4.8.12

Death-goal.

4 Agosto 2011: è passato un anno. Già sono volati 365 giorni dalla morte di Naoki Matsuda, calciatore giapponese di 34 anni, deceduto l'anno scorso per un attacco cardiaco che ha peggiorato le sue condizioni e lo ha condotto alla morte in questa stessa data del 2011. Matsuda, grande difensore giapponese, una sorta di Paolo Maldini nipponico,  aveva lasciato Yokohama dopo 15 anni di onorata carriera con la maglia blu dei Marinos ed aveva scelto come nuova destinazione il Matsumoto Yamaga, formazione di Japan Football League (la terza serie giapponese), per aiutare la squadra a crescere ed aumentare la visibilità della lega. Il 2 Agosto 2011, Matsuda si accascia al suolo durante un allenamento della sua squadra: la causa è un arresto cardiaco, avuto durante una corsa di riscaldamento di quindici minuti. Da quel momento, il mondo giapponese del pallone si stringe attorno ad un grande campione, sperando che recuperi; ma non ci sono grosse possibilità e, due giorni dopo, Naoki Matsuda lascia questo mondo (pallonaro e non) a soli 34 anni. Un colpo fortissimo, che avrà un forte eco in Giappone (con tanto di match commemorativo per ricordarlo) e sarà nelle prime pagine sportive del mondo. Ma non è un caso isolato.

Naoki Matsuda, 34 anni, qui nel discorso d'addio alla maglia degli Yokohama F. Marinos.


Sì, perché se si va a controllare quante morti siano collegate al calcio ed in particolare a problemi cardiaci, il risultato è sconcertante: circa una cinquantina, che vanno dagli anni '20 fino ai giorni nostri, dove questi casi stanno diventando anche troppo frequenti. Guardando alla storia recente del football, si trovano troppi casi di morti sul campo, in Italia e fuori. Casi che ti fanno chiedere se si possa morire per quello che, alla fine, non è nient'altro che un gioco. Eppure accade e noi possiamo farci poco alcune volte; la prevenzione è l'unica arma che rimane all'essere umano in questi casi. Controlli severi non possono evitare che certe cose accadano, ma possono perlomeno evitare che qualcuno faccia un'attività sportiva che il suo corpo non può sopportare.
All'estero, negli ultimi dieci anni, i casi si sprecano: sono almeno una ventina, ma altri tre hanno catturato una particolare attenzione nel mondo del calcio. Il primo è quello di Marc-Viven Foé: calciatore del Manchester City e del Camerun. Foé è una delle punte di diamante del calcio camerunense, con due Coppe d'Africa e due Ligue 1 già conquistate a 28 anni, più una precedente esperienza di due anni nel calcio inglese, al West Ham. Arrivato al City in prestito dall'Olympique Lione, Foé ha un'ottima stagione con la maglia dei Citizens di Manchester, sempre presente e con ben nove gol all'attivo; uno di questi gol è anche l'ultimo segnato dal City nel vecchio stadio di allora, il Maine Road. In estate, vista la vittoria in Coppa d'Africa, il Camerun viene ospitato a disputare la Confederations Cup del 2003 in Francia; la squadra africana disputa un ottimo torneo, passando il girone eliminatorio ed arrivando alla semifinale contro la Colombia. In quella partita del 26 Giugno 2003, Foé si accascia al centro del campo verso la fine del match, seppur non sia circondato da nessun giocatore; sono diversi i tentativi di rianimarlo in campo e fuori e, sebbene quando arrivi al centro medico dello stadio sia ancora vivo, tali sforzi si rivelano inutili. Marc-Vivien Foé muore ed il torneo passa in secondo piano; la cosa incredibile è che la prima autopsia non basta a rivelare la causa della morte. Solo con una seconda autopsia si arriva a comprendere il motivo del decesso: una cardiomiopatia  ipertrofica, che è ereditaria e che non permette di svolgere un esercizio fisico con un tale sforzo.
Le celebrazioni per l'atleta e per l'uomo sono talmente tante da riempire tutto l'arco di tempo che ci separa dal secondo caso: Miklos Feher. Centravanti ungherese, viene scoperto giovanissimo dal solito Porto, che lo compra e lo fa girare per il Portogallo per crescere; Feher esplode nel Braga della stagione 2000/2001, con 14 gol che lo consacrano. Ma non ha garanzie di giocare nel Porto e preferisce lasciare i Dragoes, trasferendosi a Lisbona, sponda Benfica, dove gioca per due anni con risultati alterni, prima del fatidico 25 Gennaio 2004. Durante la trasferta contro il Vitoria Guimaraes, Feher viene ammonito durante il tempo di recupero; l'ungherese sorride, poi si porta le mani sul petto, prima di crollare sul campo. Il personale medico corre subito in suo aiuto, con tanto di macchina per la rianimazione ed ambulanza in campo, per portargli la pronta assistenza di cui necessita. Purtroppo sarà tutto inutile: sebbene arrivi in ospedale, Miklos Feher muore prima della mezzanotte del 26 Gennaio 2004, a soli 25 anni. A condannarlo è stata un'aritmia cardiaca, causata (anche qui) da una cardiomiopatia ipertrofica.
Il terzo caso è forse quello più doloroso e, al tempo stesso, più clamoroso di tutti: parlo di Antonio Puerta, esterno sinistro del Siviglia e della nazionale spagnola. Il ragazzo spende tutta la sua carriera calcistica nella squadra andalusa, crescendo nelle sue giovanili accanto a campioni come Sergio Ramos, Jesus Navas e Juan Antonio Reyes; con il Siviglia, vince trofei su trofei in quegli anni, tra cui due Coppe UEFA, una Supercoppa Europea, una Copa del Rey ed una Supercoppa Spagnola. Un'incetta di trofei che attira l'attenzione anche delle grandi squadre europee, le cui offerte vengono però rifiutate da Puerta, affezionato come è a Siviglia, sia come città che come squadra. Nel 2007, però, la sfortuna lo perseguita: durante il match casalingo della stagione 2007/2008 contro il Getafe, Puerta subisce un arresto cardiaco ed i compagni Dragutinovic e Palop, insieme allo staff medico, gli salvano la vita, mentre il giocatore perde conoscenza. Ciò nonostante, il ragazzo si rialza e riesce a tornare negli spogliatoi a piedi, ricevendo l'applauso dei tifosi. Ma ci vogliono pochi momenti prima che il ragazzo collassi nuovamente e stavolta non c'è niente da fare: Antonio Puerta muore tre giorni dopo, il 28 Agosto 2007, a causa di un collasso multiplo degli organi e di un danno irreversibile al cervello, causato dai tanti infarti subiti dal suo cuore; tutto ciò - spiegherà il dottore - è stato causato da una displasia ventricolare destra aritmogena, una malattia genetica del cuore riguardante il ventricolo destro. La vicenda assume tratti strazianti se si pensa che Puerta aspettava il suo primo figlio. Tutto il mondo del calcio si stringe attorno alla famiglia ed alla squadra: la manifestazione di supporto durante la finale di Supercoppa Europea del 2007 fra Milan e Siviglia è una delle cose più belle che riesco a ricordare a livello sportivo da quando ho memoria.

Antonio Puerta, 22 anni, difensore del Siviglia leggendario di Juande Ramos.


Chiaro che l'estero è stato al centro di vicende più grandi perché i controlli sono meno severi che in Italia, dove gli accertamenti vengono svolti almeno due volte l'anno: personalmente, li ritengo ancora troppo temporalmente separati l'un l'altro, ma la prevenzione italiana è più avanti rispetto alla media europea. Nonostante questo, come detto già in precedenza, evitare totalmente questi casi è impossibile: la vita interviene in maniere che noi non possiamo prevedere e così avviene anche in Italia, anche se vi sono controlli rigidi.
Renato Curi è un esempio italiano di come, sebbene ci sia la prevenzione, non si possa cancellare certe eventualità: giovane centrocampista del Perugia dei miracoli di Ilario Castagner, Curi è parte integrante di quella squadra che portò il capoluogo umbro - per la prima volta - nel calcio che conta. Difatti, nella stagione 1974/1975, arriva la promozione dalla B alla A, ottenuta anche grazie a due gol decisivi del giovane Renato contro il Verona. Una sua rete contro la Juve, nell'ultima giornata della stagione successiva, fa perdere lo scudetto ai bianconeri, consegnandolo al Torino di Gigi Radice. L'annata 1976/1977 è quella della consacrazione per Curi, che segna otto gol e contribuisce al sesto posto finale del Perugia, che arriva alle soglie della zona per le coppe europee; ma la tragedia è dietro l'angolo. Il 30 Ottobre 1977, a Perugia, arriva la Juventus, con la quale la squadra umbra si gioca la testa della classifica; Curi è reduce da un infortunio e recupera appena in tempo per disputare questa sfida. Durante la partita, però, il centrocampista umbro si accascia al suolo dopo aver tentato uno scatto. Morirà così, a 24 anni, per un arresto cardiaco ed il nome dello stadio cambia in "Stadio Renato Curi" per dimostrare l'amore di Perugia per lui.
Intanto, cambiano le generazioni, ma 35 anni dopo ci siamo ritrovati con una situazione simile: è fresca la memoria se ci ricordiamo di Pier Mario Morosini, giocatore del Livorno. Il ragazzo ha un'adolescenza difficilissima: perde i genitori ed il fratello, da solo si occupa della sorella disabile. Sono contorni che regaleranno alla storia una sostanza ancora più cruda da mandare giù. Una carriera in giro per l'Italia: comprato dall'Udinese (solita nel vederci lungo con gli atleti promettenti), Pier Mario spazia in tutto lo stivale, vestendo le maglie di Bologna, Vicenza, Reggina, Padova ed ancora Vicenza. Ma l'Udinese non lo lascia mai andare, vede un futuro in lui e così lo manda in prestito a Livorno nel Gennaio di quest'anno, per dargli un po' di minutaggio e più fiducia nei suoi mezzi. Il ragazzo si fa valere e diventa una colonna del centrocampo labronico in una stagione molto difficile. Ma il 14 Aprile del 2012, durante la trasferta di Pescara, Morosini cade da solo, per poi rialzarsi, per poi ricadere; tenta di rialzarsi nuovamente, ma non ce la fa. Qualche giocatore del Pescara lo nota e chiede all'arbitro di fermare il gioco, così come si ferma il respiro dei presenti all'Adriatico; qualcuno già piange, non vuole pensare al peggio. Ma se l'ambulanza ti entra sul terreno di gioco, è normale che i brutti pensieri aleggino nella tua mente. Pier Mario Morosini muore alle 16.45 di quel pomeriggio, alla giovane età di 26 anni: numerose sono le commemorazioni ed i commiati per il centrocampista bergamasco, il cui numero viene ritirato dal Livorno.
Vedendo tutti questi casi, non puoi fare a meno di chiederti: non possiamo fare di più per evitare tutto questo? E' nella natura umana chiederselo. Purtroppo, la risposta sembra più complicata da cercare di quanto non sembri.

Pier Mario Morosini, 26 anni: la sua morte ha causato un 
grosso shock nel panorama calcistico italiano.


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