29.9.14

Sognando la Premier.

L'anno scorso il Norwich era partito come una delle possibili rivelazioni della Premier e poi si è ritrovato in Championship dopo una fila di sconfitte impressionanti. Fatta la doverosa piazza pulita, i Canarines si stanno riprendendo la Premier a colpi di vittorie. E c'è un giocatore che più di altri sta contribuendo alla risalita dei gialloverdi. Si chiama Lewis Grabban e molti di voi - intenditori di Fifa a parte - non sapranno neanche di chi io stia parlando.

Grabban con la maglia del Bournemouth: 22 gol per lui nel 2013-14.

Classe '88, Lewis Grabban ha avuto una consacrazione costante negli ultimi due anni e mezzo. L'attaccante è partito da lontano: il Crystal Palace ha rappresentato la sua casa calcistica, dove Grabban è cresciuto nella sua gioventù bruciata. Ma con le Eagles non è mai arrivata la consacrazione in Championship (solo un gol), perciò il club londinese lo ha prestato a più riprese: prima l'Oldham Athletic, poi un'escursione in Scozia con il Motherwell. Entrambe le esperienze si concludono senza reti all'attivo, ma il Millwall vuole puntare sul ragazzo: 225 mila euro per avere Grabban dal Palace. Ma anche l'esperienza con i Lions non è memorabile e solo il Brentford gli ridà una parziale credibilità: sette gol in 32 presenze con le Bees, che lo prendono due volte in prestito ma poi non gli rinnovano il contratto.
Così, sullo sfondo, l'unica squadra a credere a questo talento a zonzo per cinque stagioni è il Rothertham United. A volerlo a tutti i costi è Andy Scott, lo stesso allenatore che lo aveva portato al Brentford e che ora lo vuole per aiutare i Millers a salire di categoria. Obiettivo mancato, ma Grabban segna 21 reti stagionali. Solo i gol segnati in quella stagione di League Two (18) eguagliano quasi quelli realizzati nei precedenti sei anni da professionista (19). A questo punto, Grabban e il suo talento non possono rimanere inosservati. Anzi, il Crawley Town prova a prelevarlo prima a gennaio, poi a fine stagione. Quanto tutto sembra fatto, l'affare salta.
E c'è un perché: si chiama AFC Bournemouth. I Cherries acquistano Grabban dal Rothertham per 375 mila euro. Una bella cifra, ma l'affare lo fanno al Bournemouth. L'attaccante ha già giocato in League One con la maglia del Millwall, ma riesce a migliorare le sue cifre. Tredici reti non sono una marea, ma aiutano il club a conquistare la promozione in Championship. Qui Grabban produce il vero miracolo: ben inserito nel sistema di gioco pensato dall'ottimo manager Eddie Howe, l'anglo-giamaicano realizza ben 22 reti in 46 presenze. Con i suoi gol, Grabban porta - anzi, trascina - il neo-promosso Bournemouth a un tranquillo decimo posto.
Inevitabile la sua partenza in estate. Tante le squadre che osservano l'attaccante, quasi impossibile trattenerlo al Goldsands Stadium. Nell'asta scatenatasi in Inghilterra alla fine l'ha spuntata il Norwich City: ben tre milioni e mezzo di euro per portarsi a casa l'attaccante del Bournemouth. Grabban non si è detto preoccupato dal costo del suo cartellino: «Sono qui per segnare. Dei soldi spesi dal club non m'importa, ho voglia di fare tanti gol». Effettivamente ci sta anche riuscendo.


Il passaggio al Norwich City - o a una grande della Championship (si parlava di Brighton H&A) - poteva esser previsto, ma pochi avrebbero forse considerato che Grabban si sarebbe ripetuto. Già, perché finora l'anglo-giamaico - nella sua consacrazione - non ha mai trascorso due anni nella stessa serie o con la stessa squadra. Ora, al secondo anno di Championship consecutivo, Grabban sta riuscendo a fare addirittura meglio di quanto fatto vedere con la maglia del Bournemouth. Con il gol realizzato sul campo del Blackpool, siamo a sei reti in nove gare per il neo-giocatore del Norwich City.
Attaccante completo, Grabban sa destreggiarsi benissimo dentro l'area. Un opportunista, che però non disdegna la soluzione da fuori se necessario. Può giocare da ala in un tridente offensivo, ma non è la posizione che preferisce. Sentire gli ultimi sedici metri è la cosa che gli riesce meglio. Merito anche del Norwich, che ha dimostrato di volerci puntare. A Carrow Road hanno tenuto Neil Adams, il manager con cui il club è retrocesso l'anno scorso. Poi si sono disfatti/hanno venduto chi era di troppo: via Snodgrass, il bluff van Volfswinkel, Becchio e Leroy Fer. Dentro tanti giocatori adatti alla categoria, tra cui lo stesso Grabban. Che sta ripagando Adams con i gol: il Norwich City - alla nona di campionato - è primo con 20 punti.
E chissà se adesso si potrà mai palesare il sogno nazionale per Grabban. Ricordiamo innanzitutto che l'attaccante potrà scegliere: l'attaccante è nato in Inghilterra, ma è selezionabile anche per la Giamaica. Il ct Winny Schäfer ha pensato anche di chiamarlo per l'amichevole contro la Serbia del maggio scorso, ma poi non se ne è fatto più nulla. Tuttavia, non è detto che la Giamaica non bussi nuovamente alla porta dell'attaccante.
Poi c'è un precedente importante: Jay Bothroyd. Molti in Italia lo ricorderanno per un passato al Perugia, ma nel 2010 l'allora ct Fabio Capello lo ha chiamato in nazionale maggiore per un'amichevole contro la Francia. Prima presenza a quasi 29 anni, nonostante il centravanti giocasse solo con il Cardiff City in Championship. Chi ci dice che Grabban non potrà avere la stessa fortuna? Intanto Lewis sogna Wembley e i Tre Leoni. Magari dopo la promozione con il Norwich City. Se continua così, l'esordio in Premier League potrebbe non essere così lontano.

Lewis Grabban, 26 anni, a quota 6 reti con il Norwich City.

25.9.14

ROAD TO JAPAN: Yōsuke Kashiwagi

Buongiorno a tutti e benvenuti a un nuovo numero di "Road To Japan", la rubrica che vi consente di conoscere meglio i talenti che stanno emergendo sul panorama del calcio giapponese. Oggi parlerò di un ragazzo che è da anni sulla cresta dell'onda in J-League, ma che ha fatto tanta fatica in nazionale. Così tanta che ora non è nel giro della Nippon Daihyo. Tuttavia, sarebbe comunque un buon affare: sto parlando di Yōsuke Kashiwagi, centrocampista offensivo degli Urawa Red Diamonds.

SCHEDA
Nome e cognome: Yōsuke Kashiwagi (柏木 陽介)
Data di nascita: 15 dicembre 1987 (età: 26 anni)
Altezza: 1.75 m
Ruolo: Trequartista, centrocampista centrale
Club: Urawa Red Diamonds (2010-?)



STORIA
Nato a Kobe nel dicembre 1987, Kashiwagi cresce nella sua città natale, dove viene presto notato dagli scout della J-League. I Vissel Kobe, squadra della sua città, vorrebbero prenderlo, ma a bruciarli sul tempo ci sono gli osservatori del Sanfrecce di Hiroshima. Nato trequartista, con il tempo il giovane Yōsuke si converte al ruolo di volante. Il centrocampista passa tre anni nelle giovanili del club, prima di esordire nel giugno 2005 nella Nabisco Cup. La prima presenza in J-League arriva l'anno successivo, quando Kashiwagi entra a pieno giro nella rotazione della prima squadra (insieme a un certo Tomoaki Makino).
Da lì l'importanza del centrocampista nella squadra cresce: il tecnico Mihailo Petrović - cinque anni alla guida del club di Hiroshima - lo definisce un "diamante" della squadra. Quando il Sanfrecce retrocede in seconda divisione nel 2007, ci sono alcune squadre della Bundesliga che lo osservano e molti club di J-League che vorrebbero prenderlo. La risposta di Kashiwagi è negativa: lui, giovane ma deciso, ha scelto di rimanere a Hiroshima. Si prende il numero 10 e trascina il club alla vittoria della J-League 2 e alla riconquista della massima categoria nazionale.
Dopo un ottimo 2009 (40 presenze e 12 reti stagionali) e una strana disavventura (qualcuno ha pubblicato l'indirizzo e-mail e il numero del ragazzo), Kashiwagi sfrutta la scadenza del contratto e lascia Hiroshima. Il trequartista si unisce agli Urawa Red Diamonds di Saitama: i Sanfrecce non incassano nulla, perché il giocatore sta per svincolarsi. Viene pagato un piccolo premio di valorizzazione, corrispondente a 360mila euro. Volker Finke e Željko Petrović - i tecnici del club di Saitama nel biennio 2010-2011 - non mancano di valorizzarlo, ma il club non decolla. Anzi, rischia persino di retrocedere.
Va meglio nel gennaio 2012, quando alla guida degli Urawa arriva una faccia conosciuta: quel Mihailo Petrović che ha lanciato Kashiwagi a Hiroshima e che lo mette nuovamente al centro del progetto tecnico degli Reds di Saitama. Il resto è storia recente: il club ha centrato un terzo posto nel 2012 e un sesto l'anno passato. In questa stagione, gli Urawa sono in testa al campionato e Kashiwagi ha rappresentato una variabile imprescindibile per il club, come spesso nelle ultime stagioni (mai sotto le 39 presenze stagionali). Non è escluso che a Saitama non si torni a festeggiare: la vittoria della J-League manca dal 2006.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Ormai è molto tempo che Kashiwagi gioca da professionista. Agli inizi, il suo ruolo principale è quello del centrocampista centrale a tutto campo: difende, attacca, crea occasioni. Con il passaggio al professionismo, i vari tecnici che si sono succeduti alla guida prima dei Sanfrecce Hiroshima, poi degli Urawa Red Diamonds hanno deciso di spostarlo qualche metro più avanti. Con il suo sinistro e la sua visione di gioco, Kashiwagi poteva essere più utile da trequartista che da centrocampista centrale.
E così è stato. Del resto, il suo mancino è letale da qualunque posizione. Spesso non è solo la tecnica di tiro a fregare i portieri, ma anche una visione del campo che permette a Kashiwagi di anticipare la conclusione prima che il portiere effettivamente se l'aspetti. Spesso tiratore di calci piazzati, quest'anno ha già 13 assist all'attivo. La visione di gioco ne fa uno dei centrocampisti più interessanti di tutto il Giappone.

STATISTICHE
2005 - Sanfrecce Hiroshima: 1 presenza, 0 reti
2006 - Sanfrecce Hiroshima: 19 presenze, 1 rete
2007 - Sanfrecce Hiroshima: 44 presenze, 6 reti
2008 - Sanfrecce Hiroshima*: 35 presenze, 4 reti
2009 - Sanfrecce Hiroshima: 40 presenze, 12 reti
2010 - Urawa Red Diamonds: 43 presenze, 4 reti
2011 - Urawa Red Diamonds: 39 presenze, 7 reti
2012 - Urawa Red Diamonds: 39 presenze, 7 reti
2013 - Urawa Red Diamonds: 43 presenze, 9 reti
2014 - Urawa Red Diamonds (in corso): 23 presenze, 2 reti
* = in J-League 2

NAZIONALE
La storia di Kashiwagi con il Giappone non può dirsi certo fortunata. Se c'è stata tutta la trafila con le giovanili (prima l'U-20, poi l'U-22), Kashiwagi non ha mai partecipato alle Olimpiadi a causa di un infortunio. E se si guarda il numero di presenze con la Nippon Daihyo, lo score è piuttosto basso: solo tre presenze. Già Ivica Osim chiama Kashiwagi per uno stage nel lontano 2007, mentre Takeshi Okada lo porta con sé nella trasferta in Yemen del gennaio 2010 per le qualificazioni alla Coppa d'Asia. Un anno dopo, sotto la reggenza di Zaccheroni, è arrivata la seconda presenza per il centrocampista degli Urawa Reds, proprio in Coppa d'Asia (poi vinta dal Giappone) contro l'Arabia Saudita. Da lì, una pausa di altri nove mesi e la grande occasione: manca Honda e nel 4-2-3-1 c'è spazio nel ruolo di trequartista. Kashiwagi gioca dal primo minuto nelle qualificazioni Mondiali contro la Corea del Nord, ma delude e non viene più chiamato in nazionale. Chissà che con Aguirre l'uomo degli Urawa Reds non abbia una nuova occasione.

LA SQUADRA PER LUI
Tecnicamente, Kashiwagi è un giocatore già pronto per l'Europa o anche per il Sud America. Anzi, c'è da stupirsi che un ragazzo dal profilo così interessante non sia mai passato per la mente di qualche direttore sportivo nel Vecchio Continente. Il prossimo inverno o la prossima estate potrebbe rappresentare la sua grande occasione: a 27 anni, è il momento giusto per partire. Specie se conquistasse l'ambito titolo della J-League con l'Urawa durante il 2014. A quel punto, per Yōsuke, non ci sarebbe più nessun impedimento. A meno che la strada da seguire non sia la stessa di Yasuhito Endo: un altro che l'Europa, nonostante la classe, l'ha sempre rifiutata.

21.9.14

La coscienza di Dmytro.

Se la guerra si diffonde a macchia d'olio in Ucraina, a rimetterci è sopratutto la popolazione. Così come il suo sport preferito: il calcio. L'Ucraina, qualificatasi al Mondiale del 2006 e all'Europeo del 2012 (come paese ospitante), ha vissuto momenti migliori. Anche i club nazionali non se la passano bene. E alcuni dei suoi giocatori scompaiono, come ad esempio Dmytro Chygrynskiy: il centrale dello Shakhtar Donetsk è sparito, come un artista in declino. Una beffa per lui, laureato in Arte.

Chygrynskiy con la maglia del Barcellona: sarà una debacle.

Tutto va fatto risalire all'agosto 2009. Quello è il momento alla sliding doors per Chygrynskiy. In quel momento, il centrale ucraino è sulla cresta dell'onda. Classe '86, all'epoca il giocatore è la colonna portante sia della nazionale ucraina che dello Shakhtar Donetsk, squadra allenata da Mircea Lucescu. Chygrynskiy arriva a Donetsk nel 2000 e ci rimarrà per un decennio: prima si fa tutta la trafila delle giovanili, sia nel club che in nazionale, poi arriva finalmente in prima squadra per non uscirne più. C'è un periodo in prestito al Metalurh Zaporizhya, ma si tratta di una stagione. Per altro, Chygrynskiy esordisce con la maglia dello Shakhtar in campionato proprio nell'anno in cui arriva Mircea Lucescu al vecchio RSC Olimpiyskiy.
A quel punto, il centrale difensivo si guadagna credito e reputazione con la maglia arancione. Chygrynskiy gioca in Champions e conquista il secondo posto all'Europeo U-21 con l'Ucraina. Poi il difensore viene anche convocato in nazionale dal ct Oleg Blokhin per i Mondiali del 2006 a soli 19 anni (non giocherà neanche un minuto) e nell'annata successiva veste la fascia di capitano dello Shakhtar nella finale della coppa nazionale contro la Dinamo Kiev. Insomma, un'ascesa praticamente inarrestabile. Tanto che lo Shakhtar non fa che aumentare la sua reputazione europea: il club vince continuamente il campionato ucraino e trionfa anche nell'ultima edizione della Coppa Uefa, battendo il Werder Brema per 2-1 dopo i supplementari.
Lì cambia la carriera di Chygrynskiy. Il momento decisivo arriva dopo la Supercoppa Europea: lo Shakhtar Donetsk, in quanto vincitore della Coppa Uefa, affronta il Barcellona, campione uscente in Champions League. Finisce 1-0 con gol di Pedro, ma ciò che conta è che prima della gara si sa già che sarà l'ultima partita di Chygrynskiy con la maglia dello Shakhtar. Il centrale è pronto a partire e l'accordo è... proprio con il Barcellona. I blaugrana hanno deciso di rinforzarsi in difesa e spenderanno ben 25 milioni di euro per aggiudicarsi il simbolo dello Shakhtar Donetsk. Una bella cifra, che si rivelerà uno dei fiaschi più clamorosi della gestione Guardiola.
Primo ucraino a giocare con la maglia blaugrana, Chygrynskiy collezionerà appena 14 presenze tra Liga e Copa del Rey, mentre non giocherà mai in Champions. I tifosi non esitano a fischiarlo al primo errore e ciò non aiuta di certo l'ucraino ad ambientarsi. Persino Guardiola lo difende a spada tratta, ma anche le condizioni fisiche del difensore - leggasi rottura del legamento - non gli danno il tempo per integrarsi. A fine anno, la soluzione più logica per Chygrynskiy è tornare allo Shakhtar, che se lo riprende per la modica cifra di 15 milioni di euro.


Da quel momento in poi, la carriera di Chygrynskiy non è più decollata come prima. Il 2010 ha rappresentato una sorta di tabula rasa per il centrale ucraino: è tornato allo Shakhtar, ma non sembrava comunque più quello di prima. Non è stato tanto il lato psicologico a condizionarlo, quanto quello fisico. Da quando è tornato a Donetsk, in quattro stagioni, Chygrynskiy ha giocato appena 49 partite e segnato quattro gol. Praticamente ha una media di 12 gare a stagione. Il tutto è dovuto a diversi infortuni che stanno condizionando pesantemente la sua carriera: ancora ai legamenti, poi problemi muscolari, infine le scelte tecniche di Lucescu hanno visto mettere da parte un giocatore che forse non è più lo stesso di cinque anni fa.
Nel 2013-14, Chygrynskiy ha giocato appena quattro match. L'ultima apparizione del centrale con la maglia dello Shakhtar è datata 23 novembre 2013 (!), quando ha giocato 90' in campionato contro l'FK Sevastopol e ha persino segnato la rete del 2-0. Va peggio se cerchiamo negli annali la sua ultima partita con la sua nazionale: Chygrynskiy non gioca con l'Ucraina dall'ottobre 2011, quando la sua squadra ha vinto un'amichevole per 2-0 in Estonia. Gli infortuni gli hanno poi impedito di esser convocato per l'Europeo casalingo di nove mesi più tardi.
Ora la domanda non è se Chygrynskiy tornerà il giocatore visto fino al 2009, bensì se potrà semplicemente essere un giocatore a tempo pieno. Nel 2014-15, il difensore non ha ancora visto il campo. Che la sua carriera possa concludersi già a quasi 28 anni, con più di venti trofei alle spalle? Solo il futuro ce lo dirà. Viene quasi da dire che l'unica occupazione futura per Chygrynskiy potrebbe essere legata all'arte, visto che il centrale ha una laurea guadagnata poco prima del suo passaggio al Barcellona. Il difensore legge Arthur Conan Doyle, cita Kafka e magari spera in un'altra vita calcistica, come fu per il Mattia Pascal di Luigi Pirandello. Per ora, per Chygrynskiy, si può parlare solo della sindrome di cui narrò Italo Svevo: l'ucraino è un Zeno Cosini dei nostri tempi pallonari. Sta a lui ritrovare la sua coscienza.

Dmytro Chygrynskiy, 27 anni, è scomparso dal radar del calcio ucraino.

18.9.14

Cesc magnific.

Il 2014 di Cesc Fàbregas non è stato dei migliori: i mal di pancia con il suo Barcellona, una Liga persa all'ultimo, le delusioni con la Spagna al Mondiale. Così un trasferimento era nell'aria, tanto da arrivare prima della Coppa del Mondo. Il passaggio al Chelsea è stato visto come un tradimento da parte dell'ex Arsenal, ma lo spagnolo è rinato. Il suo inizio di stagione è stato da top 10 tra i giocatori mondiali. E ieri è arrivato anche il gol in Champions contro lo Schalke 04.


La storia di Fàbregas è finita dove era iniziata: al Barcellona. Classe 1987, Cesc cresce nelle giovanili del club catalano, dove si fa notare per la sua classe innata. Il giovane cresce accanto a Gerard Piqué e Lionel Messi e il suo idolo d'infanzia è Pep Guardiola. Tuttavia, le opportunità di giocare in prima squadra non arrivano mai e a 16 anni l'Arsenal lo porta via da La Masia per farlo giocare nel vecchio Highbury. Si parla dell'Arsenal degli invincibili, quando ancora i Gunners facevano paura all'intera Europa calcistica. In quella squadra, Fàbregas trova il suo spazio gradualmente: a 17 anni Fàbregas diventa la riserva di Patrick Vieira. Quando il capitano lascia Londra per la Juventus, secondo Wènger è il turno dello spagnolo. Che prima entra nell'undici titolare, poi diventa capitano nel novembre 2008.
Ma la nostalgia di casa è forte. Arrivato a questo livello di fama, Fàbregas vorrebbe tornare a Barcellona, ma l'Arsenal fissa una cifra molto alta per lasciarlo andare. Nel 2010 sembra fatta per il suo addio, ma il capitano dei Gunners rimane un'altra stagione. E così solo nell'estate del 2011 Fàbregas può tornare a casa, nel luogo dove è calcisticamente cresciuto per sei anni. Un sogno costato al Barcellona campione d'Europa 34 milioni di euro. Lo spagnolo è raggiante, ma quello che sembrava esser un sogno si trasformerà in una sorta di incubo.
Guardiola lo considera fondamentale per il suo Barcellona: nel 4-3-3 non c'è spazio a centrocampo, per cui Fàbregas finisce per esser schierato come ala o addirittura come punta centrale in alcune gare. Non che ci siano problemi: il centrocampista segna 15 gol e fornisce 20 assist nel 2011-12, la sua prima stagione da giocatore blaugrana. E le sue cifre stagionali non si discosteranno mai troppo da quella prima annata, giocando spesso 50 partite all'anno. Ma i tifosi non hanno mancato di fischiarlo in questo suo triennio al Camp Nou. Fàbregas si è visto gli spazi sempre più chiusi: davanti sono arrivati l'anno scorso Neymar e in questa stagione Luis Suárez.
Così, nonostante la volontà di chiudere la carriera a Barcellona, Fàbregas alla fine se ne è andato. E lo ho fatto prima del Mondiale. Famosa la conferenza stampa in cui Piqué confessò al suo ct Del Bosque che il centrocampista è già andato via dal Barcellona per 33 milioni di euro. Solo pochi giorni dopo si saprà la squadra: è il Chelsea di Mourinho. Con grande sorpresa dei tifosi dell'Arsenal, ai quali Fàbregas disse dopo l'addio nell'agosto 2011: «Once a Gunner, always a Gunner». Purtroppo lo spagnolo è solo l'ennesimo caso di un calcio nel quale le parole contano veramente poco. A sua difesa, Fàbregas ha risposto che l'Arsenal non ha mai voluto veramente riportarlo all'Emirates Stadium. E così l'unico contento è stato José Mourinho, che ha definito lo spagnolo come «un catalano con la mentalità inglese». Nazionalità a parte, ciò che ha confortato il tecnico del Chelsea è stato vedere la forma con cui Fàbregas si è presentato a questa stagione.

Fàbregas e il Barcellona: prima il ritorno, poi il nuovo e definitivo addio.

Tanto per buttare lì qualche cifra: il numero 4 del Chelsea ha fornito sei assist in quattro gare di Premier League, forma una partnership perfetta con Diego Costa e ha la capacità di giocare sia da centrocampista che da trequartista in una squadra nuova. E ieri è arrivato anche il primo gol dell'anno in Champions League. Ma sopratutto il merito più grande di Fàbregas in questo primo scorcio di stagione è quello di aver reso una squadra di Mourinho non solo vincente, ma persino bella da vedere. Cosa che obiettivamente non è facile.
Come se non bastasse, è arrivato anche qualche record personale: lo spagnolo è il primo giocatore a far registrare almeno un assist a partita per sei gare consecutive (le prime quattro con il Chelsea e le ultime due gare con l'Arsenal nel 2010-11). Mica male per chi - nonostante le cifre - veniva dato per finito e non più decisivo a livello mondiale. Invece, ora Fàbregas sogna di tornare a vincere in Inghilterra. Dopo aver vinto tutto con la propria nazionale (due Europei e un Mondiale), ora lo spagnolo spera di centrare l'unico trofeo che ormai gli manca: la Champions League. Con l'Arsenal ci andò vicino nella finale di Parigi del 2006, mentre con il Barcellona l'occasione non c'è mai stata. Al massimo, in blaugrana Fàbregas ha raggiunto la semifinale, quando fu proprio il Chelsea a sbarrare ai catalani l'accesso alla finale.
Quel Chelsea che ora lui sogna di far vincere. In effetti, la squadra di Mourinho - con questo Fàbregas - è tra i favoriti di quest'edizione (nonostante il pari di ieri contro lo Schalke 04). Ora si attende però il ritorno all'Emirates, fissato per il 25 aprile: qualche tifoso dell'Arsenal ha già fatto sapere come non l'abbia presa bene (vedi qui). Ci sarà un incontro precedente però: quello del 5 ottobre prossimo, quando i Gunners arriveranno a Stamford Bridge. Intanto, questo Fàbregas è sontuoso, decisivo e straordinario al tempo stesso. Insomma, C'esc magnific.

Cesc Fàbregas, 27 anni, ha trovato la sua rinascita con Mourinho e il suo Chelsea.

16.9.14

UNDER THE SPOTLIGHT: Mário Fernandes

Benvenuti al nuovo numero di "Under the Spotlight", la rubrica che ci consente di visionare assieme i migliori talenti del panorama europeo. Oggi ci spostiamo nella Russian Premier League, dove da un paio d'anni si sta mettendo in buona luce un difensore eclettico, capace di giocare in più posizione e proveniente da un passato di buon livello in Brasile. Sto parlando di Mário Fernandes, difensore del CSKA di Mosca.

SCHEDA
Nome e cognome: Mário Figueira Fernandes
Data di nascita: 19 settembre 1990 (età: 23 anni)
Altezza: 1.89 m
Ruolo: Terzino destro, centrale difensivo
Club: CSKA Mosca (2012-?)



STORIA
Figlio di un giocatore di futsal, Mário Fernandes nasce nel settembre del 1990 a São Caetano do Sul e cresce nella squadra della sua città natale. Sarà proprio il São Caetano - squadra in cui Mário Fernandes ha limitato nelle giovanili per tre anni - a cederlo al Grêmio nel gennaio del 2009: il ragazzo è promettente, tanto da inserirsi immediatamente nello starting eleven dei neroazzurri come terzino destro. Memorabile la sua prima prestazione in quel ruolo, quando cancellò un certo Nilmar dell'Internacional nel derby di Porto Alegre. Certo, qualche difficoltà caratteriale non aiuta il ragazzo, che sente la mancanza della famiglia e non vive a pieno la città di Porto Alegre.
Tuttavia, di anno in anno le sue potenzialità crescono e in Série A si sente parlare sempre più di lui. Mário Fernandes viene condizionato nel 2010 da un infortunio alla spalla che ne limita le presenze, ma i vari allenatori che si susseguono alla guida del club continuano ad avere fiducia in lui. Intanto, il Grêmio lo valuta ormai 15 milioni di euro. Persino il Real Madrid si palesa sulle tracce del ragazzo, che però decide di rimanere in Brasile per acquisire esperienza.
Nella stagione 2011 fa così bene con il Grêmio - un gol e ben sette assist - che viene inserito nella "Bola de Prata" (la top-11 della Série A brasiliana). E allora l'attenzione di diversi club europei si fa insistente nei suoi confronti, nonostante un altro infortunio (stavolta alla spalla): anche le italiane Juventus, Roma e Inter si erano inserite su di lui, ma alla fine il Grêmio annuncia di aver trovato un accordo con il CSKA di Mosca. E che accordo: 15 milioni al club brasiliano, una nuova sfida per il terzino destro.
La partenza è stata buona in quel di Russia, visto che Mário Fernandes si è imposto immediatamente come il titolare nel CSKA. Le presenze nel 2012-13 sono state ben 33, con tanto di vittoria in campionato e in coppa. L'anno scorso è stato invece un filino più difficile, visto che le presenze sono state solamente 15 a causa di un infortunio al ginocchio che lo ha messo ai margini della squadra. Il rientro è stato buono e Mário Fernandes ha conquistato un altro campionato con il CSKA. Dopo un buon inizio di stagione (già tre assist), ora il brasiliano punta a imporsi in Europa. A cominciare dalla gara di Champions League, dove sarà impegnato contro la Roma vice-campione d'Italia.

CARATTERISTICHE TECNICHE
Nato come difensore centrale, Mário Fernandes si è disimpegnato in quella posizione fino a un certo punto della sua giovane carriera. Poi al Grêmio il tecnico Paulo Autuori lo ha provato nella posizione di terzino destro: esperimento andato a buon fine, visto che non è stato più spostato da quel ruolo. Il ragazzo avrebbe preferito giocare da centrale, ma ha trovato la sua fortuna lì.
Tuttora, al CSKA di Mosca, il brasiliano continua a giocare come terzino destro, sebbene possa disimpegnarsi anche da centrale difensivo. Dotato di un buon lancio, è in grado di impostare l'azione dalla retroguardia. Mário Fernandes è stato spesso soprannominato il "nuovo Lucio": paragone azzardato, ma che avrà senso se il ragazzo darà sfogo a tutte le sue potenzialità.

STATISTICHE
2009 - Grêmio: 23 presenze, 0 reti
2010 - Grêmio: 25 presenze, 1 rete
2011 - Grêmio: 48 presenze, 2 reti
2012 - Grêmio: 5 presenze, 0 reti
2012/2013 - CSKA Mosca: 33 presenze, 0 reti
2013/2014 - CSKA Mosca: 15 presenze, 1 rete
2014/2015 - CSKA Mosca (in corso): 8 presenze, 0 reti

NAZIONALE
Chiamare "difficile" il rapporto tra la nazionale e Mário Fernandes sarebbe un eufemismo. Qui introduciamo una delle difficoltà nel gestire il giocatore. I tifosi del Grêmio lo avevano definito "emo" perché con la faccia sempre triste. Una volta, in un viaggio con l'Under 20 brasiliana, Mário Fernandes sparì per giorni e si finì per scoprire che era tornato a vedere la famiglia, di cui sentiva la mancanza: una notizia che fece scalpore in Brasile.
Un'altra notizia clamorosa fu il rifiuto del difensore di giocare per il Brasile. Ogni anno, a settembre, Brasile e Argentina giocano il ? delle Americhe: una sfida andata e ritorno per rinforzare la rivalità tra le due super-potenze del calcio sudamericano. Mário Fernandes, convocato dal ct Mano Menezes ma indisponibile per la prima sfida, si rifiutò di giocare la seconda, perché non si riteneva pronto per un simile impegno. Rifiutare la nazionale fa sempre clamore e non è stato diverso per il terzino del Grêmio.
Ora, però, c'è di nuovo una chance: potrebbe esser considerato per il ciclo che va verso il Mondiale russo del 2018. Attenzione però: il ragazzo non giocherebbe per il Brasile, ma per la Russia. Avete capito bene: conscio della troppa concorrenza per un posto da terzino destro nella Seleção, Mário Fernandes avrebbe ammesso il piacere di giocare con la maglia della Russia nel Mondiale casalingo del 2018. Chissà se Capello ci sta pensando: fatto sta che l'intera faccenda è particolare.

LA SQUADRA PER LUI
Così su due piedi, proprio la Serie A potrebbe essere l'ambito ottimale per farlo esplodere ulteriormente. Penso al Napoli di Benitez, che avrebbe bisogno di un rinforzo dietro, anche perché gli ultimi mesi di Zuniga sono stati difficili e un centrale farebbe comodo ai partenopei. Certo, un contratto fino al 2019 lo blinda in maniera rocciosa al club russo, ma chissà che qualcuno non decida di spendere qualche milione di euro su un ragazzo dal futuro così brillante. Testa permettendo.

14.9.14

La relatività della vita.

La vita a volte va così veloce che tutto ti passa davanti in un attimo. Di solito succede quando stai per morire (così dicono: non ho conferma diretta), ma Munir El Haddadi starà provando questa sensazione. Il ragazzo del Barcellona sta conquistando tutto quello che un giovane potrebbe mai sognare: prima la Uefa Youth League con il Barcellona, poi l'esordio in squadra B. Quest'anno l'esordio (e gol) con la prima squadra, infine la prima presenza con la Spagna di Del Bosque.

El Haddadi nella scorsa Uefa Youth League, vinta proprio dal Barcellona.

Nato a San Lorenzo de Escorial, il giovane Munir a 16 anni fa parte del vivaio dell'Atlético Madrid. Nonostante ciò, lui fino ai 14 anni è un tifoso dichiarato del Real. E da lì a poco finirà per passare alle giovanili del Barcellona: un destino tutto strano quello del ragazzo, che però in blaugrana ha saputo farsi apprezzare. Prima il prestito dall'Atlético al Cajo Rajamahonda, dove segna la bellezza di 32 gol in 29 match. Questo non fa che aumentare l'attrazione dei maggiori club europei per Munir, che passa al Barcellona nell'estate del 2011.
Ci è voluto poco perché il giovane si facesse notare anche nelle giovanili del club catalano: all'esordio della Uefa Youth League segna una doppietta nella gara contro i pari-età dell'Ajax. Non si ferma più e alla fine ne mette a segno 11 in tutta la competizione. Prima Munir decide la semifinale contro lo Schalke 04 con un suo gol, poi in finale vince quasi da solo: due reti e un assist. E il gol del 3-0 fa capire il tipo di genio con il quale abbiamo (e avremo, probabilmente) a che fare: un tiro da 60 metri che coglie impreparato il portiere del Benfica U-19. Ok che si era già sul 2-0, però sono sempre i folli a tentare queste soluzioni.
Viste le premesse, Eusebio Sacristán - tecnico del Barcellona B - capisce che il ragazzo va testato a un livello più grande. Così El Haddadi comincia a comparire nelle distinte delle formazioni di Segunda División, dove il ragazzo esordisce il 2 marzo scorso in una trasferta a Maiorca. Il giorno dopo, il Barcellona blinda il suo futuro: contratto allungato fino al 2017 e clausola rescissoria di 12 milioni di euro, che diventeranno 35 una volta che il ragazzo esordirà in prima squadra. Un modo per allontanare le sirene di Juventus e Manchester City, due dei tanti club che avevano provato a metter le mani sul talento blaugrana.
Anche lo score al Mini Estadì è piuttosto impressionante: undici presenze, quattro gol e due assist. Mica male per l'ispano-marocchino, che attrae sempre più interesse dai piani alti. Sarà pure un classe '95, ma al nuovo tecnico Luis Enrique - coraggioso nel lanciare i giovani - non gliene importa granché. L'allenatore del Barcellona lo chiama in prima squadra e lo fa esordire contro l'Elche nella prima in Liga di quest'anno, per giunta dal 1'. A inizio ripresa, Munir bagna l'esordio nella massima divisione spagnola con il gol del 2-0 ed esce applaudito da tutto lo stadio.
Potrebbe già andare, ma la sua ascesa inarrestabile non è ancora finita. Dopo che Celades lo ha fatto esordire nell'Under 21 spagnola il 4 settembre, Vicente Del Bosque lo chiama nella nazionale maggiore per sostituire l'infortunato Diego Costa. Come se non bastasse, il ct della Roja lo fa anche esordire nel 5-1 contro la Macedonia. Tutto di fretta, tutto veloce per Munir El Haddadi: un po' come le sue progressioni palla al piede. Tuttavia, non sono mancate le critiche all'operazione di far esordire questo giovane talento così presto in nazionale.

Prima gara e primo gol nella Liga per El Haddadi contro l'Elche.

L'operazione ha ricordato quella fatta con Bojan Krkic. All'epoca, lo spagnolo di origine serba - anch'egli giocatore del Barcellona - era dato come nuovo fenomeno del calcio europeo, capace di oscurare persino Messi. Poi la sua carriera ha dato ben altri risultati, ma rimane comunque nella storia il suo esordio nella nazionale spagnola a 18 anni appena compiuti, sempre sotto la gestione Del Bosque, contro l'Armenia. Anche in quel caso, Krkic aveva due chance: giocare con la Spagna o con la Serbia, paese d'origine. L'attaccante scelse la Spagna perché vi era cresciuto. La motivazione è stata simile per El Haddadi. O quasi...
I retroscena dei media hanno raccontato una storia che fa capire come a volte correre troppo faccia male. Munir ha scelto la Spagna, ma è stata la motivazione a deludere qualche appassionato puro del calcio. Grazie all'origini del padre, Munir avrebbe potuto attendere il Marocco e diventare una nuova stella del calcio africano. Poi la Federazione marocchina non ha fatto in tempo a compilare le carte necessarie per convocare e per il ragazzo ha prevalso il fatto di essere nato e cresciuto in Catalogna. O forse no? Lo stesso El Haddadi ha fornito versione diverse tra le varie interviste rilasciate ai media, manifestando l'insicurezza tipica di chi è giovane e non sa gestire benissimo una situazione del genere.
Stando a quanto detto dal padre alla radio Onda Cero, il dubbio viene: «Mi aveva detto che non sapeva cosa fare, io gli avevo consigliato di andare col primo che lo chiamava. È stata la Spagna, se lo chiamava il Marocco sarebbe andato col Marocco». Addirittura si vocifera del fatto che il ragazzo abbia ricevuto un'offerta milionaria del Qatar perché giocasse con la loro nazionale: un piano per il Mondiale del 2022. Almeno questa l'abbiamo scampata. Intanto, El Haddadi è nel mirino dell'Arsenal, nel tentativo degli inglesi di riprovare il colpo Fabregas un'altra volta. E chissà che Munir non ci caschi: tanto per lui è tutta una questione di tempismo.

Munir El Haddadi, 19 anni, ha esordito con la Spagna di Del Bosque.

12.9.14

Fine dei giochi.

Brutta l'aria che si respira dalle parti di Montecarlo. Due anni fa si sognava il ritorno in Ligue 1 e l'Europa, ora si punta sul basso profilo. I monegaschi sono effettivamente tornati in Europa, ma stanno pensando di più al bilancio. Via Riviére, Falcao e sopratutto James Rodriguez. E nonostante un sacco di milioni incassati (siamo sui 140 potenziali, tra riscatti e prestiti), gli esborsi son stati pochi. Tutta colpa di una vicenda che col calcio c'entra poco...

Radamel Falcao, 28 anni, e l'ultima apparizione con il Monaco: ora è al Man Utd.

La mente corre al patron dell'Anzhi Suleyman Kerimov, di cui ho già parlato nell'agosto 2013. All'epoca, il numero del club del Daghestan ha chiuso i cordoni della borsa e ha venduto praticamente tutti, ripartendo dai vivai e dai giovani. Mossa nobile, ma poco lungimirante a stagione in corso. Specie se le cessioni si effettuano tutte di fretta: così l'Anzhi è addirittura retrocesso e all'attivo non rimane nessun trofeo dei due anni da spendaccioni sul mercato. Il rischio che il Monaco viva la stessa parabola non è così lontano.
E pensare che quando Dmitrij Rybolovlev, multi-milardario russo, arrivò nell'autunno del 2011, la squadra versava in pessime acque. Zona retrocessione, crisi finanziaria molto forte e la prospettiva di fare il doppio salto dalla Ligue 1 al Championnat National. Poi Rybolovlev si è insediato come proprietario e presidente del club monegasco, rilevando il 66% delle quote societarie. Vari acquisti e una decisa inversione di rotta hanno riportato il Monaco all'ottavo posto al termine del 2011-12. La promozione diventa solo una questione di tempo nell'annata successiva. Claudio Ranieri è il nuovo tecnico e il Monaco conquista il ritorno in Ligue 1 con qualche giornata d'anticipo, nonché la vittoria della cadetteria francese.
Per l'estate del 2013, Rybolovlev non ha badato a spese per rinforzare il suo Monaco. Tanto per fare un piccolo riassunto: nel Principato sono arrivati Radamel Falcao dall'Atlético Madrid per 63 milioni, James Rodriguez e João Moutinho dal Porto in un pacchetto valutato 70 milioni. Senza citare gli acquisti di Abidal, Ricardo Carvalho, Toulalan e Romero, più le aggiunte invernali di Berbatov, Lacina Traoré (mai visto con la maglia dei monegaschi) e Abdennour. Interessante notare come le uscite siano state tante, ma al Monaco non abbia fruttato nessun incasso, se non qualche risparmio sugli ingaggi.
Così l'anno scorso l'obiettivo era il terzo posto - ergo tornare in Champions, anche dalla porta secondaria - e Ranieri è riuscito persino a fare meglio. Nonostante i nove punti di distacco dal Paris Saint-Germain e i media (che speravano in un duello testa a testa con i parigini), il Monaco si è classificato secondo a fine campionato. Una posizione che ha permesso l'entrata diretta in Champions e che ha accelerato il piano di Rybolovlev, conscio di voler portare il club ai più alti livelli del calcio mondiale. Ma mentre a Montecarlo si fregavano le mani per il futuro (con Ranieri cacciato: il tecnico italiano non impara mai, come dimostrato qui), un tribunale svizzero ha deciso la fine della corsa per Rybolovlev e il suo progetto. E non parliamo di un'accusa criminosa dai risvolti misteriosi, bensì di un semplice divorzio, che è stato salatissimo per il magnate russo.

Leonardo Jardim, 40 anni e un altro miracolo da compiere. Stavolta a Montecarlo.

A decidere l'inversione di tendenza nelle spese del Monaco un caso giuridico più raro che unico: il divorzio di Rybolovlev con la moglie Elena. Secondo quanto stabilito dal tribunale di Ginevra, il magnate russo, infatti, dovrà corrispondere all'ex compagna ben tre miliardi di euro (!). L'equivalente di un terzo del patrimonio di Rybolovlev andrà perduto. E se gli avvocati della signora festeggiano per la loro percentuale, la separazione getta il club monegasco nei guai. Ed ecco spiegate tutte le cessioni messe in atto dal patron della squadra, che sognava di rendere grande il Monaco e ora deve ripiegare sulla sopravvivenza in Ligue 1.
C'è chi ha dipinto Rybolovlev come "un saggio che punterà sui giovani". Purtroppo, a differenza del caso di Kerimov-Anzhi, sembra la necessità a dettare tale linea. Se Kerimov ha deciso spontaneamente di affidarsi ai giovani ed evitare le spese folli per il suo club, a maggio - prima del divorzio dalla moglie - Rybolovlev puntava Mancini al posto di Ranieri e sperava nell'arrivo di Victor Valdes. Qualcuno addirittura ipotizzava i monegaschi su Cristiano Ronaldo. Altro che austerity spontanea e youth policy. Ma fatemi il piacere. Rybolovlev sa che il conto è salato ed è più facile (e giusto) sacrificare il Monaco piuttosto che il suo business nel ramo del potassio.
Così c'è stata la corsa all'addio in quest'estate. Prima Rybolovlev ha venduto James Rodriguez al Real Madrid. Operazione lecita, visto il Mondiale del colombiano e l'offerta da 90 milioni dei Blancos. Pur pagandolo molto la precedente estate, Rybolovlev è riuscito a fare una plusvalenza di 45 milioni in una stagione. Via anche Emmanuel Riviére, passato al Newcastle per sette milioni e mezzo di euro. Strano, visto che l'attaccante - in assenza di Falcao, infortunato - è stato importante con i suoi 13 gol dell'anno scorso. Via anche Abidal, prima capitano e poi in difficoltà per discussioni con Ranieri. Nonostante l'addio del tecnico italiano, il francese se ne è andato all'Olympiakos.
Per ultima c'è stata la cessione di Radamel Falcao al Manchester United: sette milioni e mezzo di euro per il prestito, 55 per il riscatto. Il colombiano, forse, non è stato mai così convinto della Ligue 1. Se ha accettato il trasferimento al Monaco, è merito dei soldoni che il club monegasco gli ha offerto nell'estate del 2013. Anche l'Atlético Madrid aveva bisogno di un incasso del genere, ma il giocatore non ha brillato al Louis II come al Vicente Calderon. In più, Falcao si è fatto anche male a gennaio scorso e ha perso il Mondiale, dove la sua Colombia era arrivata grazie ai suoi gol. Ora El Tigre riparte dal Manchester United e continuerà a non giocare la Champions. Il colombiano non mette piede nella massima competizione europea dal marzo 2010: sono scelte, ma peccato.
Non per nulla, alla guida del Monaco è arrivato Leonardo Jardim, che di sopravvivenza se ne intende. L'anno scorso ha preso un derelitto Sporting Lisbona - fuori dalle coppe e con gravi guai finanziari - e l'ha riportato al top del calcio portoghese, con il secondo posto conquistato nell'ultimo campionato. Ora a Jardim tocca il miracolo di tener su questo Monaco, che giocherà contro Zenit, Benfica e Bayer Leverkusen nel girone di Champions. Il mercato in entrata ha fatto piangere, con soli tre acquisti: la conferma di Abdennour per 13 milioni dal Tolosa e un secondo anno di prestito dal Rio Ave per Fabinho, più l'arrivo - sempre in prestito - di Stekelenburg dal Fulham. Sottolineo che quattro dei gol finora segnati in Ligue 1 dal Monaco, due sono stati a firma Falcao. Si riparte dalla sfida contro l'OL con Berbatov, Ocampos, Ferreira-Carrasco e (si spera) Lacina Traoré. Prima che sia game over.

Dmitrij Rybolovlev, 47 anni, ha chiuso i cordoni della borsa per il suo Monaco.

6.9.14

Una storica prima volta.

La loro favola è iniziata da qualche mese, ma oggi sarà la prima volta in una competizione ufficiale. La nazionale di Gibilterra è diventata membro dell'Uefa solo da qualche mese e nella serata di domani affronterà la Polonia di Lewandowski per la gara di qualificazione al prossimo Europeo del 2016, nel girone D. Un sogno che diventa realtà, se si pensa che fino a qualche anno fa Gibilterra si scontrava al massimo con le altre nazioni non riconosciute dalla Fifa negli Island Games.

Gibilterra affronta l'Isola di Wight negli Island Games del 2011.

A Gibilterra da tempo la nazionale locale gioca a calcio: il primo vero match si è tenuto contro Jersey a Shanklin, nell'isola di Wight, anche se Gibilterra aveva già alle spalle alcuni match contro club amatoriali e professionali. La sconfitta più amara dei primi tempi della nazionale fu un 5-0 subito per mano della Groenlandia. In ogni caso, la storia fa risalire all'aprile 1923 le prime amichevoli di Gibilterra, quando giocò un paio di gare contro il Siviglia. E un pareggio nel 1949 contro il Real Madrid è rimasto per lungo tempo il risultato più prestigioso.
Il nome di Gibilterra - prima di entrare nell'Uefa - è stato a lungo legato agli Island Games, che hanno cominciato a coinvolgere le isole intorno all'Inghilterra. Alla fine, tra le 15 isole partecipanti qualche anno dopo, figurava anche Gibilterra, in una sorta di Olimpiade per gli stati non ammessi alla grande manifestazione quadriennale. La nazione è stata ammessa nonostante non sia un'isola e ha ospitato tali giochi nel 1995. Il maggior successo si è registrato nel 2007, quando Gibilterra si è resa protagonista della vittoria negli Island Games di quell'anno, in finale contro Rodi. Non solo Island Games: Gibilterra ha partecipato nel 2006 anche alla FIFI "Wild Cup", aperta a coloro che non erano iscritti ancora alla Fifa. Una partecipazione anche al Quattro Nazioni del 2008, dove la nazionale ha affrontato tre selezioni semi-professionistiche corrispondenti a Inghilterra, Scozia e Galles.
In realtà, la battaglia per ottenere la membership dell'Uefa da parte di Gibilterra è stata lunga: iniziata nel 1999, la prima volta fu respinta per il volere della Spagna. Gli iberici non solo contestavano Gibilterra perché parte del loro territorio, ma anche perché temevano che un'accettazione della richiesta di Gibilterra portasse anche i baschi e i catalani a fare un passo in quella direzione. Un secondo tentativo è stato fatto nel 2007, ma solo Inghilterra, Scozia e Galles hanno dato supporto a Gibilterra. Di contro, la Spagna ha minacciato di ritirare tutti i suoi team dalle competizioni Uefa. Non è bastato il ricorso all'arbitrato in due occasioni, ma almeno Gibilterra ha potuto cominciare a schierare i propri ragazzi nelle competizioni per U-17 e U-19. Nel maggio 2013, l'Uefa ha finalmente accettato la richiesta della Federazione calcistica di Gibilterra: solo Spagna e Bielorussia si sono opposte. E proprio gli spagnoli verranno separati nei sorteggi dalla nazionale di Gibilterra, così come accade ora per Russia-Ucraina e Armenia-Azerbaigian.
Dopo la grande gioia, la GFA ha dato la linea per esser eleggibili per Gibiliterra: è richiesto il passaporto inglese e bisogna esser nati in Gibilterra o avere parenti da quel luogo, o persino aver frequentato scuole a Gibilterra per cinque anni. La sorpresa è stato Danny Higginbotham, nipote dell'allenatore Allen Bula, ma sopratutto ex Manchester United e Stoke City. La prima amichevole ufficiale è stata il 19 novembre 2013, quando Gibilterra ha ottenuto un pareggio per 0-0. Nel match successivo - a marzo 2014 - Ray Chipolina segna il primo gol della nazionale da quando è membro dell'Uefa, mentre il 4 giugno scorso è arrivata la prima vittoria contro Malta per 1-0.

Roy Chipolina, 31 anni, capitano e primo goleador in competizioni Uefa per Gibilterra.

Ora la nazionale di Gibilterra potrà partecipare alle qualificazioni per Euro 2016, dove è stata inserita in un raggruppamento che comprende Scozia, Polonia, Irlanda, Georgia, ma sopratutto i campioni del Mondo della Germania. Un bel salto per i ragazzi di Allen Bula, manager incaricato fino al giugno 2016 di portare avanti il lavoro della nazionale. Ex giocatore a livello locale, Bula ha poi optato nel 2006 per un lavoro al Kosice, club slovacco dove era il responsabile del settore giovanile. Quattro anni dopo, Bula è tornato a casa e da un quadriennio è ct della nazionale.
Per quanto riguarda la composizione della squadra, quasi tutti i ragazzi di Gibilterra giocano in patria, tranne pochi che giocano all'estero (Galles, Israele, anche Inghilterra) e qualcuno è invece attualmente disoccupato. Diversa la situazione dello stadio: Gibilterra vorrebbe costruirne uno nuovo a norma Uefa. Per ora Gibilterra gioca al Victoria Stadium, cinquemila posti e stadio che ospita le partite della nazionale. Il sogno sarebbe l'Europa Point Stadium: si pensa che l'impianto possa esser completato entro la fine delle qualificazioni per Euro 2016, magari con la voglia di creare uno dei primi stadi sul mare. Per ora la GFA sta trovando qualche opposizione da parte della popolazione locale, che contesta la possibilità di una rovina ambientale per la costruzione dell'impianto e i notevoli problemi che lo stadio porterebbe sul traffico.
Intanto l'avventura per Euro 2016 partirà dall'Estádio Algarve di Faro, situato in Portogallo. Un modo per disputare le qualificazioni europee, visto che Gibilterra può giocare solo le amichevoli al Victoria Stadium. A Faro, Gibilterrà comincerà affrontando Robert Lewandowski e soci. Un impegno difficile, ma Bula non si tira indietro dalle responsabilità: «Vogliamo fare una figura dignitosa durante le qualificazioni, specie contro la Germania, magari cercando anche di finire quarti o quinti nel gruppo. Sarebbe un traguardo straordinario». Del resto, domani sarà una magnifica prima volta: a Faro si farà la storia. Comunque vada.

Gibilterra ha battuto Malta in un'amichevole del giugno scorso: sorprenderanno ancora?

3.9.14

Tutto cambia perché nulla cambi.

L'Italia è il paese perfetto per chi ama la stabilità. La stabilità dell'anormale, chiaramente. Dopo un Mondiale chiuso con l'eliminazione al girone, la ricerca del sostituto per il dimissionario Prandelli e l'attesa per la nomina del nuovo presidente della Figc, l'Italia calcistica si ritrova più o meno allo stesso punto di partenza. Difficile dire se le cose saranno diverse tra qualche mese, ma a settembre 2014 non molto sembra cambiato. Sicuramente, la situazione è rimasta quasi la stessa dal disastro brasiliano.

Cesare Prandelli, 57 anni, e Giancarlo Abete, 64, dimissionari a giugno.

Facciamo ordine. Nel giugno scorso, dopo l'eliminazione del Mondiale per mano dell'Uruguay (forse era arrivata già prima nella testa di alcuni), Cesare Prandelli e Giancarlo Abete si dimettono. Dopo un fare democristiano per la durata di tutta la loro gestione tra campo e scrivania, entrambi optano per lo strappo netto. Per quanto riguarda Prandelli, le motivazioni vanno forse ricercate più nella sua stanchezza che nell'effettivo fallimento del progetto tecnico. Prandelli ha delle colpe, ma non sono tutte sue. Dopo l'Europeo 2012, concluso con la finale persa a Kiev contro la Spagna, forse qualcuno si aspettava di arrivare fino in fondo. La verità - come ha dimostrato il Mondiale - è che questa nazionale non poteva giungere nemmeno in zona podio a Brasile 2014. Anzi, il poco gioco e le tante incertezze sul da farsi hanno chiuso anzi tempo l'avventura Mondiale.
In questo quadro, Prandelli non è innocente: il ct è arrivato all'appuntamento più importante del suo quadriennio senza Giuseppe Rossi (infortunato e forse pure un po' osteggiato), puntando tutto sugli instabili Balotelli e Cassano. Che sono certamente i migliori giocatori che l'Italia ha in questo momento, ma che non erano in grado di cambiare il volto dell'Italia. Sono stati sopratutto i giorni trascorsi in Brasile a rovinare la carriera di Prandelli in nazionale: sulle convocazioni si può discutere fino a un certo punto, ma il panorama era quello che era. Le scelte tecnico-tattiche hanno fatto il resto: Italia timida con l'Inghilterra, quasi nulla con il Costa Rica. E come scusa c'è sempre il caldo. Come se gli altri non giocassero alla stessa temperatura.
Una volta chiuso il capitolo Prandelli-Abete, c'è stata la corsa alla poltrona più importante del calcio italiano. Tra chi è vecchio di suo, Carlo Tavecchio, e chi tutto sommato era co-responsabile della tragedia Mondiale, perché non va dimenticato che Demetrio Albertini era vice-presidente della Figc sotto Abete. I programmi di entrambi sembravano un po' deboli. Come al solito, l'Italia si è divisa. E per me, che sono anti-dicotomico e terzista di natura, è stato naturale chiedermi se c'era un'alternativa. La risposta è negativa, perché il massimo rischio è stato rappresentato dal commissariamento, ipotesi che era rimbalzata negli ultimi giorni prima della votazione. E che commissariamento: in mano a Franco Frattini, lo stesso uomo che nei governi Berlusconi - ai tempi delle crisi internazionali - era in vacanza a godersi la vita.
Ha vinto Carlo Tavecchio, ma ha perso il calcio italiano. Classe 1943, Tavecchio continua la dinastia degli ex DC prestati al calcio. Egli è stato a lungo presidente del suo Comune, Ponte Lambro: quasi vent'anni di governo. Insieme all'impegno politico, c'è stato anche quello nelle istituzioni del calcio: dal 1999 Tavecchio era il presidente della Lega Nazionale Dilettanti. Quando Abete si è dimesso, Tavecchio è diventato il candidato numero uno alla poltrona di via Allegri. Peccato che abbia rovinato tutto con una dichiarazione da razzista purosangue, che in realtà voleva essere una lucida critica ai troppi stranieri presenti nelle squadre italiane. Molti hanno detto che non l'ha fatto apposta. Come se a 71 anni si debba ancora "cercare" di controllare la lingua. A questa, si è aggiunta una gaffe precedente di Tavecchio sulle donne nel calcio. In realtà, sarebbe stata sufficiente un'occhiata alla sua fedina penale per evitare di fargli fare anche l'amministratore di condominio: evasione fiscale, abuso d'ufficio e altri capi d'accusa che non lo rendono un killer, ma di sicuro lo mostrano come inadatto ad avere un posto di potere. E nonostante la quasi squalifica dell'Uefa e della Fifa, Tavecchio va avanti. Come è ormai di costume in questo paese.

Carlo Tavecchio, 71 anni, nuovo presidente della Figc. Purtroppo.

Tavecchio ha tentato di recuperare credito con l'unica mossa che poteva metterlo in buona luce: la ricerca di Antonio Conte come ct della nazionale. L'ex tecnico della Juve era effettivamente l'uomo giusto, ma ci sono tanti dubbi sul suo insediamento. Per giorni si è parlato anche di Guidolin - a posto con i parametri d'ingaggio permessi alla Figc - ma lo si è buttato via perché ormai vecchio. Come se le capacità fossero meno importanti della carta d'identità. Conte alla fine ha raggiunto un accordo per sedersi sulla panchina dell'Italia, ma è il modo in cui è arrivato a stupire tutti: un ingaggio intorno ai quattro milioni di euro l'anno fino a Euro 2016. Peccato che la Figc potesse permettersi al massimo un salario da un milione e 700 mila euro. A chiudere l'accordo ci ha pensato la Puma, sponsor tecnico della nazionale, che ha reso Conte il terzo ct più pagato al mondo e l'Italia schiava di possibili condizionamenti futuri (il caso Ronaldo-Brasile-Nike a Francia '98 dovrebbe insegnare qualcosa).
Non è stato solo l'ingaggio a far storcere il naso. Le prime convocazioni dimostrano che c'è poca voglia di cambiare. Conte è un uomo che dà più importanza alla testa che alle gambe in campo. Buffon punta al sesto Mondiale in Russia 2018? Nessun problema. Il capitano dell'Italia avrà 42 anni, ma Conte lo convoca per fargli fare il primo, penalizzando ulteriormente la crescita di Sirigu (più Scuffet e compagnia bella). In fondo, così non si fa altro che rimandare una mossa che sarà inevitabile: Buffon non è mica Sir Stanley Matthews (che giocò fino a cinquant'anni suonati). Anche Pirlo voleva smettere con la nazionale, ma - come una delle sue finte - ha stupito tutti e ci ha ripensato sullo stesso aereo che ha riportato gli azzurri in Italia dal Brasile. E Conte non ha esitato a contare su di lui fino all'Europeo, quando di anni ne avrà 37. E anche qui si rischia di bruciare la crescita di altri ragazzi. In più c'è Mario Balotelli: non è stato convocato per queste due gare contro Olanda e Norvegia, ma sembra che Conte ci voglia puntare. Non sarebbe meglio mettere l'anima in pace su questo ragazzo così irresponsabile e affidarsi invece a giocatori un filino meno dotati in campo, ma con la testa da professionisti? Giuseppe Rossi e Ciro Immobile rappresenterebbero un ottimo duo d'attacco, sempre che gli infortuni lascino libero Pepito di esprimersi in tutta la sua classe.
Infine, ho un piccolo dubbio: possibile che Conte lavori per la stessa Federazione Italiana che l'ha condannato nel 2012 a quattro mesi di squalifica e non batta ciglio? Per un uomo che punta così tanto sull'orgoglio, sono bastati i soldi a mandar giù l'amara pillola? Chissà. Fatto sta che c'è da sperare per l'Italia in una svolta in vista di Euro 2016. C'è tanto da cambiare, molti ragazzi da far crescere. Conte si ritrova con lo stesso compito ingrato di Prandelli nel 2010: far rinascere gli Azzurri. E non sarà facile. Anche se lui è abituato (vedi la Juventus uscita dal 2010-11). Tuttavia, sembra che in Italia una massima importante possa esser confermata: tutto cambia perché nulla cambi. In una sorta di Gattopardo in loop.

Antonio Conte, 45 anni, nuovo ct dell'Italia per i prossimi due anni.