14.5.12

Il bello, il brutto ed il tragico.

Ci sono domeniche che non si possono dimenticare. Non è stata da meno quella appena passata, nella quale si sono condensate emozioni diverse sul panorama europeo: sorprese, addii, drammi (chiaramente sportivi). Guardando tre fra i campionati più importanti al mondo, si può capire come questo 13 di Maggio dell'anno corrente abbia regalato grandi storie da raccontare e consegnare agli almanacchi calcistici.

Tutto parte da Manchester: è lì dove il bello (e la follia) del calcio si manifesta in tutta la sua esplosività. Nell'ultima giornata di Premier League, le due squadre di Manchester si giocano il campionato: il City gioca in casa contro il perciolante QPR, lo United va in trasferta sul campo di un Sunderland che non più nulla da chiedere a questo campionato. Il primo tempo rispecchia l'andamento che ci si aspettava: 1-0 su entrambi i campi, sempre a favore delle due squadre di Manchester, con i gol rispettivamente di Zabaleta e Rooney. Ma se a Sunderland non succede più nulla di significativo, i SuperHoops si scatenano all'Etihad Stadium. Si devono salvare ed il Bolton, che sta vincendo sul campo dello Stoke, li supererebbe e li condannerebbe alla retrocessione in Championship. Così - nonostante l'ennesima brava con conseguente espulsione di Joey Barton - prima Djibril Cissé, poi Mackie portano in vantaggio il QPR, facendo sprofondare nel dramma i tifosi del City: onestamente, 44 anni attesi per prendere poi una fregatura del genere.. sarebbe tragico. Ed i miracoli di Paddy Kenny non aiutano. Fortunatamente per loro, ci sono alcune regole che nel calcio non sono scritte, ma valgono sempre: il Bolton viene raggiunto dallo Stoke proprio mentre Dzeko pareggia i conti al 90'. Mark Hughes, tecnico del QPR, fa segno che è tutto finito: sono salvi. E allora, nell'assalto all'arma bianca portato dai Citizens, un (fino a lì) orribile Aguero s'inventa la giocata della vita e segna il 3-2 che consegna la Premier League nelle mani della squadra di Mancini. Un momento straordinario, un momento di storia, uno di quelli che ti lascia il segno e, se vissuto, lo racconti ai tuoi nipoti 50 anni dopo. Dopo aver rischiato una replica del 5 Maggio di memoria interista, arriva una fine straordinaria per un campionato bello come pochi nella storia.


Sempre parlando di conclusioni, anche il campionato italiano è giunto al termine. Parlando della Serie A, però, vogliamo concentrarci su due personaggi più che sui risultati sportivi della giornata odierna: Alessandro Del Piero e Filippo Inzaghi. Entrambi hanno già deciso che continueranno, anche se non sarà con le maglie di Juventus e Milan rispettivamente: un peccato per i tifosi di queste due squadre, che vedranno i loro beniamini giocare altrove. Ma, intanto, lasciano entrambi nei loro stadi, con le lacrime agli occhi di molti fan e la capacità di regalare ancora magie: il solito destro a giro per Del Piero, un altro gol di rapina e fiuto d'area di rigore per Inzaghi. Se Del Piero è stato decisivo nello scudetto juventino, seppur in piccola parte, con gol come quello all'Inter, Inzaghi, anche giocando pochissimo, ha evitato di restare a secco anche quest'anno, nonostante 38 anni, poco campo e l'esclusione dalla lista della Champions League. Un affronto per un bomber europeo come lui.
Lo stadio di Torino, dall'uscita di Del Piero, non ha più seguito la partita, preferendo assistere al giro di campo del capitano juventino: due mondi paralleli, in cui quello contenente Del Piero importava di più di quello avente per protagonisti i 22 in campo. Al gol di Inzaghi, invece, grandi le lacrime: la partita con il Novara non significava nulla, quel gol invece valeva anni di vittorie e di emozioni regalate dal numero 9 milanista. 11 anni di maglia rossonera onorati benissimo: su tutto, rimarranno i due gol di Atene ed una finale vinta praticamente da solo.
Due miti che ci mancheranno per la loro capacità d'essere decisivi.

Filippo Inzaghi, 38 anni, e Alessandro Del Piero, 37, salutano i fan di Milan e Juve.

Di decisiva, inoltre, c'è stata l'ultima giornata in Liga. Che fosse un anno più pazzo degli altri, ce ne eravamo già accorti: il Real è riuscito a spodestare il Barca, il Levante ha conquistato l'Europa con una squadra dall'età media altissima ed il Malaga degli sceicchi è riuscito a centrare la Champions League, via preliminari, al primo colpo. Ma quel che abbiamo visto al Madrigal di Vila-Real ieri è incredibile: usando un paragone calcistico strettamente spagnolo, si è ripetuto ciò che era già successo al Real Zaragoza nel 2007/2008, ovvero una retrocessione incredibile di una squadra che, ad inizio stagione, era stata data pronta per altri obiettivi. Allargando lo sguardo europeo al passato recente, viene in mente la retrocessione della Sampdoria nella stagione passata. Qui, però, c'entrano poco le vicende di mercato: Giuseppe Rossi è stato fuori tutto l'anno, Nilmar non è stato incisivo e si è poi infortunato anche lui. La squadra si è sciolta come neve al sole, per tutto l'anno non si è mai seriamente tirata fuori dalla zona retrocessione e, nell'ultima partita, ha ricevuto la beffa nel finale: il gol di Falcao all'88' gli ha fatto perdere la partita, quello del Rayo di Tamudo al 91' gli ha fatto perdere la Liga. Una stagione fallimentare certificata anche dalla precoce eliminazione in Copa del Rey (da parte della sorpresa Mirandes) e dalla tremenda campagna europea: passato il preliminare con l'Odense, nel famoso girone di ferro (Napoli, Man City, Bayern Monaco), il Villareal ha totalizzato 0 punti, con appena 2 gol fatti e 14 incassati. Inutile dire che è incredibile tutto ciò.
E' ancor più incredibile pensando alla storia di questa squadra, che ha sede in una cittadina di 50.000 abitanti: il Villareal è arrivato in Liga nel 1998 e, escludendo la stagione 1998/1999, è sempre riuscita a salvarsi. Non solo: dal 2003 non è mai andata sotto l'8° posto, con un secondo, un terzo ed un quarto posto negli ultimi anni; ottimi anche i risultati europei, con tre semifinali europee (in UEFA nel 2004 e nel 2011, in Champions nel 2006, con il famoso rigore sbagliato da Riquelme contro l'Arsenal). Insomma, una granitica certezza costruita con la programmazione. Che ha fallito clamorosamente quest'anno, tanto da retrocedere.

Il capitano del Villareal, Marcos Senna (35 anni), piange dopo la retrocessione del Villareal.

Ma forse è anche per questo che ci piace il calcio: perché imprevedibile, fuori dagli schemi e capace di regalarci emozioni come poche altre cose nella vita.

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