21.4.14

The un-italian job.

Sì all'import, no all'export: è questo il segnale mandato dalla nazionale italiana di Cesare Prandelli negli ultimi tempi. E l'ultimo stage ha confermato quanto venne stabilito all'inizio del suo mandato: vi ricordate quando nella prima gara di Prandelli come C.T. esordì Amauri con la maglia azzurra? Era un Costa d'Avorio-Italia e quella dell'italo-brasiliano fu una prestazione deludente. Da un po' gli oriundi hanno più spazio in nazionale: la quasi certa convocazione per il Brasile di Paletta e Romulo è solo uno degli esempi che si possono fare.

Gabriel Paletta, argentino di 28 anni, dovrebbe essere nel gruppo azzurro ai Mondiali.

Attenzione: questo non vuole esser nazionalismo. Non sono per il famoso "L'Italia agli italiani": se c'è qualcuno molto più bravo, va tenuto in considerazione. E del resto, il C.T. ha bene a mente questo esempio: basti guardare Thiago Motta parte integrante del gruppo azzurro. Tuttavia, veramente c'è bisogno di integrare giocatori di nazionalità diversa? Eppure la storia della nazionale racconta che c'è apertura verso l'oriundo (Camoranesi ha vinto un Mondiale, ricordiamocelo), mentre per l'italiano che gioca bene all'estero il credito è minore.
Bisogna fare attenzione: l'estero non è garanzia di successo. Uno degli esempi più funesti è quanto accadde ad Antonio Cassano durante la sua permanenza al Real Madrid. Certo, il barese era bizzoso, ma finì in un buco nero: nessuno si ricordava più delle sue giocate e neanche Capello riuscì più a gestirlo. Tanto che il Mondiale 2006, scontato per lui due anni prima alla Roma, lo vide in tv. Marco Di Vaio, che dieci anni fa andava per la maggiore, venne sistematicamente ignorato dopo il suo trasferimento al Valencia. E che dire di Gianfranco Zola e delle sue magie al Chelsea? Sbocciavano i Totti e i Del Piero, ma nessuno invocò Zola a nessun Mondiale o Europeo, nonostante The Magic Box facesse sognare i tifosi dei Blues. Non c'era ancora Abramovich, ma Trapattoni non ritenne mai che Zola potesse servire alla nazionale.
Oggi i casi sono meno rilevanti, ma l'estero a volte può essere un freno piuttosto che una spinta. Non solo per le scelte di alcuni commissari tecnici della nazionale azzurra, ma anche perché non si replicano le condizioni di successo avute in patria. Vi ricordate di Salvatore Bocchetti? Esplose nel Genoa di Gasperini e fu persino convocato da Lippi per il Mondiale sudafricano. Una volta andato in Russia (prima nel Rubin Kazan, ora è allo Spartak Mosca), il C.T. Prandelli l'ha giusto convocato nella lista dei pre-selezionati per l'Europeo 2012, ma non ha più giocato in azzurro. In quel Genoa giocava anche Domenico Criscito, che a quella Coppa del Mondo fu titolare. Prandelli lo considerò anche quando il terzino si trasferì allo Zenit di San Pietroburgo, ma il suo coinvolgimento nello scandalo pre-Europeo del calcioscommesse lo ha bruciato. E forse anche il giocare a San Pietroburgo non l'ha premiato, visto che è Criscito è sparito dal radar del C.T. per un anno e mezzo. E' tornato in nazionale solo per l'amichevole contro la Germania del novembre scorso.
Stessa sorte per Emiliano Viviano, bruciatosi con il prestito all'Arsenal, dove fa la riserva di Szczęsny e Fabiański (avessi detto Gordon Banks...). Del resto, pure Alessandro Diamanti non è più nei pensieri di Prandelli dopo essersi trasferito alla corte del Guangzhou Evergrande. Tuttavia, questo caso è speciale, visto che il C.T. conosce bene le doti del fantasista. Ma se c'è un caso su tutti per l'estero fatale, è quello di Davide Santon. Ricordate il 2009? L'allora giovanissimo terzino dell'Inter affrontava da pari a pari Cristiano Ronaldo, veniva santificato in tutta l'Italia e venne anche convocato per la Confederations Cup. Poi le prime difficoltà in nerazzurro e l'addio dopo il triplete. A Newcastle, specie nel primo anno, Santon ha fatto benissimo. Prandelli gli ha fatto fare una comparsata all'Amsterdam Arena un anno fa, poi basta. Se no si monta la testa.

Davide Santon, 23 anni: una volta golden boy del calcio italiano, oggi dimenticato.

Tuttavia, c'è chi all'estero si è distinto come italiano meritevole di attenzione. Certo, c'era anche chi - come Mario Balotelli - non poteva esser ignorato pur passando brutti momenti al Manchester City. O chi, come Christian Vieri ai tempi dell'Atletico Madrid, era un fenomeno tale che l'estero non rappresentava un freno. Un ragionamento che potrebbe valere anche per gli italiani del Paris Saint-Germain, che stanno fornendo un ottimo rendimento. Prendete però un caso come quello di Andrea Barzagli: al Wolfsburg non era sempre brillante, ma forse sarebbe potuto essere nello stesso gruppo che Lippi aveva portato alla vittoria del Mondiale nel 2006, dove lui c'era. Invece, il giocare in Bundesliga forse gli precluse qualunque chance di essere in Sudafrica.
Stessa sorte toccò a un altro gran giocatore del nostro calcio, forse il migliore di questi tempi: Giuseppe Rossi. Passato dal Manchester United al Parma in prestito, Pepito stupì tutti in mezza stagione. Giusto il tempo di esser retorici e poi mandarlo all'estero: mentre tutti si spellavano le mani, il Villareal fece un'offerta da undici milioni di euro e lo tenne per cinque stagioni. In cui Pepito ha confermato quanto di buono si era visto nei sei mesi al Tardini: saranno 82 le reti segnate in 192 gare con il Sottomarino giallo. Con tutti gli infortuni che ha avuto, tra l'altro. Lippi all'epoca se lo portò alla Confederations Cup del 2009, dove Rossi segnò anche un gol agli Stati Uniti. Convocato nella pre-lista del Mondiale 2010, venne tenuto fuori per gli eroi del 2006. Un errore che Lippi non ha mai esitato a imputarsi.
E che dire degli eroi mancati di oggi? Fabio Borini si è fatto conoscere un po' ovunque: Chelsea, Swansea, Roma, Liverpool (nonostante gli infortuni) e Sunderland. Proprio l'altro ieri ha probabilmente condannato Mourinho a lasciare la corsa per il titolo in Inghilterra. Ha segnato in finale di Coppa di Lega contro il City, ha segnato comunque sette in reti in una squadra come i Black Cats. Forse qualche chance in più la meritava, visto che Prandelli l'ha pure portato agli ultimi Europei. Ma i due casi misteriosi per il Mondiale sono altri: Giulio Donati e Graziano Pellè. Il terzino destro del Bayer Leverkusen un anno fa giocò l'Europeo U-21, dopo una stagione di sofferenze a Grosseto. Poi la Bundesliga decise di investire su di lui; all'Inter, tanto, non avevano la minima voglia di trattenerlo. E così Donati quest'anno è stata una delle colonne di una squadra che potrebbe centrare il quarto posto, ergo i preliminari di Champions. Una competizione che, comunque, Donati ha giocato quest'anno (31 presenze in totale finora). Infine, Graziano Pellè: l'Italia è fortunata nell'avere dei giovani attaccanti come Destro e Immobile. Ma nessuno attaccante italiano ha segnato tanti gol come l'ex Lecce in questo biennio: 54 gol tra Eredivisie, coppa d'Olanda ed Europa League. Al Feyenoord è diventato capitano e idolo, è esploso all'improvviso. Basti pensare che nell'agosto 2012 faceva panchina in Juve-Parma, prima di campionato della scorsa Serie A, entrando per nove minuti. E ora timbra a ripetizione. Con Prandelli che lo ha ignorato regolarmente, come se segnare in Eredivisie sia inutile. Perché quando si tratta di Ibrahimovic o Suarez a trenta reti l'Eredivisie è interessante, ma quando li segna Pellè no? Boh, domanda da rivolgere ad altri. The un-italian job è in corso.

Graziano Pellé, 28 anni, centravanti del Feyenoord regolarmente ignorato da Prandelli.

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