale. La Spagna ha beneficiato della vena di Güiza anche per la Confederations Cup del 2009, dove l'allora attaccante del Fenerbahce ha segnato due gol nella finale per il terzo posto contro il Sudafrica. Da lì, una rete in amichevole nel novembre 2009 e l'addio.
Ora Güiza riparte da una meta controversa: Cadice, dove la dirigenza del club locale ha accolto a braccia aperte il ritorno dell'attaccante in Spagna. Più arrabbiati i tifosi, che hanno fischiato il 35enne centravanti, colpevole di qualche commento offensivo nei confronti del Cádiz circa dieci anni fa. Quando giocava nello Xerez, l'attaccante si dichiarò "anti-cadista".
Güiza ora dovrà cercare di conquistarsi i nuovi supporter riportando il Cádiz in Segunda División, visto che il club ha clamorosamente fallito la promozione nel 2014-15. Dopo aver vinto il suo girone, El Submarino Amarillo ha prima perso il play-off con il Real Oviedo e poi è uscito sconfitto nel doppio confronto con la squadra B dell'Athletic Bilbao.
Un grosso trauma per i tifosi, che speravano di tornare in seconda divisione. L'ultima partita di Liga vista al Ramón de Carranza risale al 2005-06 e il manager Claudio Barragán ha il compito di risalire il più presto possibile. Farlo con i gol del Gitano sarà più facile: in fondo, questo delantero non ha dimenticato come si segna. Figuriamoci in Segunda División B.

Daniel Güiza, 35 anni, ha deciso di ripartire da Cadice.

13.8.15

UNDER THE SPOTLIGHT: Mix Diskerud

Buongiorno a tutti e benvenuti a un altro numero di "Under The Spotlight", la rubrica che ci consente di scoprire alcuni giocatori interessanti sparsi per il globo. Nell'ottavo numero di questo 2015, ci spostiamo nella Grande Mela, dove da poco il New York City Football Club ha messo radici. Tra i suoi giocatori, non solo Pirlo e Lampard, ma anche il numero 10, Mix Diskerud.

SCHEDA
Nome e cognome: Mikkel Morgenstar Pålssønn "Mix" Diskerud
Data di nascita: 2 ottobre 1990 (età: 24 anni)
Altezza: 1.84 m
Ruolo: Centrocampista centrale, trequartista
Club: New York City FC (2015-?)



STORIA
Mikkel Morgenstar Pålssønn Diskerud nasce a Oslo nell'ottobre 1990 da padre norvegese e madre americana. Pieno di energie, da piccolo gli conferiscono il soprannome Mix, perché la sua corsa incessante ricorda l'energia di un sbattitore (mixer in inglese). La sua carriera inizia con il Frigg FK, prima che lo Stabæk lo scopra.
Preso nel 2005 dalla società di Bærum (che lo nota in un torneo a Oslo), viene inserito nella squadra giovanile e poi in quella riserve, dove vince la Coppa U-19. Il tecnico del club, Jan Jönsson, lo fa esordire nella coppa nazionale del 2008. Un paio di gare prima di scendere in campo anche per la Supercoppa del 2009. A quel punto, l'approdo in prima squadra è cosa fatta.
Lo Stabæk è una squadra in ascesa, visto che vince il campionato proprio nel 2008 per la prima volta nella sua storia. La crescita di Diskerud è notevole, ma il club fatica e non sembra poter stare più al top del calcio norvegese. Inoltre, Jönsson si è trasferito al Rosenborg. Così Mix decide di lasciare lo Stabæk all'inizio del 2012 e va in prestito in Belgio, al Gent.
I sei mesi nella Jupiler Pro League sono un'esperienza arrivata al momento sbagliato: Diskerud gioca appena sei partite, nonostante l'allenatore sia un altro norvegese, Trond Sollied. Il ragazzo torna immediatamente in Norvegia. Non allo Stabæk (che ormai rischia la retrocessione), bensì al Rosenborg del tecnico Jönsson.
A un mese dall'arrivo al nuovo club, per poco Diskerud non vola in MLS a Portland per giocare con i Timbers, ma il trasferimento salta all'ultimo. Il Rosenborg non domina la Norvegia come una volta: nelle due stagioni e mezza disputate al Lerkendal Stadion, il BK sfiora solamente il titolo sotto la guida di Per Joar Hansen.
Sconfitti anche nella finale di coppa del 2013 (dove Diskerud va in gol), Diskerud decide di andar via. Convocato spesso dagli Stati Uniti, è il momento giusto per visitare gli States e giocare nella MLS. La scelta ricade su New York e sul nascente City Football Club, legato ai Citizens di Manchester e al gruppo di Abu Dhabi. Diskerud arriva addirittura a segnare il primo gol nella storia della franchigia: per ora la sua avventura sta andando bene.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Dotato di una tecnica immensa, Diskerud è un classico 10: tanta fantasia, poco atletismo e fisico a disposizione. Qualcosa che si era già visto negli anni in Norvegia, ma che gli era bastato per emergere. Destro naturale e discreto, ha nel tiro a giro sul secondo palo una specialità della casa. Anche il mancino non è malvagio e l'assist è nel sangue dell'americano.
Tatticamente, il ragazzo è un centrocampista centrale puro, che al massimo può esser impostato da trequartista. Farlo giocare più indietro sarebbe sbagliato. Se il NYCFC trova qualcuno da far sgobbare come mediano, si può impostare un rombo con lui, Pirlo e Lampard. Due i difetti: come detto in precedenza, la poca fisicità è il primo.
Il secondo è che la fantasia è accompagnata da un po' di discontinuità. Qualcuno non riesce neanche a capire quale sia la sua precisa posizione in campo e ha suggerito di venderlo al primo offerente, definendolo "un perfetto mediocre". C'è dibattito, visto che altri l'hanno etichettato come il next big thing americano.

STATISTICHE
2008 - Stabæk: 2 presenze, 0 reti
2009 - Stabæk: 30 presenze, 4 reti
2010 - Stabæk: 35 presenze, 6 reti
2011 - Stabæk: 33 presenze, 3 reti
2011/12 - Genk: 6 presenze, 0 reti
2012 - Rosenborg: 18 presenze, 2 reti
2013 - Rosenborg: 31 presenze, 3 reti
2014 - Rosenborg: 29 presenze, 4 reti
2015 - New York City FC (in corso): 18 presenze, 3 reti

NAZIONALE
Da qualche tempo a questa parte, Diskerud è un convocato fisso di Klinsmann. Non è stato facile arrivare però in nazionale: il centrocampista ha alcune presenze nell'U-18 e nell'U-19 norvegese. Galeotto fu il manager dell'U-20 americana, Thomas Rongen: in occasione di un'amichevole, si avvicina al corner dove c'è Diskerud e gli chiede se ha un passaporto americano.
La risposta positiva avvicina gli Stati Uniti al ragazzo, che accetta di buon grado le attenzione dell'USMNT: madre dell'Arizona, Diskerud per scegliere usa un principio semplice (first-come, first-served). La prima squadra che si fosse fatta sentire sarebbe stata scelta.
Quando gli Stati Uniti entrano in contatto con lui per un training camp, la strada è tracciata. A Diskerud piacerebbe giocare per entrambe le nazionali, ma alla fine opta per la selezione di Klinsmann. L'esordio arriva nel 2010 e da allora il norvegese è stato spesso preso in considerazione dal ct tedesco.
All'attivo abbiamo una partecipazione alle Olimpiadi di Londra 2012, due Gold Cup (tra cui quella vinta nel 2013) e la chiamata per i Mondiali del 2014. In Brasile Diskerud non ha messo piede in campo, ma si è preso l'onore/onere di vestire il 10, rimasto orfano di Landon Donovan, non convocato per la Coppa del Mondo.

LA SQUADRA PER LUI
Fare un'esperienza seria in Major League Soccer è un punto a favore: al di là di quanto si dice in giro per il mondo, la lega statunitense è in seria crescita e ci si trovano giocatori sempre più competitivi. Perciò l'esperienza con il NYCFC è qualcosa da trattare accuratamente: del resto, lavorare accanto a Pirlo e Lampard qualche vantaggio lo porta. Ma chissà che il 2016 non sia l'anno buono per pensare a un ritorno in Europa. Forse riprovare in Belgio, Olanda o persino in Ligue 1 sarebbe l'ideale.


10.8.15

Un eroe silenzioso.

Sergio Romero, Maarten Stekelenburg, Pepe Reina, Victor Valdes: questi sono solo alcuni dei nomi transitati o accostati al Monaco. Eppure al Louis II, da tre stagioni a questa parte, il titolare è uno solo: Danijel Subašić è uno che ha lavorato tanto e in maniera dura. Mai una parola fuori posto, solo tante parate per i monegaschi.

Subašić è ormai titolare della Croazia: è succeduto a Pletikosa.

Danijel Subašić ne ha viste tante: ormai è uno dei senatori dei monegaschi, essendo arrivato in biancorosso nell'inverno 2012. Ben altra situazione rispetto a quella attuale: all'epoca lui era il portiere titolare dell'Hajduk Spalato, mentre il Monaco viveva una stagione difficile, in cui aveva rischiato persino la retrocessione in CFA (terza divisione).
Il Monaco è risalito in classifica e Subašić si è pure tolto la soddisfazione di segnare un gol: con il club ormai salvo, i ragazzi allenati da Marco Simone vanno a Boulogne per l'ultima del 2011-12. Sull'1-1, punizione per gli ospiti: improvvisamente Subašić si presenta sul punto di battuta e segna il gol della vittoria.
Nella stagione successiva, Claudio Ranieri è il nuovo allenatore: l'obiettivo dichiarato è la risalita in Ligue 1, che arriva puntuale a fine anno. A quel punto, ci si aspetta che il magnate russo Rybolovlev potenzi la squadra all'inverosimile. Arrivano James Rodriguez, Falcao e persino Romero in porta. Ma per Ranieri non c'è differenza: il titolare è il croato.
Alla fine il tecnico avrà ragione: Romero non mostra nulla di che, mentre Subašić diventa uno dei migliori portieri della Ligue 1. Il Monaco arriva secondo nonostante due punti di penalizzazione e centra l'accesso alla Champions League. Lo confermano proprio i dati: terzo per performance score, quarto per media-gol concessi e clean sheets.
Con l'addio di Ranieri e l'arrivo di Leonardo Jardim in panchina, c'è timore per Subašić: forse arriva Victor Valdes dal Barcellona o Reina dal Liverpool. No, l'acquisto è Maarten Stekelenburg in prestito dal Fulham, ma l'olandese non insidia affatto il croato, che anzi tira fuori dal cilindro più di una prestazione strepitosa (da incorniciare quella contro l'Arsenal nel ritorno degli ottavi di Champions).
Con i piedi se la cava piuttosto bene, ma la crescita tra i pali è stata evidente. Lo ha confermato anche l'ultima stagione in Ligue 1: due rigori parati su sei, primo nelle clean sheets, ultimo per media-gol concessi. Il croato ha la media più bassa di salvataggi solo perché la difesa del Monaco è stata egregia nell'ultima annata.


Nessuno l'ha cercato quest'estate: Subašić è rimasto a Monaco, convinto che sia la miglior soluzione per la sua carriera. Ormai diventato uno degli idoli dei tifosi, il croato ha firmato il prolungamento del suo contratto fino al giugno 2019. E a fargli da secondo non c'è più un grosso nome, ma il giovane Paul Nardi (classe '94), arrivato dal Nancy.
Anche in nazionale la situazione è notevolmente migliorata. Fino a quando ha giocato con l'Hajduk di Spalato, Subašić non è stato mai titolare. La Croazia ha avuto uno storico erede di Dražen Ladić, ovvero Stipe Pletikosa: per 15 anni in nazionale, il portiere ha giocato ben 114 partite con la Croazia (secondo nella classifica all-time).
I vari Butina, Didulica, Runje, Kelava sono stati tutti spazzati. Se escludiamo Euro 2004, Pletikosa ha sempre giocato da titolare. Lo ha fatto anche in Brasile per l'ultimo Mondiale, dove però Subašić era convocato. Quando il numero 1 croato ha detto basta, allora l'estremo difensore del Monaco gli è subentrato e non ha più lasciato il posto da titolare.
Ora la Croazia ha grosse aspettative per Euro 2016: la rassegna francese vedrà Subašić protagonista, visto che la squadra allenata dal ct Niko Kovač ha ottenuto quattro vittorie e due pareggi nelle prime sei gare di qualificazione. La Croazia è persino davanti all'Italia e potrebbe essere una mina vagante in Francia tra un anno.
Già, la Francia. Subašić raccoglie i frutti del suo lavoro: in questi giorni il Monaco ha giocato il terzo turno dei preliminari di Champions, annientando gli svizzeri dello Young Boys. Ora i monegaschi attendono il Valencia in uno scontro di fuoco. E poi la Ligue 1: che il Monaco possa interrompere il dominio del PSG? Tutto passa anche dalle mani di Subašić, il croato che è una sorta di eroe silenzioso.

Danijel Subašić, 30 anni, difenderà anche quest'anno la porta del Monaco.

6.8.15

L'attaccante e la valigia.

Se c'è un numero 9 che lascerà per sempre qualche dubbio agli appassionati a causa dei suoi troppi infortuni, stiamo parlando per forza di un ragazzo di quasi 34 anni. L'uomo di Arles, dai capelli cambiati mille volte, dalle tante destinazioni vissute. L'uomo di Guy Roux, della Champions impossibile, con la valigia sempre pronta. Un uomo chiamato Djibril Cissé.

Cissé e l'Auxerre: lì ha vissuto i migliori anni della sua carriera.

In testa si è fatto di tutto, cambiando i colori dell'iride. Stessa cosa per quelli delle maglie, visto quanto ha girato. Tutto è partito da Auxerre, dove è arrivato a soli 15 anni e ancora oggi è il secondo capocannoniere all-time della squadra. Il tempo di dargli un'occhiata e Guy Roux - lo storico manager che per 42 anni è stato l'allenatore del club - decide di dargli una chance.
Con le giovanili dell'AJA vince la Coupe Gambardella (il torneo delle giovanili), ma nelle prime due annate entra poco e non segna mai. Sembra un fuoco di paglia. Invece, la stagione giusta è il 2000-01: 15 gol in 30 presenze, per poi farne 24, 21 e 30 nelle successive tre annate. Una macchina da guerra, capace di far vincere all'Auxerre la Coupe de France del 2003.
Capocannoniere della Ligue 1 nel 2002 e nel 2004, non è un segreto che Cissé voglia andare a Liverpool. Un sogno inseguito per un anno, anche perché sulla panchina dei Reds c'è Gerard Houllier, che non nasconde la sua ammirazione per il centravanti. Quando finalmente Cissè sbarca ad Anfield, però, Houllier non c'è più. Al suo posto, è arrivato Rafa Benitez.
Nessun problema: il Liverpool ha comunque bisogno di un centravanti. Tuttavia, qui entrano in scena gli infortuni, che rovineranno la carriera di Cissé e gli impediranno di diventare un 9 dominante. Il primo infortunio è persino demenziale: dopo un contrasto con un difensore avversario, la scarpa rimane incollata al terreno. Nell'ottobre del 2004, arriva la frattura di tibia e perone: sfiga clamorosa.
Un infortunio come quello avrebbe potuto tener fermo l'attaccante fino a 18 mesi: in realtà torna già a marzo e segna anche uno dei rigori che regalano la Champions al Liverpool nell'incredibile finale di Istanbul. Nonostante Benitez lo veda come esterno destro in un tridente dietro la punta, lui preferirebbe giocare da 9. E segna comunque 19 gol nel 2005-06.
Così arriva il prestito all'OM, che diventa trasferimento a titolo definitivo l'anno successivo. A Marsiglia Cissé si sente di nuovo al centro del progetto: 37 i gol totali in due stagioni al Velodrome, anche perché poi si parte di nuovo. Stavolta ritorno in Premier, in prestito al Sunderland: doppia cifra raggiunta, ma nessun accordo per rimanere.
Nell'estate 2009, la scelta giusta per ripartire: Atene, sponda Panathinaikos. Cissé tira fuori l'ultimo biennio da leone, segnando ovunque. Saranno ben 55 le marcature con la maglia verde e i tifosi non hanno mai amato così tanto un giocatore restato così poco. Una disputa con i tifosi dell'Olympiacos lo farà andar via, ma lui ha promesso che prima o poi tornerà.
Dopo il Panathinaikos, Cissé vive un passaggio di sei mesi in Italia (alla Lazio Reja fa lo stesso errore di Benitez: lo schiera ala), poi altri sei mesi stavolta al QPR (dove per poco non rovina la festa del Manchester City). Il problema è che segna poco. Un problema che non si risolve neanche nelle successive destinazioni: prestito all'Al-Gharafa, sei mesi a Krasnodar col Kuban, il ritorno per una stagione e mezza in Ligue 1 con la maglia del Bastia. Un bottino di 31 gol nelle ultime quattro annate è poco per uno come lui.

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Il più grande rimpianto è forse quello della nazionale francese. Cissé esplode quando l'epopea d'oro della Francia sta per finire, con molti nomi storici che sono ormai in là con gli anni. L'attaccante rappresenterebbe un'ideale alternativa a David Trezeguet, ma alla fine non riesce a incidere come con la maglia dell'Auxerre.
Alla fine della giostra, in nove anni con Les Blues, lo score è di 41 presenze e nove reti: meno, molte meno di quelle che avrebbe potuto metter dentro per la sua nazionale. Sfortuna anche con la Francia: due Mondiali disputati, purtroppo quelli disastrosi del 2002 e del 2010. Ci sarebbe stato a Euro 2004 e al Mondiale 2006, ma prima una squalifica di tre giornate e poi un altro infortunio l'hanno privato della convocazione.
Ora l'uomo che è persino apparso in un film (Taxi 4) ha deciso di ripartire altrove. Per l'ennesima volta con la valigia in mano, ma stavolta per un compito meno impegnativo. All'alba dei 34 anni, il buon Djibril ha firmato con il JS Saint-Pierroise, squadra che milita nel campionato di Réunion, una regione facente parte dei territori francesi d'oltremare.
Parliamo di un posto vicino al Madagascar e alle Mauritius, adatto per svernare in tranquillità. Forse Cissé si è anche stancato di avere la valigia sempre pronta: dopo l'addio al Bastia, sembrava pronto a smettere. Invece questo sarà un modo per continuare senza alcuna pressione. A Saint-Pierre c'è il JS, il club più vincente nella storia del calcio a Réunion.
Il contratto è mensile, ovvero Cissé giocherà cinque gare nel mese di settembre con il club di Saint-Pierre. Chissà però che non si prolunghi quest'esperienza, già provata da Papin e Hoarau a livello amatoriale, Dimitri Payet a livello giovanile e Roger Milla nello scorcio finale della sua carriera. Il camerunense come Cissé, il paragone ci sta. Così come i gol e quella valigia sempre in mano.

Djibril Cissé, 33 anni, è ripartito da Réunion per chiudere.

3.8.15

Il lavoro paga.

Chi l'avrebbe detto un anno fa? Lui contro Ibrahimovic, Pastore e Thiago Silva, a giocarsi un trofeo importante. L'Olympique Lione è uscito sconfitto dalla Supercoppa di Francia, vinta dal Paris Saint-Germain per 2-0 sul neutro di Doha (scelta discutibile sul teatro di gioco). Tuttavia, è solo il primo passo di Claudio Beauvue con la maglia dei Gones.

Tre anni al Guingamp, Beauvue ha realizzato 27 gol nel 2014-15.

E pensare che fino a tre anni la carriera di questo attaccante non aveva nulla da dire. Cresciuto nel vivaio del Nantes, il giovane Claudio non si è mai distinto fino ai 23 anni. Dopo qualche stagione incolore con il Troyes (una sola annata in doppia cifra, in terza divisione), il prestito allo Châteauroux lo consacra in Ligue 2. Tuttavia, non c'è continuità e così l'esordio in Ligue 1 con la maglia del Bastia sembra una fiammata.
Il suo primo gol nella massima divisione francese lo realizza l'11 maggio 2013 contro il Montpellier. L'1-0 vale il gol del vantaggio, nonché una salvezza tranquilla ai corsi. Quell'estate, il Guingamp - neo-promosso in Ligue 1 - decide di puntare su di lui, acquistandoòp dal club corso: sarà un acquisto che i tifosi non si dimenticheranno.
Il primo anno di Beauvue è marginale. Con i rossoneri, il tecnico Gourvernnec lo schiera largo a destra. Il centravanti è Mustapha Yatabaré, eroe anche della promozione dalla Ligue 2. Tuttavia, l'annata della squadra della Bretagna è notevole: salvi in campionato e vincitori della Coppa di Francia dopo aver battuto 2-0 il Rennes.
La vittoria in coppa porta in dote l'accesso all'Europa League, atteso in maniera frenetica dalle parti dello Stade de Roudourou. C'è curiosità anche perché Yatabaré è in uscita: il maliano si trasferisce in Turchia, alla corte del Trabzonspor. Così Gourvennec pensa di spostare Beauvue, che si trasforma in prima punta.
Mai scelta fu più azzeccata: il 2014-15 dell'attaccante è stato straordinario. Basti leggere il bilancio finale: 52 presenze, 27 reti. Sempre presente, in doppia cifra in Ligue 1 e fondamentale persino in Europa, dove il Guingamp è riuscito comunque ad arrivare ai sedicesimi di finale. Altra salvezza in campionato e l'addio ai rossoneri.
Ora l'avventura con l'Olympique Lione: Beauvue arriva allo Stade Gerland per 4,5 milioni di euro (con la possibilità di tre milioni in bonus). Ha dovuto abbandonare il suo amato numero 12, optando per il 9. Vedremo se terrà fede a quanto di buono ha fatto vedere nell'ultima annata: Beauvue ha il vantaggio di finire in un ottimo gruppo dal punto di vista tecnico.


La prima con la maglia dell'OL l'ha giocata da attaccante esterno, largo a destra. Beauvue è abituato ad adattarsi, perciò non ha fatto storie. Sarebbe bello però guardarlo da seconda punta, quanto meno più vicino alla porta. Almeno mi auguro che possa giocare in questa maniera durante l'anno: ci sarà anche l'esordio in Champions League per lui.
La curiosità riguarda la nazionale: Beauvue è infatti nato a Saint-Claude, piccola città nella Guadalupa, arcipelago di isole facente parte della regione d'oltremare francese. Ovviamente l'attaccante ha poche possibilità di vestire la maglia della nazionale francese, eppure ha qualche presenza con la rappresentativa della Guadalupa.
Nel lontano 2008 - quando Beauvue era una riserva del Troyes - l'attaccante vestì la casacca della piccola nazione caraibica: due presenze, tre reti. Anzi, Beauvue avrebbe dovuto far parte dei Gwada Boys che avrebbero poi giocato la Gold Cup 2009 (conclusasi con l'arrivo ai quarti di finale), ma Claudio ebbe qualche difficoltà nel lasciar da parte il Troyes, appena retrocesso in terza divisione e bisognoso di lui.
Qualche anno è passato nel frattempo e la Guadalupa non è ancora affiliata alla Fifa. Tuttavia, la storia di Beauvue dimostra che il lavoro paga. E speriamo possa pagare anche quest'anno, visto il trio che si potrebbe creare con Fekir e Lacazette. Lo conferma lo stesso Beauvue: «Molti club tedeschi e inglesi mi avevano cercato, ma qui c'è un progetto importante». Di cui l'attaccante farà inevitabilmente parte.

Claudio Beauvue, 26 anni, nuovo giocatore dell'Olympique Lione.